Capitolo 1

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Le mie gambe tremavano mentre ero seduta su quella sedia fredda dove c'era il mio numero incollato sopra.
Cercai di alzarmi senza cadere quando Alice pronunciò il mio nome, la mia età e la mia provenienza.
Vidi un uomo alzarsi e sventolare le braccia per attirare l'attenzione della bruna.
«Quanto propone?» gli domandò.
«Cinquemila!» tutti nella sala sussultarono a causa dell'alto prezzo, compresa me.
Quel momento stava per arrivare.
Stavo per essere comprata da un completo sconosciuto.
In quel momento mi vennero in mente le poesie di Ungaretti scritte in tempo di guerra, che studiai durante la scuola media in Italia, dove lì si poteva perdere la vita in un istante e per questo il poeta si sentiva così attaccato ad essa.
Ora lo capivo.
Per me quella era come la morte perché non avrei più avuto possibilità di vita. Non avrei più avuto possibilità di avere una famiglia, di scoprire il mondo, di invecchiare accanto alla persona che amavo. Non avrei più rivisto mio fratello e i miei genitori.
Solo in momenti come questi si comprende la vera importanza della vita e delle persone che ci circondano.
Un groppo in gola si fece spazio dandomi la sensazione di soffocamento e ingoiai pesantemente le lacrime che pian piano si andavano accumulando sempre più veloci ai lati dei miei occhi castani.
L'uomo che aveva intenzione di farmi sua proprietà non era affatto giovane: era in sovrappeso, con la barba unta e lunga come i pochi capelli grigi che gli rimanevano sul capo, il suo naso era enorme e davvero poco grazioso e i suoi piedi erano più grandi di quelli di Harry.
Indossava una giacca marroncina abbinata a dei pantaloni di velluto dello stesso colore.
I suoi denti erano ingialliti e molti addirittura mancavano; ogni tanto emetteva forti colpi di tosse grassa, segno che fumava troppo.
«Nessun altro propone un prezzo più alto?» domandò Alice sorridendo ai suoi "clienti" per poi voltarsi verso di me.
«Bene,» disse poi, battendo un martellino di legno, che aveva utilizzato ogni volta per ufficializzare la vendita, sopra il leggio.
«Acquistata!» sorrise trionfante.

Presto un uomo della sicurezza mi raggiunse e mi accompagnò dietro le quinte.
Sperai di incontrare Dylan, ma non c'era traccia di lui, né di quel bugiardo di Zayn.
Solo al pensiero di quel ragazzo mi saliva l'istinto omicida. Non lo avrei mai perdonato per ciò che aveva fatto. Per colpa sua avevo perso tutto.
Scendemmo delle piccole scale e venni portata in una stanza piccola e poco invitante dicendomi poi di attendere l'arrivo del mio nuovo proprietario.

Cercai di non scoppiare in lacrime una volta che la porta fu chiusa alle spalle dell'uomo. Non sarebbe servito a risolvere le cose, anzi le avrebbe solamente peggiorate.
Rimasi lì immobile fino al suo arrivo.
Entrò qualche minuto dopo varcando goffamente la soglia della stanza e mi incitò ad andare da lui.
Mi faceva solamente ribrezzo un uomo del genere, ma non solo per il suo aspetto fisico, per il fatto che era partecipe ad eventi come questo.
Lottie non era stata ancora venduta e speravo davvero il meglio per lei.
«Forza, andiamo.» disse con voce molto rauca. Intravidi un pacchetto di sigarette nella tasca posteriore destra del pantalone, stretto in vita da una cinta spellata e vecchia di cuoio marrone.
Mi tese la mano ma non la afferrai, si limitò a scrollare le spalle e io mi limitai semplicemente a seguirlo, non degnandolo di uno sguardo.

Uscimmo dall'edificio in cui ero stata prigioniera e, finalmente, potei respirare aria pulita.
Chissà quanti chilometri mi separavano da Harry.

Pioveva rovinosamente e i miei capelli si bagnarono diventando subito dopo pesanti e i boccoli iniziarono a sparire in fretta, afflosciandosi sulle spalle.
L'auto dell'uomo era un'elegante Mercedes bianca, nuova di zecca.
Mi aprì lui lo sportello posteriore destro e mi sedetti con poca eleganza. I sedili erano fatti interamente di pelle beige.
Nel piccolo ambiente la puzza di fumo misto all'odore della pelle nuova dei sedili prestigiosi padroneggiava e tossii più volte, infastidita, non sopportando quell'odore.
«Scusa tesoro, è un vizio piuttosto brutto.» si riferì al fumo.
«Non chiamarmi così.» dissi acidamente guardando fuori dal finestrino mentre la lussuosa macchina accelerava sempre di più.
«Sei pregata di darmi del lei.» mormorò guardandomi.
I suoi occhi erano verdastri, simili al vomito, spenti, a forma di due palline da golf e cerchiati da profonde rughe. Imboccò l'autostrada, che era molto trafficata, e ci allontanammo da quella che era stata la mia prigione verso chissà dove.
«Dove ha intenzione di portarmi?»
«A New York, dolcezza.» ghignò guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore e in quel momento realizzai ufficialmente che la mia vita era terminata.

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