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Era un venerdì, il sole era caldo in cielo nel capoluogo della Sicilia.

In una casa popolare, una sveglia picchiava sul comodino e un ragazzo si dimenava sotto le coperte.

«Francesco, svegliati!» disse una voce a molta distanza dalla stanza. Lui allungò il braccio e lo stese verso la sveglia per farla smettere e rialzarsi, se non con fatica e con il letto che non voleva mollarlo. Francesco era un ragazzo dai capelli castano scuro molto folti e lisci, era magro e, per i pochi muscoli che gli si vedevano, poteva sembrare abbastanza ben messo. Era alto un metro e sessantacinque, la sua carnagione era molto bianca per un siciliano delle sue parti, giocava a calcetto ed era molto bravo nel suo campo ma anche nello studio, con buoni voti nella media. Quella mattina era molto felice, stava per andare a studiare in un'importante università all'estero. Aveva scoperto di essere stato ammesso all'università della California, così si chiamava, era un'università molto famosa, dove avevano studiato molti alunni ormai celebri, come l'attore Ben Stiller o il regista e produttore dei Simpson David Silverman. Francesco si fece una doccia fredda per svegliarsi del tutto e poter essere bello fresco e pronto per questa sua nuova avventura e vita universitaria. Venne a conoscenza della bella notizia un tardo pomeriggio non molto bello per lui, si era lasciato con la ragazza e, se non bastasse, aveva perso anche una partita a calcetto; tornò a casa e vide in cucina suo padre, meno alto di lui, abbastanza robusto e con la carnagione scura, molto diversa da quella sua. Suo padre stava fumando nel mentre sua madre, meno robusta del marito e parecchio più giovane si stava asciugando le mani, molto eccitata non appena vide Francesco entrare in cucina. Suo padre lo guardò attraverso i suoi spessi occhiali e lo invitò a leggere una lettera che aveva tra le sue grosse mani sciupate nel corso degli anni per i duri lavori che in passato svolgeva. Prese la lettera e non fece caso a chi l'avesse spedita, inghiottì la saliva e cominciò a leggere a mente. La lettera era scritta in inglese.

Egregio Signor Sylvan,

siamo lieti di informarla che lei è stato uno dei pochi ragazzi internazionali a essere ammesso alla UCLA, "Università della California, Los Angeles".

La informiamo inoltre che i corsi d'inglese per voi alunni internazionali saranno aggiunti una volta iniziato il programma di studi che lei intende intraprendere.

Per i libri di testo, troverà un foglio nella segreteria della nostra università.

Lei inizierà la settimana entrante, quindi la preghiamo di raggiungerci prima del weekend per abituarsi all'orario e non dover fare tardi alle lezioni.

Per il vitto e alloggio: alloggerà in uno dei nostri accoglienti edifici dentro il campus o potrà essere ospitato da una famiglia americana oppure andare in un appartamento condiviso con altri

studenti dell'UCLA sempre nell'area dell'università.

Cordiali saluti.

Meredith Margot, vicepreside.

Finì di leggere la lettera e la posò sul tavolo e con irrefrenabile sorriso comunicò la buona notizia ai suoi genitori. Sua madre scoppiò di gioia e corse a congratularsi amabilmente con lui, suo padre lo abbracciò e quel gesto gli parve strano, non avevano un buon rapporto. Ricambiò riluttante e corse subito a chiamare il suo migliore amico, Stefano.

«Stè, non crederai mai a ciò che ti sto per dire!» gli disse Francesco rischiando di impappinarsi. «Sono stato ammesso, non riesco a crederci!» Il suo entusiasmo era credibile visto che le iscrizioni per quella università avevano il sedici per cento di possibilità di andare in porto. Stefano fu molto felice e sapeva già che il suo migliore amico aveva talento e che ogni scuola con una buona borsa di studio lo poteva prendere.

«Mi mancherai, chiamami quando puoi» gli disse, e Francesco annui soltanto. «Chiamami non sempre però, eh, almeno non in orari esagerati sennò vengo lì e ti sbatto» aggiunse ironicamente per spezzare la conversazione. Così dopo due giorni, eccolo lì che si alza per l'ultima volta nel suo amato letto. Dopo essersi preparato del tutto, una maglietta nera e dei pantaloni a cavallo basso celesti, scarpe alte nere. Scese in cucina, fece la sua ultima colazione anche se in compagnia di suo padre che fumava. Finì in fretta e risalì per prendere la valigia e il suo zaino della Ghotica, una marca di merchandising molto famosa su internet. L'aereo sarebbe partito in meno di due ore, doveva sbrigarsi per non perdere altro tempo, non vedeva l'ora di andare a Los Angeles. Per la sua nuova vita sperava il meglio, tutto quello che quella vecchia non era riuscita a dargli. Il volo era low-cost, ciò risultò molto comodo, spendendo meno di altre tariffe di viaggio in tutta Italia che poté trovare. Palermo-Los Angeles: dopo sedici ore di viaggio ininterrotto, sentì l'aereo finalmente atterrare all'aeroporto internazionale di Los Angeles. Dovette aspettare un po' di secondi alla lunga fila per uscire finalmente dall'aereo, non stava più nella pelle: era il suo più grande sogno, andare nella sua amata e ammirata Los Angeles, dove sperava anche di poter incontrare alcuni dei suoi attori e attrici preferiti. Finalmente scese, fece un grosso respiro di sollievo e guardò dritto; altre persone stavano salendo su un altro aereo, si chiedeva cosa potesse spinger la gente ad andare via da una città meravigliosa come quella - anche se al momento aveva visto solo l'aeroporto - di Los Angeles. Attraversò il grande aeroporto, aspettando che i poliziotti controllassero la sua valigia e il suo zaino tramite il metal detector. Alla fine era ufficialmente libero di andare. Uscì dall'aeroporto affacciandosi alla strada di World Way, dove vide alcuni taxi posteggiati di fronte, era il momento di andare a far visita all'università ma prima dovette cambiare la sua valuta in dollari. Prese un taxi in cui alla guida c'era un uomo di colore, dal fuori sembrava abbastanza robusto, la testa completamente rasata. Fu un bene che avesse i massimi voti in lingua inglese, ma non essendo la sua madrelingua intendeva migliorarsi. Il sole era alto in cielo, così pensò che per andare in università sarebbe stato più saggio andarci direttamente all'inizio settimana, ovvero dopo due giorni, così da potersi godere il soggiorno in santa pace. Mentre l'uomo di colore aspettava la sua richiesta, Francesco una volta messa la nuova scheda telefonica per il cellulare, cercò su Google qualche appartamento da condividere. Qualcuno gli urtò contro e gli rubò il taxi che, nemmeno il tempo di reagire e di insultarlo con il suo dialetto palermitano, partì lasciandolo a piedi. Doveva sbrigarsi, se non voleva restare fuori dall'aeroporto con anche i bagagli in mano. Si ricordò che l'università si era già occupata di questo problema o meglio sua madre. Prese un altro taxi e chiese al conducente di portarlo all'università. Arrivò dopo venti minuti, pagò il tassista, un tipo misterioso con dei baffetti e con l'accento messicano. Si guardò intorno vedendo un grosso cancello ancora aperto, entrò con i brividi che lo pervadevano dappertutto e si guardò attorno entusiasta. C'erano alcuni studenti lungo il percorso e alcuni annaffiatoi che giravano attorno ai prati del campus. Di fronte a lui, dopo vari alberi ai lati, vide il Royce Hall, l'edificio principale del campus. Il campus al momento comprendeva 163 edifici sparsi per un'area di 1,7 chilometri quadrati, nella parte occidentale di Los Angeles, a nord del quartiere commerciale di Westwood e poco a sud del Sunset Boulevard, e confinava con i quartieri di Bel Air, Beverly Hills e Brentwood. Vi erano ampi prati, giardini con sculture e fontane, musei e una grande quantità di stili architettonici. Francesco non appena vide una delle fontane si volle sedere per un attimo, l'area attorno era molto calma e serena. Non sapeva ancora da che parte andare, se al North Campus o al South Campus, situati in zona occidentale dell'Università. Il Royce Hall assomigliava molto alla basilica di Sant'Ambrogio, per questo a Francesco gli sembrò familiare. Alla reception trovò un uomo sulla quarantina se non di più, gli chiese un'informazione. L'uomo, che si rivelò molto gentile, capì subito che era nuovo, non che ci volesse molto, e gli chiese il nome e il cognome di Francesco per controllare se fosse tutto a posto. Pochi minuti dopo, con un grande sorriso da far vedere che gli mancavano alcuni denti, disse a Francesco che poteva andare al North Campus, dove lo aspettava un suo coinquilino. Appena gli diede le indicazioni, si avviò. Il cielo era sereno e senza nemmeno una nuvola, pensò che fosse il momento di cambiare l'orario visto che sul cellulare gli spuntavano le 2 di notte. Attraversò tutta la strada del campus per arrivare al North Campus tramite la mappa che gli aveva gentilmente dato il vecchio custode. Arrivò di fronte a un edificio più piccolo degli altri, da quanto si poteva vedere aveva al massimo di quattro piani. Fuori lo aspettava un ragazzo, dai capelli biondo scuro lunghi fino alla spalla, magro e muscoloso. Era alto più di Francesco, non sembrava neanche un americano. «Francesco?», parlava abbastanza bene l'italiano, pensò che fosse anche lui uno studente internazionale dell'ateneo. «Piacere Diego, sarò il tuo coinquilino per i prossimi dodici mesi.» Gli sorrise, sembrava a posto, gli tese la mano e se la strinsero. Lo seguì con i bagagli in mano, il sole batteva leggero in tutto il campus. L'edificio era più uno studentato, dalle scale vide bicchieri e bottiglie a terra, il tanfo di alcool si sentiva prepotentemente. Arrivarono al secondo piano, Diego gli spalancò la porta per farlo entrare. L'appartamento non era uno dei più grandi che avesse mai visto ma sembrava accogliente, finché non vide nel piccolo salone vicino alla cucina cicche di sigarette per terra. «In questo appartamento ci vivo solo io, quindi spero ti potrai sentire a tuo adagio.» Buttò per terra resti di carta di cibo spazzatura dal divano. «Non saremo mai soli, quindi tranquillo, che potrai ambientarti subito e mettiamo in chiaro una cosa: facciamoci i cazzi nostri e la nostra vita universitaria andrà liscia.» Francesco dal suo discorso capì che sembrava più una minaccia, come dirgli "Sta' alla larga" . Cominciò a curiosare per la sua nuova casa, andò in cucina dove c'era un grande frigorifero di color legno, un lavandino che a vista sembrava essere usato come portacenere, due credenze dove vi erano posti dei cereali e del latte che sembrava scaduto da giorni. Uscì dalla cucina e disse: «Diego, ehm...» Prima che potesse finire la frase, lui lo precedette: «C'è una stanza vicino al bagno di là, non fare caso a me» gli disse mentre si beveva la vodka dalla bottiglia stessa. Anche se l'appartamento sembrava piccolo, non si aspettò di vedere un corridoio dove però la luce non batteva, passò attraverso l'oscurità del piccolo corridoio. A sinistra vide il bagno, cercò l'interruttore della luce che vide vicino alla porta nell'interno. Forse era l'unico punto pulito di tutto l'appartamento ma si sbagliava, più avanti vide una porta socchiusa a destra. In quel momento pensò di trovare qualche killer assassino che lo stava aspettando per ucciderlo, aprì lentamente la porta di legno ed ecco la sua stanza: un letto sistemato, una piccola scrivania con una lampada semicurva, e nemmeno una finestra. «Volevo dirti che il campus non vuole più venire a pulire» gli urlò Diego dal piccolo salone. Si sedette sul suo letto, notò ai lati dei cassetti, così aprì la valigia e cominciò a sistemare nei tre vari cassetti i suoi indumenti. Niente tivù ma in compenso aveva uno scaffale dove poter mettere i suoi libri preferiti. Appena finì tornò da Diego, sdraiato sul divano a contemplare il soffitto bianco. Gli riferì che all'indomani avrebbe conosciuto alcuni suoi amici del campus e al di fuori. «Non credo sia...» venne interrotto di nuovo, Francesco ne sembrò molto urtato ma Diego non gli fece caso. «Conoscerai tanti ragazzi e ragazze, così appena inizierai l'università tutti ti conosceranno e non avrai altro che dire "Ehi, sono quello nuovo che ti ha scopato la sera prima!'"» gli disse con tono alto di voce e si mise a ridere subito dopo. A Francesco scappò un piccolo sorriso e sì, si notava dal suo viso: voleva proprio conoscere qualche ragazza americana. «Oggi ti va di andare al mercato?» gli propose Diego alzandosi di scatto dal divano. Francesco ci pensò un minuto ma rispose che era più che lieto di fare un giro nella bellissima Los Angeles. Gli disse anche che non c'era bisogno di cambiarsi, poteva farlo il giorno dopo. Era un modo per presentarlo pulito e meno puzzolente quando Francesco inevitabilmente avrebbe assaggiato la "carne" delle Americane. Dalla risposta ottenuta, Francesco si stava per affogare con la sua stessa saliva ma non disse nulla, Diego era fin troppo schietto.

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