2. La bambina che voleva morire

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LA BAMBINA CHE VOLEVA MORIRE

RACCONTO DI UNA MADRE:

"Quando me lo disse per la prima volta aveva solo 3 anni di vita, e in quel momento mi sentii morire anch'io". Così è iniziato il calvario di una mamma olandese.

"Tutto iniziò quando mia figlia aveva solo 3 anni. Stavamo tornando dall'asilo, con la bicicletta, lei dietro di me, quando improvvisamente ho sentito la sua vocina che diceva: mamma, non mi piace più!

Pensavo che si riferisse all'asilo, per cui le domandai di spiegarsi meglio: non le piaceva più recarsi in quel posto o non le piacevano i suoi compagni? Mi rispose, senza esitazione: la vita! Non mi piace più vivere.
Già da tempo era triste, silenziosa. Oserei dire ...profondamente infelice. Dopo quella volta cominciò sempre più spesso a parlare di morte. Anche il suo comportamento divenne sempre più strano. Se giocava per la prima volta con un bambino, dopo un secondo era diventato il suo migliore amico; ma dopo cinque minuti diceva di odiarlo ed interrompeva ogni contatto con lui.

Quando aveva pochi mesi di vita a volte te la dimenticavi, tanto era tranquilla e zitta; ma poteva anche succedere che di colpo si mettesse a strillare istericamente. Le piaceva giocare con i Lego, tuttavia, se non riusciva a metterli uno sopra l'altro, ben incastrati, si infuriava e li tirava per tutta la camera. Mangiava pochissimo e beveva pochissimo. Neppure i pediatri riuscivano a capire la causa della sua inappetenza. Dopo qualche anno le fu diagnosticata una patologia chiamata ADHD (Attention-Deficit Hyperactivity Dis-order).

Ricordo una volta in cui la trovai in cucina con un coltello contro la gola; si girò verso di me e guardandomi fisso negli occhi mi chiese, gelida: che cosa dici? La faccio finita? In quel momento anche a me si gelò il sangue nelle vene! Le levai il coltello di mano e il giorno dopo mi rivolsi ad uno psichiatra infantile, che mi consigliò di starle vicino con tanto amore. Ma l'amore può bastare in questi casi? Infatti diventava ogni giorno più difficile; c'era qualcosa in lei che la spingeva a volersi fare del male, a cercare la sofferenza e a coinvolgere anche me in questa sua ricerca; godendo quasi del dolore che mi dava.

A 5 anni per esempio voleva che la vestissi con magliette strettissime e che stringessi pure la cintura del calzoncini così tanto... che quasi non respirava. La stessa cosa valeva per i capelli; li voleva raccolti in una coda di cavallo tiratissima. In seguito mi disse che voleva sentire tutto il dolore della vita sul suo corpo.

A scuola picchiava gli altri bambini oppure si isolava e se ne stava taciturna in un angolo davanti alla finestra, guardando fuori. A volte si scagliava contro di me quasi con odio; ma dopo 5 minuti volava nelle mie braccia chiedendomi scusa e baciandomi. Suo padre era sempre via per lavoro e tutto il peso di questa situazione ricadeva su di me.
Una volta spinse il coltello con più forza contro la gola, ferendosi. Allora non ce la feci più a stare a guardare impotente; chiedemmo aiuto ad un ospedale psichiatrico, dove la ricoverarono per sei mesi, insieme ad altri bimbi con problemi psichici.

Fu il periodo più brutto della mia vita. Mi sentivo in colpa per averla allontanata da casa, per non avercela fatta più ad assisterla da sola, a capire il suo disperato grido di aiuto. Quando tornò a casa, secondo gli psichiatri, guarita, ma imbottita di medicine, ricordo che era Natale e che io, mio marito e la sorella maggiore, eravamo molto felici di riaverla fra di noi. Purtroppo dopo pochi giorni scappò. La polizia la ritrovò in un campo, in mezzo alla neve, al freddo, inebetita. Andò mio marito a prenderla e la prima cosa che gli chiese fu "se qualcuno si era accorto della sua assenza. Se a qualcuno era mancata". Suo padre rispose che era mancata a tutti.

Da allora scappò un giorno si ed uno no; ed ogni volta io salivo sulla mia bicicletta per andare a cercarla. Devo ammettere con tanta vergogna che mi capitò persino di pensare che poteva pure arrangiarsi, che mi ero stancata di inseguirla; arrivai addirittura a provare fastidio nei suoi confronti, e a chiedermi se le volevo veramente bene. Ma, vi prego, non mi giudicate per questo! Per fortuna si trattava di momenti di sconforto passeggeri; mi rendevo subito conto che era la stanchezza fisica e psichica che mi portava a provare quelle terribili emozioni, inimmaginabili per una madre. E correvo di nuovo a cercarla, nel timore che potesse veramente farsi del male.

Infatti una cosa era certa; Chrystel non amava la vita. Non l'aveva mai amata e neppure lei sapeva perchè. Spesso ripeteva che voleva farla finita per il semplice fatto la vita stessa non le interessava. Ora ha 11 anni ed è stata di nuovo ricoverata in un ospedale psichiatrico, dopo un tentativo di suicidio. Io e mio marito siamo in terapia, aiutati da uno psicologo. Ma il dramma che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo non ci abbandonerà mai".



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