Il rumore della pioggia.

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Il giorno dopo mi svegliai, stranamente, sereno e felice, al contrario della mattina precedente in cui mi ero svegliato di controvoglia. E mi alzai non con svogliatezza, ma volentieri. Cavolo se ero strano. Non era proprio da me. Scesi quelle scale che dividevano me dalla cucina e preparai il mio solito thé al gusto classico. Risalii le scale bianche e mi vestii con calma. Una camicia a motivi particolari color oro e blu scuro, e un paio di jeans neri, e in piú mi avvolsi con un cappotto grigio, dato che quella mattina faceva freddo. Volevo uscire a fare una passeggiata per ammirare la città in cui vivevo. Non avevo mai guardato Londra da un'altra prospettiva se non da quella di città industrializzata quale era. Perciò decisi di andare a visitare le campagne, cosa che prima non avrei mai immaginato di fare. Di solito poltrivo sul divano oppure schiacciavo un pisolino.
Appena varcai la porta di casa non resistetti e mi affacciai dalla vetrina del negozio per scrutare la sagoma di Lola dietro al balcone. Eccola, impeccabile. Sorrisi e rimasi a guardarla per qualche secondo sbalordito. Dopo poco mi incamminai, verso una viuzza che portava a un piccolo lago. Mentre passeggiavo, avevo modo di osservare con occhio da critico le specie di piante autunnali che spuntavano dal terreno. Piante monotone, spente, scure. Erano tristi. Perchè? Forse perché il sole quel giorno non aveva concesso loro l'onore di un suo sorriso? Probabile. Infatti quella giornata era triste e cupa, le nuvole ofuscavano il sole, come se un ladro ti avesse portato via la cosa a cui tenevi di più. Forse io mi sentivo un po' come quella vegetazione. Non mi sentivo completo. Mi mancava qualcosa. Un punto di riferimento. Ma a cosa potevo aggrapparmi se non alla speranza di incontrare qualcuno che avrebbe potuto cambiare la mia vita radicalmente? A quel punto mi sorsero in mente alcune domande. Chi sono io veramente? Per cosa sono stato creato? Qual'è lo scopo della mia vita? Forse non avrei mai trovato risposta a queste domande, o forse non volevo semplicemente conoscerla. Smossi quei pensieri dal mio cervello e aumentai il passo della mia camminata, vogliosa di incontrare quel lago che non vedevo da tanto tempo. Mi portava alla mente così tanti ricordi. Sbucai dall'ultimo sentiero circondato da quelle piante sconsolate, e mi ritrovai davanti quell'enorme estesa di acqua fredda, contornata da specie di vegetali sempreverdi. La superficie pareva ghiacciata. Un brivido di freddo mi attraversó la schiena.
Quel lago sembrava il luogo di incontro di spiriti e creature magiche, pareva un luogo macabro e misterioso. Mi affascinava. Ammirai quell'ammasso d'acqua in tutta la sua misteriosità e fascino, quando percepii una goccia d'acqua che mi bagnò il naso. Ne sentii un'altra, e un'altra ancora. Corsi più veloce che potevo non pensando più alle stregonerie che potevano venire messe in atto in quel luogo senza nome. Contando che la mia casa era abbanza distante, dovevo affrettarmi. Cercai di correre più veloce di un cane da corsa ma la fatica sopraggiunse, e io ero ormai mezzo fradicio. Mancavano due isolati alla mia abitazione e io correvo come se non ci fosse stato un domani. Stavo per aprire la porta di casa quando una voce mi fermò. "Michael fermati! Perfavore ascoltami!" conoscevo questa voce. Mi girai. Non poteva essere. Era Lola. Mi stava chiedendo aiuto? Corsi in fretta da lei. "Che ci fai sotto la pioggia?" dissi quasi urando. "Non ho la macchina, di solito vengo al lavoro in tram ma non passa a quest'ora. Abito lontano non possi camminare sotto la pioggia! Mi daresti un passaggio?" disse anche lei urlando. La pioggia si faceva sempre più fitta. Ci pensai un attimo e poi le risposi. "Daccordo. Sali in macchina forza!". Lei non mi disse nulla e salì veloce nella macchina parcheggiata davanti a casa mia. Anche io feci lo stesso. Per alcuni attimi ansimammo entrambi a causa della pioggia che scendeva sempre più velocemente sui nostro corpi in piedi sulla strada. Presi io l'iniziativa. "Allora, dove abiti?" le chiesi cercando di non guardare il suo viso bagnato. Era ancora più attraente. "Abito a sei isolati da qui." disse preoccupata. Aveva paura che mi fosse d'impiccio? "Ti dispiacerebbe accompagnarmi fin lì?" chiese sempre preoccupata. "Perché quell'aria preoccupata? Certo che ti accompagno, non devi preoccuparti." cercai di rassicurarla con un sorriso, che lei mi ricambiò. "Grazie Michael, se non ci fossi tu..." disse sorridendo. Mi girai verso il volante e sentii circondarmi la vita con delle braccia. Non ero imbarazzato. Al contrario, mi sentivo bene. Era come se tra quelle braccia mi sentissi al sicuro. Ricambiai l'abbraccio, e notai che anche lei ne fu felice.
Alzò lo sguardo e anche io feci lo stesso. I nostri sguardi si incontrarono. Eravamo a pochi centimetri di distanza. Ci guardammo dritti negli occhi e, sembrava che ognuno fosse attratto dagli occhi ammalianti dell'altro. Io fui il primo a voltarmi verso il finestrino, dalla parte opposta del suo viso. Anche lei si ritirò verso lo sportello. Tutti e due eravamo agitati e imbarazzati. Presi le chiavi, le girai nella serratura, afferrai il volante e partimmo, sempre con la pioggia che tartassava le strade. Il viaggio fu molto silenzioso, alché la sua voce farfugliò delle parole. "Michael..s-scusa per p-prima." disse dispiaciuta con qualche balbettio. Forse le avevo attaccato il mio solito disturbo. "Non devi scusarti." la rassicurai abbastanza tranquillo. Vidi che le spuntò un sorrisino sollevato. Meglio così.
Stavamo per arrivare, e il ticchettio della pioggia si stava via via acquietando. Parcheggiai la macchina davanti alla sua piccola casetta, scese pee incamminarsi verso la porta e io feci lo stesso.
Ci fermammo ai piedi della porta e uno si mise davanti all'altro. "Beh...grazie per il passaggio..." rispose. Notai che faceva fatica a guardarmi negli occhi. Mentre io, per la prima volta, non avevo nessun problema. Sembrava che i ruoli si fossero scambiati. "Di nulla." dissi pacifico.
"Va bene. Ci vediamo." disse lei cercando in tutti i modi di limitare la conversazione, aprendo la porta. "Va bene. Ciao.". Appena mise un piede dentro casa le circondai la vita con le mie braccia, l'avevo colta di sorpresa, come lei prima aveva fatto con me. Voltò lo sguardo verso il mio viso e mi donò un suo sorriso. Ora posso capire quanto tristi si potessero sentire quelle piante così malinconiche, senza il loro amato sole. Ci salutammo un'ultima volta ed entrai in macchina, sorridente. Arrivai a casa e mi buttai sul letto della mia stanza, sprofondando nelle coperte voluminose, anche se erano quasi le 13:00.

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