Seguii John e il maggiordomo dentro la maestosa casa e restai a bocca aperta non appena vidi il suo interno.
L'ingresso era abbastanza ampio e vi era solamente un piccolo tavolino di marmo con alcune chiavi su di esso, un attaccapanni e un porta ombrelli elaborati in mogano.
Avanzai e un largo corridoio mi condusse a sinistra dove c'era il salotto.
Tutte le pareti della casa erano rigorosamente color crema e su di esse vi erano alcune riproduzioni dei quadri di Monet, il mio pittore preferito.
Adoravo la corrente artistica a cui apparteneva, l’impressionismo, e di conseguenza amavo molto le sue opere.
Dall'alto pendeva un luccicante lampadario che sembrava costoso tanto quanto l'affitto dell'appartamento mio e di Niall a Barcellona, forse anche di più.
I divani e le poltrone erano di velluto bordeaux, un pregiato tappeto indiano copriva l'intero pavimento rendendo morbidi i passi e una TV al plasma copriva quasi l'intera parete opposta ai sofà.
Dall'altra parte della sala invece c'era un grande mobile di vetro contenente bicchieri di cristallo, piatti di porcellana e set da tazzine dello stesso materiale, con dei bellissimi fiori dipinti a mano su di esse.
Le finestre grandi rendevano tutto più bello, permettendo alla luce di penetrare nella casa durante il giorno.
Ritornammo sui nostri passi, nel corridoio, per girare a destra, dove si trovava la cucina.
Tutto perfettamente era in ordine e almeno cinque cuochi avrebbero avuto abbondante spazio per cucinare.
Nemmeno una famiglia composta da dodici figli avrebbe riempito l'intera casa.
Il maggiordomo continuava inutilmente a parlare per illustrarmi la casa e non aveva smesso di farlo dal momento in cui avevo messo piede qui dentro.
«La sala da pranzo invece è qui giù.» ritornammo nel salotto e lo attraversammo completamente, per raggiungere una porta che ridava sul luogo da lui indicato in precedenza.
Ogni stanza era più bella dell'altra.
La sala da pranzo aveva al centro un enorme tavolo di legno scuro con quattordici sedie, rispettivamente sei per ogni lato e una ad ogni capotavola.
Nel frattempo John si era volatilizzato, fortunatamente.
Ogni tanto intravedevo una serva intenta a pulire o risistemare oggetti nella casa già perfettamente ordinata.
«I servi mangiano insieme ai proprietari della casa?» mi azzardai a chiedere, interrompendolo nel suo discorso su quanto fossero pregiati i mobili e i tappeti indiani.
«Certo che no, e neanche tu puoi.» mi guardò allo stesso modo in cui si guarda una prostituta.
Non risposi dato che mi sentii ferita nel mio ego.«Proseguiamo.» disse voltandosi.
Era ridicolo, indossava uno stupido frac con dei pantaloni neri attillati, scarpe tipiche inglesi e i capelli grigi raccolti in una cipolla bassa.
Il suo profilo era poco delicato, un nasone aquilino, occhi infossati con iridi colorate di un marrone spento e triste, la bocca fine e screpolata.Lo seguii lungo la sala da pranzo, che risbucò a sua volta in una specie di hall dove c'erano delle grandi scale di marmo che si dividevano in due rami, destra e sinistra, conducenti ai piani superiori.
«Non sono io ad occuparmi di te. Stai qui fin quando non arriverà Marie.»
Mi liquidò e si voltò in fretta, sempre con quell'aria da snob come per dire so-tutto-io.
Mi appoggiai ad una colonna portante e aspettai, ormai stanca. Era quasi ora di cena ed ero sfinita, disturbata dal fuso orario e affamata.
Presto sentii un rumore veloce di tacchi riecheggiare per la casa e mi voltai, vedendo una buffa donna pienotta camminare velocemente nella mia direzione.
Aveva i capelli grigi raccolti in una cipolla alta, una bandana bianca avvolta intorno al capo e un vestito nero con un grembiule bianco la copriva.
Erano tutte vestite allo stesso modo.
«Ciao, tu devi essere Marie?» domandai cercando di sorridere alla donna dinanzi a me.
«Sì, piacere di conoscerti cara...?» disse con un fortissimo e fastidioso accento americano.
«Shirley, mi chiamo Shirley.» ampliai di poco il sorriso.
«D'accordo, vieni con me, ti porto nella tua stanza. Ci sono già vestiti per te.»
Non ebbi tempo di rispondere che mi trascinò letteralmente per un braccio verso le scale che portavano a sinistra.
Guardai dietro e notai che quelle di destra conducevano ad un corridoio identico a quello che stavamo percorrendo noi.
C'erano una miriade di finestre con tende bordò e porte.
Ne contai almeno una decina e si fermò alla dodicesima a destra.
Infilò velocemente la chiave, che portava appesa al collo, nella serratura e, dopo una serie di giri e imprecazioni, la porta si aprì rivelandomi una bellissima stanza con un letto a baldacchino con le coperte beige e le pareti sempre color crema.
La finestra era grande e immaginai come di giorno la luce avrebbe illuminato tutta la stanza, rendendola più bella di quanto fosse già.
L'armadio conteneva scarpe di tutti i tipi e vestiti eleganti della mia taglia.
Anche l'intimo era della mia misura.
Guardai sconcertata e incredula Marie, aprii la bocca per chiederle stupita come facessero a sapere tutto, anche la mia taglia di reggiseno, ma mi bloccò con una mano e dicendo, «Non chiedere dolcezza, non saprei risponderti e, fidati, è meglio così.»
C'era anche una piccola porta al lato dell'armadio che conduceva ad un bagnetto interamente dipinto di un bianco fin troppo accecante, tutto per me.
Sulla parete sinistra c'era una scrivania vuota con un grande specchio rotondo.
Tornai in camera, sedendomi sul morbido letto.
«Tra poco è ora di cena. Verrò a chiamarti io.» sorrise e si congedò, uscendo silenziosamente dalla stanza.
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Past.
FanfictionNella vita di Shirley è tutto cambiato dopo il giorno in cui ha perso tutto e tutti. Nel mondo reale non sempre esiste il lieto fine, ma ciò non significa che la speranza va perduta. «Volevo piangere, ma non ci riuscivo. Volevo urlare, ma non trovav...