Rebecca

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Aprì gli occhi molto presto quella mattina e dopo qualche minuto era in piedi e vestita. Corse lungo il lungo pianerottolo di legno rivolgendo per un attimo la sua attenzione alle enormi finestre che circondavano il piano superiore della sua casa. Trovò un magnifico sole ad attenderla che per un attimo la accecò. Non ne fu preoccupata perché sapeva benissimo che quella magnifica giornata le avrebbe nuovamente donato la sua vista preferita.

Senza indugi appoggio il naso sulla finestra; respirando provocò immediatamente un alone che annullò gli sforzi di pulizia della governante, almeno per quel angolo della casa.

Dinnanzi a lei la vallata si srotolava come un tappeto bellissimo, costellato di una miriade di fiori. Il tappeto era sovrastato da un cielo terso di un azzurro così intenso da sembrarle finto.

L’incantesimo fu spezzato da una voce femminile molto familiare.

“Su su … sposta via quel musetto!” l’apostrofò la governante. La bambina si girò immediatamente e vide una sagoma enorme venirle incontro.

Un donnone la fissava con un’espressione eloquente che avrebbe in teoria dovuto terrorizzarla. In realtà Rebecca sapeva benissimo che Gemma, la sua governante, era in grado di fingere come sua madre di pilotare un caccia bombardiere e quindi il tentativo non ebbe i risultati sperati.

“Allora? Devo rilavare un’altra volta la finestra? ” la incalzò Gemma. Il tentativo di grido fu offuscato da una mezza risata dell’immensa donna che mandò gambe all’aria, il tentativo di spavento.

Rebecca rispose con un inevitabile pernacchia e corse via tra le luci delle finestre. L’enorme sagoma seguì con lo sguardo quella piccola furia dai capelli neri come la notte e così lunghi da impedirle quasi i movimenti; emise un sospiro e con risolutezza cercò di porre rimedio alla macchia sulla finestra.

Rebecca era un condensato di energia allo stato puro. Non era capace di restar ferma nemmeno per un secondo e spesso si cacciava in guai che lei stessa non si rendeva conto di aver provocato.

Le maestre erano disperate perché, benché le riconoscessero un’intelligenza fuori dal comune, non riuscivano a frenare in alcun modo il suo impeto.

Numerosi erano i rimbrotti, le punizioni e le misure che le sue insegnanti cercavano di attuare per domare quella sorprendente vitalità, senza alcun apparente risultato. Non era inusuale vederla chiacchierare con i bidelli della scuola anche per ore intere, arrivando a conoscerli tanto bene da farseli amici ed alleati contro le maestre. Erano quest’ultimi spesso a perorare la causa della bambini insistendo affinché fosse riammessa alle lezioni, riducendo la durata dell’ennesimo castigo.

Era protagonista di gesti teatrali e anche divertenti: una volta fu sorpresa ad imitare alla perfezione una lezione del vecchio maestro di matematica. Arrivò in classe, pretese silenzio e dopo aver imbracciato gessetti e registro, chiamò alla lavagna un divertito compagno di classe. L’esito fu scontato una volta che rientrò l’insegnante. Il bidello di turno le aveva già preparato la sedia dopo aver udito le urla furenti irrompere nella calma piatta della mattina scolastica.

Come potete immaginare amava, più di ogni altra cosa, far sorridere gli altri. Sentiva una sensazione fortissima allo stomaco ogni volte che, a seguito di qualche sua impresa, sentiva su di se lo sguardo divertito degli altri o, meglio ancora, il rumore di una fragorosa risata. 

Se questa sensazione così forte la rendeva felice, lei voleva trasmetterla agli altri.

Rebecca corse giù per le scale e quasi ruzzolò. Due enormi mani l’afferrarono e la tirarono a se.

“Ecco il mio tornado…”  l’apostrofò bonariamente il padre.  

“Papà sei tornato!”  la bambina replicò istantaneamente con un urlo acuto.

“Ne dubitavi?”

La risposta era scontata. Se c’era una cosa che per Rebecca poteva essere più sicura e granitica del sole che sorge al mattino, quella era la voce rassicurante del padre che le veniva incontro e l’immediato tepore che ne scaturiva nel suo animo.

Nonostante ciò il tornado abbraccio violentemente il padre pronunciando un fragoroso “mi sei tanto mancato”.

Era un rito quasi sacro che accomunava questi due esseri umani che, seppur uniti da un vincolo di sangue, erano costretti a vivere gran parte del loro tempo l’uno lontano dall’altro.

Il papà di Rebecca lavorava dall’altra parte del mondo per una compagnia petrolifera ed era costretto a lunghi periodi lavorativi lontano dalla famiglia. Il fuso orario e la quasi totale mancanza di tecnologia comunicativa di quegli anni rendevano pressoché impossibile ogni contatto frequente fra i due. Nonostante queste due anime fossero cosi distanti, un vincolo di assoluto amore li univa anche a migliaia di chilometri di distanza.  Il padre e la figlia erano uno parte indissolubile dell’altra e l’intensità dei sentimenti di strazio e commozione che accompagnavano ogni momento di separazione ed ogni nuovo incontro, erano a testimonianza di tale

“E il regalo?” chiese il tornado.

“Ogni cosa a tempo debito, bambina mia non avere fretta. Prima è il caso che vai in cucina a vedere cosa ti ha preparato la mamma”

La bambina sparì in un lampo, insieme al suo sorriso furbo, dietro la porta della cucina  lanciando un urlo di gioia incontenibile.

“Che grande mamma!”

Un ammasso di calorie colori e pan di spagna dominava l’intera stanza ed era circondato da diverse persone che, laboriosamente, si adoperavano per completarne i dettagli.

“Grande torta per grande monella!”

La mamma fece per acchiapparla, inutilmente. Il tentativo riuscì al padre che nel frattempo l’aveva raggiunta....

Rebecca era una bambina decisamente fortunata. I suoi genitori stravedevano per lei era piena di amici, nonostante le sue continua marechelle (in fondo erano simpatiche!); era circandota da amore e da tanto tepori fin da suoi primi istanti di vita.

Per questo motivo i tragici cambiamenti che la videro protagonista da li a qualche tempo, segnarono profondamente la sua vita.

La Lettura (Breve Racconto Erotico)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora