1-Chi...appartamento?

92 8 3
                                    

-1-

Chi, nella categoria dei sani di mente, si mette nella posizione di essere pacificamente ammazzato nel proprio appartamento?  

...

Nevicava, e nevicava tanto. Sembrava davvero una brutta giornata, una di quelle in cui vuoi solo stare rinchiusa in casa e dormire fino a essere stufa di fare anche quello. Ovviamente non potevo, e me lo stava ricordando insistentemente quella maledetta sveglia sbilenca appoggiata sul comodino. L'avevo lanciata così tante volte che era un miracolo il fatto che suonasse ancora tutte le mattine alla stessa ora. La spensi, sconfitta.

Mi alzai a fatica e corsi in bagno. Mi sciacquai velocemente la faccia, lavai i denti ancora più velocemente e mi truccai con un filo di matita mentre mi infilavo i pantaloni con la mano libera. Tornai in camera, indossai la prima felpa pulita spingendo poi i piedi in un paio di scarpe, completando l'opera. Presi una sciarpa, la borsa e mi catapultai fuori. Correndo mi pettinai alla meno peggio i capelli e sperai di riuscire ad arrivare in tempo. Quel giorno avevo lasciato suonare un po' troppo la sveglia, come ogni giorno d'altronde, e dovevo sbrigarmi se volevo arrivare puntuale al lavoro.

In quel periodo lavoravo in un bar a New York. Dovevo percorrere solo due centinaia di metri, ma anche dopo sei mesi mi sembrava un labirinto. Gira a destra, poi dritto, a destra di nuovo e infine a sinistra, no un attimo, dritto di nuovo e ancora a sinistra. Stavo svoltando per l'ultima volta quando un'ombra saltò fuori dall'oscurità nella mia direzione.

Fu un momento, mi urtò violentemente ed io caddi a terra come un sasso. Addio alla puntualità.

Mi misi a sedere, un po' tramortita, ripresi la borsa e afferrai la mano tesa davanti ai miei occhi. L'ombra si chinò a raccogliere tutto quello che era finito sul marciapiede, lo ripose nella tracolla e mi accorsi che gli stavo ancora trattenendo la mano. Alzai lo sguardo giusto in tempo per sentire un burbero:-Sorry-. Come se fosse stata colpa mia...

-It's nothing- risposi sbrigativamente. Poi lo osservai più attentamente. Notai solo un paio di ammalianti occhi grigi. Li avevo già visti, quegli occhi, non ricordavo esattamente dove, ma li avevo già visti. Lui accennò un sorriso e io, senza neppure prendermi il disturbo di ricambiarlo, mi voltai e ricominciai a correre. Sapevo di non dover assolutamente cedere a quello sguardo. C'era una vocina in fondo alla mia coscienza che cercava di farsi ascoltare. Non era lo sguardo in sé ad inquietarmi, erano i guai che sembrava attirare.

Come predetto, arrivai in ritardo e c'erano già i soliti abitudinari con un sorriso bonario ad aspettare che dessi il cambio al mio principale. Fui un fulmine, avevo la testa libera, non riuscivo a pensare a niente (e questo per me è più che positivo). Servii tutti con un sorriso più spento del solito, aspettavo solo... No, non aspettavo niente, semplicemente quella notte avevo lavorato fino alle quattro e alle sei e mezza, o meglio, sei e trentacinque ero già tornata a lavorare. No big deal...

Circa a metà mattinata, verso le dieci, incontrai ancora quegli occhi e mi resi conto che forse stavo aspettando davvero qualcosa. Guardai fuori dalle grandi vetrate e tra i fiocchi di neve candida lo rividi. Stesso sorriso. Stesso cappuccio. Stessa sensazione di inquietudine. Eppure quello sguardo mi attraeva ancora a sé.

Un signore anziano, accorgendosi che lo stavo guardando mi avvertì. Mi disse di stare attenta a quel ragazzo, che non aveva una buona fama, che non poteva essere il tipo adatto a una ragazza come me. Gli sorrisi divertita:-Don't worry!- Gli dissi che non avevo tempo per i ragazzi e che mi sembrava solo di averlo già visto. Sembrò tranquillizzarsi, ma appena l'Ombra entrò dalla porta, s'irrigidì, mi chiese il conto e scappò più veloce di una lepre. E addio al "non preoccuparti"...

NevicavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora