Chapter 4th.

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L'entrata a scuola non mi rallegrò come invece di solito faceva; forse non è una cosa semplice da spiegare, ma in fondo, amavo andare a scuola, vedere teenagers correre tra armadietti e classi, coppie baciarsi di nascosto, amici scambiare due risate.

Era un luogo magico, un luogo che mi faceva sentire parte di qualcosa, tutti eravamo niente e tutto, ma quella mattina non ero affatto felice, non avevo la cosa a cui tenevo di più, avrebbero potuto levarmi di tutto, ma quell'anello era parte di me e della mia storia ed era l'unico oggetto che mi consentiva di avere un obiettivo: conoscerne il proprietario.

Tante volte avevo sognato di questo ragazzo, di come le mie aspettative volessero che fossero i suoi capelli, o i tratti dei suoi occhi, o le sue labbra, o le stesse mani.

Tante volte avevo sognato che saremmo potuti diventare amici, o qualcosa in più, ho sognato di potermi addormentare tra le sue braccia, di poter fidarmi di qualcuno, sul serio.

Tutto si fece buio all'improvviso quando due mani andarono a coprirmi gli occhi e una fragorosa risata accompagnò quel che, forse in un altro momento, sarebbe stato un gesto apprezzato.

"Sarah?" tirai ad indovinare.

Sentii le guance prendere fuoco quando la persona alle mie spalle smise di ridire mentre continuava a tenere le mani come salde sul mio piccolo viso.

Delle labbra si avvicinarono al mio orecchio: stavo tremando. Giurai a me stessa che se quello fosse stato solo un brutto scherzo, io non...

"Leyl, chi altro potrebbe essere?" mi rispose la voce che apparteneva alla mia amica.

Sì, amica.

Avevo sempre avuto, fin  da quando ne ho memoria, un concetto di amicizia distorto rispetto a quello che tutti rispettavano probabilmente senza porsi troppe domande a riguardo.

Sarà che sin da piccolina avevo imparato che la fiducia non doveva essere donata a nessuno, idea che resi mia quando capii di non poter far affidamento nemmeno sulle persone che dovrebbero essere gli unici punti di riferimento per una piccola bimba.

Così smisi semplicemente di farlo, smisi di fidarmi, non raccontai quell'episodio a nessuno se non alle persone che mi avevano, anche se solo per un po', fatto ricredere nell'amicizia.

Sì, io nell'amicizia non credevo.

Secondo il mondo intero gli amici ti stavano accanto nel momento del bisogno, sapevano capirti senza che tu proferissi una singola parola, sapevano qual era la cura giusta ad ogni tuo male, ma allora, quando io avevo avuto bisogno, dove erano?

L'amicizia era un insieme di promesse dannatamente false: "ci sarò quando ne avrai bisogno", "affronterai che questa."

Ma come si permettevano di dire che l'avresti superata quando l'unica cosa che facevano era starti a guardare dal vetro di un finestra sempre troppo pulita mentre tu eri fuori a resistere sola alla tempesta che si stava scatenando sotto quel cielo?

La colpa, tuttavia, non era della parola amicizia, non era quella che mi dava fastidio.

La cosa che mi infastidiva erano le persone, gli amici, quelli che si facevano chiamare così ma in realtà non avevano nessun diritto per farlo.

Solo in pochi, fino ad allora, erano riusciti a mettere a tacere i miei pensieri facendomi prendere in considerazione l'idea di avere qualcuno ad amarmi e, non mi sentivo amata facilmente.

La ragazza che aveva esordito così qualche istante prima era una di quelle, una a cui volevo bene e basta.

Nessun ombrello rotto le è bastato come scusa per farmi affrontare la tempesta sola.

D'istinto mi girai ad abbracciarla.

"Okay, Leyl, ma tieniti le smancerie per qualcun altro." mi prese in giro.

Risi, risi perché avevo realizzato quel che davvero quella ragazza significava per me e mi ritrovai a sperare che lei l'avesse capito.

"Come te la passi, Smith?" mi domandò con quel suo solito sorriso ad ornarle il viso.

"Bene, se non fosse che..." non ebbi tempo di concludere di rispondere alla sua domanda che rividi la versione di me agitata per la perdita della mia collana in lei, era terribilmente buffa.

"Leyl! Smettila di ridere!" mi rimproverò tenendo lo sguardo fisso sul mio collo.

"E' un disastro!" continuò dimenando le mani.

"Sarebbe stato il mio fidanzato." le ricordo con tono orgoglioso alludendo al giorno in cui decidemmo a tavolino chi sarebbe dovuta stare con chi, le nostre metà, ovviamente, non erano a conoscenza di questo complotto.

"Non avrebbe saputo resistermi." mi istigò.

La campanella mi salvò dal doverle rispondere, ci avrei pensato su per le cinque ore successive.

"Certo, Sarah, và in classe o Stephan si preoccuperà per te!" parlai a bassa voce per far si che le mie parole facessero effetto.

Cambiò subito colore in viso.

"Gli farò capire di star bene." mi disse scoppiando a ridere nel mio orecchio mentre ci stavamo scambiando il secondo abbraccio in cinque minuti.

Mentre si allontanava richiamò la mia attenzione.

"La troveremo." mi sembrò quasi una promessa, non sapeva quanto ci sperassi.

Rimasi lì, ferma a pensare fino a quando il camminare infrenabile degli studenti attorno a me mi riportò alla realtà: avrei dovuto affrontare una noiosissima e lunghissima ora di matematica.

Percossi i corridoi necessari per arrivare alla mia aula e, successivamente, mi feci spazio tra gli studenti per raggiungere il mio posto in terza fila quando un foglietto di carta mal tagliato attirò la mia attenzione.

"Whose is this?" c'era scritto.

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Spero vi piaccia, scusate per eventuali errori.

Hear you soon

Bye for now

All the Love as Always.

xhs












"Whose is this?" hs.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora