First day

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"Zainetto?"
"C'è."
"Libri?"
"Beh, sono dentro lo zainetto..."
"Giusto. Il cappotto?"
"Appeso all'appendi-abiti, come sempre."
"E lo spry al peperoncino?"
"Spry al cosa!?"
"Beh, nel caso qualche bambino voglia spintonarla contro gli armadietti, sai, per autodifesa..."
"Ok Kurt, Kurt, rilassati."
Blaine guardò dritto negli occhi suo marito, con la seria intenzione di farlo calmare; questo, infatti, era da più di tre ore che faceva su e giù per la casa facendo come una sorta di lista della spesa di tutte le cose che avevano preso, che andavano prese che voleva prendere ma non poteva perchè Blaine glielo aveva categoricamente impedito.
"Parla quello che stamani si è alzato un'ora prima." Canzonò il ragazzo, cercando di apparire più serio di quanto in verità non fosse: in effetti, quella mattina Blaine si era svegliato di buon'ora, non si sa come, non si sa perchè, aveva preparato due tazze di caffè –più una di supporto, non si sa mai si dovesse rovesciare in terra- e aveva impiegato un'incredibile ammontare di minuti, che a Kurt parvero delle ere, ad aggiustarsi i capelli con la cera che usava per le occasioni speciali. Blaine si strinse nelle spalle, sviando appena lo sguardo: "dovevo essere presentabile per le insegnanti."
"Certo, le insegnanti. Come se ti importasse davvero di fare bella figura a delle signore di mezza età che non sanno distinguere una modella da un palo."
"Andiamo Kurt, sai cosa voglio dire."
"Sì, lo so." E in quel momento si presero le mani, entrambi emozionati. "E lo capisco, perfettamente. Ma adesso lasciami finire di fare mente locale su tutti gli oggetti."
Blaine ridacchiò, ma acconsentì senza troppe pretese. Lo zainetto di Prada posto sopra al divano sembrava più una borsa dei campeggiatori, dotata di bottigliette per l'acqua, merendine energetiche ma ipocaloriche, giocattoli, quaderni, penne colorate che profumavano all'olfatto e perfino un cuscino, non si sa mai quello in dotazione fosse sporco o sgualcito.
Sembreranno comportamenti esagerati. In effetti, lo erano proprio. E anche Lizzy pensò la stessa cosa, non appena varcò la soglia della sala con il suo vestitino di blu jeans e i suoi collant bianco panna, corniciati da delle deliziose scarpette di vernice che richiamava il cerchietto di brillantini incastrato trai suoi capelli perfettamente lisci e luminosi.
I due genitori, non appena la videro, non riuscirono a trattenere uno sguardo innamorato che la figlia sottolineò con una certa inquietudine.
"Daddy? Papà?"
"Oh Lizzy. Sei bellissima." Sussurrò il più grande, andandole incontro e cercando nello stesso tempo di trattenere le lacrime.
"Papà? Perchè piangi?"
La piccola bambina non capiva. In effetti, nemmeno un adulto consapevole avrebbe compreso del tutto i loro atteggiamenti, ma sono quelle piccole, grandi, cose, che segnano la vita di una famiglia e che rimarranno impresse nella loro memoria e nei loro cuori: il primo giorno di scuola.
Il primo giorno di asilo, a dire il vero, ma poco importava: loro figlia avrebbe messo il suo piccolo piede in un mondo totalmente nuovo e vasto, avvolta da nuovi amici, da nuove cose da imparare...e tutto da sola.
"Niente, Lizzy. Sono felice. E tu sei felice?"
"Sì! – cinguettò la bambina, con un sorriso che avrebbe illuminato le profondità dell'oceano- Ci sono le maestre...e i bambini!"
A sentire quella frase le orecchie di Blaine si drizzarono sull'attenti, e lanciò alla figlia un'occhiata leggermente ingelosita. Kurt, intanto, aveva abbottonato il cappotto della figlia e aveva afferrato il suo zaino-valigia, pronto ad uscire di casa.
Blaine lo guardò per un attimo di secondo; poi, annuendo all'unisono, aprirono la porta, e cominciarono a scendere le scale preceduti da un'alquanto euforica Elizabeth.

Il viaggio in taxi fu estremamente silenzioso; l'unico rumore che si poteva udire era quello del tassista che picchiettava le dita contro il volante e di Lizzy che alitava contro il finestrino per fare delle nuvolette di aria condensa e disegnarci sopra qualcosa che solo lei riusciva a capire.
Erano tutti troppo occupati per poter iniziare uno straccio di conversazione; Lizzy era presa dai suoi disegni, il tassista dal traffico impossibile di New York, e Kurt e Blaine che, senza nemmeno saperlo, stavano riflettendo sulla stessa, prevedibile, cosa: come si sarebbe trovata loro figlia all'asilo? Come sarebbe stato, l'asilo? Ricordavano poco o niente dei loro periodi passati in quella scuola, se non qualche gioco di gruppo e dei lunghi riposini pomeridiani. Ma lì erano a New York: non erano in una scuola di seconda mano dell'Ohaio, o in qualche centro privato di Westerville, e non si trattava nemmeno di una normale scuola che offriva latte caldo e cartoni della Disney; Kurt e Blaine avevano voluto il meglio, per la loro figlia, e il meglio a New York consisteva nella "scuola George Lyncoln" dell'Upper East Side. Ci erano andati tutti i figli di quelli che contavano davvero, e, ovviamente, fu decretata subito come il luogo migliore per l'apprendimento di Elizabeth. Il colloquio con la direttrice era stato rapido ed indolore, non aveva fatto nessuna domanda particolare; semplicemente, si accertò che i genitori disponessero di cinquemila dollari all'anno per pagare la retta, e non le servì sapere altro.
"Dovremmo mangiare riso in bianco per il resto della nostra vita" pensò Kurt, ad alta voce.
Blaine gli strinse forte la mano che fu subito ricambiata con un tenero sorriso: lo facevano per Lizzy; tutto il resto era di seconda importanza.
Finalmente arrivarono alla scuola. Dei bambini stavano in piedi davanti all'entrata, assieme ad un gruppo di genitori alti, belli e di ovvia prestanza sociale. Kurt si fece avanti con orgoglio, tenendo per mano la propria figlia, mentre Blaine si guardava intorno un po' spaesato stringendo un po' più forte lo zainetto pieno di roba.
"Buongiorno!"
Il gruppo di adultì si voltò di scatto, neanche fossero un unico automa coordinato: in effetti, di certo i loro abiti assomigliavano per marche e prezzi, così come la loro aria da sufficienza con cui squadrarono il trio appena sopraggiunto.
"Siete la nuova famiglia?" Decretò un uomo, con un tono che voleva dire tutto, tranne che accoglienza.
"Sì. Io sono Kurt, lui è Blaine."
"E questa è la nostra piccola Lizzy." Fece l'altro, sorridendo verso la bambina che, in tutta risposta, aveva già preso confidenza con uno dei maschietti lì presenti ed aveva cominciato a parlare e a fare domande a ripetizione.
"E' una bambina incantevole." Commentò una signora, cercando di apparire gentile, ma a Kurt non sfuggì l'occhiata-scanner che aveva rivolto a sua figlia, o meglio, agli abiti di sua figlia; poi, inavvertitamente, il suo sguardo si posò sullo zaino: sorvolò immediatamente la scritta "Prada" impressa sul davanti per concentrarsi sull'ammontare di giochi, sui colori di seconda mano e sì, anche sul cuscino.
"Un cuscino? -Sussurrò un'altra, come se non potesse essere udita- perchè, quelli satinati dell'accademia non vanno bene?"
"A quanto ammonta il vostro rendito?"
Blaine si paralizzò di scatto a quella domanda. Ci volle qualche secondo di esitazione prima di rispondere in un modo che potesse sembrare minimamente concreto: era una domanda schietta, troppo schietta, che non si aspettava per niente e a cui non voleva rispondere; era come se gli avessero chiesto che tipo di preservativo usasse.
"B-beh, quanto basta... voglio dire, io sto seguendo un dottorato al New York Academy of Arts, mentre Kurt sta partecipando ad uno spettacolo che..."
"Oh, degli artisti, dunque."
Lo disse proprio con disprezzo: come per dire, "siete dei morti di fame, e mio marito con il suo lavoro da business manager guadagna il triplo di voi due messi insieme". Kurt e Blaine si sentirono improvvisamente piccoli, e a giudicare dall'atteggiamento perfettamente composto, quasi aristocratico, degli altri bambini, si sentirono perfino inadatti.
Ma le domande non erano affatto finite.
"Quante lingue parla, vostra figlia?"
"C-come, scusi?"
"La mia Kathleen parla correntemente inglese e francese; mi sto preparando ad assumerle anche un tutor di spagnolo, una lingua facile perché non voglio stancarla troppo."
"B-beh, Elizabeth parla solo inglese. Però con tutti i nomi di firme e colori che le ho insegnato si potrebbe dire che parla anche il New-Yorkese!"
Un paio di persone ridacchiarono sommessamente, ma la signora in questione si limitò a scrollare lievemente la testa.
"Una sola lingua. E ha già tre anni, che peccato. Un bagaglio così limitato, per una bambina così interessante..."
"Che pre-corso ha seguito vostra figlia?"
"Il...cosa?"
"Il precorso. Sì, insomma, la scuola preparatoria. La mia Bernadette ha frequentato la "accademia per giovani talenti" per un anno e ne è uscita con una votazione di cento centesimi.
"Anche il mio Ronald ha frequentato la stessa scuola – intervenne uno- ma non ho mai visto sua figlia, forse perchè mio figlio era nel corso avanzato..."
"Oh no, non è possibile, signore. Mia figlia era nel corso più avanzato possibile e in effetti nemmeno io credo di averla mai vista. Mi può dire i risultati del test attitudinale di suo figlio?"
"Presidente del congresso. E la sua?"
"Direttrice della National Bank of America. Ma nel giorno del test era un po' stanca, e non ha dato il meglio di sè: sicuramente, con un po' di riposo, avrebbe fatto meglio."
Ok.
Tutto quello era, assolutamente, imbarazzante.
E Kurt stava già per defilarsi e sotterrarsi dentro a qualche buca, quando venne prontamente interrogato da quella simpatica signora.
"Signore, mi perdoni, ma non ha risposto alla mia domanda. Che pre-corso ha frequentato vostra figlia?"
I due guardarono automaticamente la piccola Lizzy che si era seduta a terra, nel bel mezzo del marciapiede, e stava mostrando ad un bambino i residui di una foglia morta e umida spiaccicata contro l'asfalto.
Lo stile di sopravvivenza a cui erano sottoposti ogni giorno valeva, come pre-corso?
Il cervello di Kurt stava viaggiando alla velocità della luce: doveva inventarsi qualcosa, qualsiasi maledettissima cosa che fosse in grado di zittire quelle galline; ovviamente, l'ingenuità e la dolcezza di Blaine si fecero subito avanti, perché infatti con il suo solito sguardo di pura innocenza ed umiltà stava giusto per dire "oh, veramente Elizabeth non..."
Kurt riuscì appena in tempo ad interromperlo prima che rovinasse tutto il suo piano appena formulato nella testa.
"Il pre-corso, certo. Ci è andata giusto l'estate scorsa."
Blaine si voltò di scatto: "davvero?"
"Gli piace sempre scherzare – sussurrò Kurt ai presenti, in via confidenziale e scherzosa – Blaine, davvero non ti ricordi? Era una scuola incantevole, Lizzy ne andava pazza!"
E fu in quel momento che Blaine capì tutto il copione, e si limitò ad inarcare le sopracciglia e continuare a guardarlo fisso.
"Come si chiama la scuola?" Chiese un signore, facendo per un attimo vacillare tutta la sicurezza di Kurt, che stava sempre più incrinandosi sotto lo sguardo accusatorio del marito.
"Giusto, Kurt, com'è che si chiamava? Perché io non me lo ricordo proprio."
Kurt lo fulminò: Blaine sapeva che lo stava maledicendo mentalmente, e Kurt sapeva che Blaine sapeva. Era tutto un silenzioso scambio di espressioni che ormai conoscevano a memoria, ma che non impedirono a Kurt di continuare il suo teatrino.
"Oh Blaine, sei proprio smemorato. Si chiama...si chiama New Directions."
"New Directions. Ovviamente."
"Ovviamente." Fece eco Kurt, sperando che suo marito la smettesse con quegli odiosissimi commentini inutili.
"Non ne ho mai sentito parlare." Ammise una signora, colpita e, forse, anche umiliata.
"E' un nuovo progetto – spiegò Kurt, con tono sempre più sicuro – ammette soltanto undici studenti all'anno, e sviluppa le capacità creative e...ed intuitive del bambino."
"Intuitive." Un genitore, adesso, fissava Elizabeth ammirato, come se avesse appena visto un piccolo Steve Jobs. "Intuitive –fece di nuovo – è geniale."
Kurt, a quel punto, cinse la vita di suo marito con un braccio, alzando appena un poco il mento.
"Solo il meglio per nostra figlia. Giusto Blaine?"
"...Certo." Sfoggiò un sorriso alquanto tirato.
In quel momento la professoressa uscì dall'edificio, con il suo tailleur di Armani e le sue scarpe di Ferragamo, ed annunciò ai genitori l'imminente inizio delle lezioni; era arrivato, dunque, il momento di salutare i propri figli.
"Hai freddo? Vuoi una sciarpina?"
"No, Papà." Rispose cordialmente Elizabeth, lasciandosi cullare dall'abbraccio del padre.
"Fai la brava, ok? Io e Daddy ti verremo a prendere questo pomeriggio."
"Non voglio." Disse tutto ad un tratto, paralizzando i due ragazzi.
"Come, non vuoi?"
Lizzy si aggrappò alla gamba di Blaine, e cominciò a piagnucolare. Non servirono molte parole per capire le sue preoccupazione, in effetti, bastò che pronunciasse i "Papà, Daddy" per far venire un tuffo al cuore ad entrambi e convincersi quasi completamente di prenderla e riportarla a casa assieme a loro.
"Lizzy, non ti preoccupare, starai bene. Ti divertirai tantissimo! E poi lo hai detto tu, no? Ci sono le maestre, i bambini..."
"Pochi bambini." Puntualizzò Blaine, e Kurt non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito, prima di continuare: "sarà come andare al parco, solo che qui sei in un bellissimo edificio."
Ci vollero altri piccoli discorsi di incoraggiamento ed un bacio lunghissimo da parte di Blaine, prima di rassicurarla del tutto e lasciarla entrare accompagnata dall'insegnante; quest'ultima, avendo assistito a tutta la scena, guardò Kurt e Blaine con un'espressione di comprensione mista a pietà, e trattò la bambina con il medesimo rispetto.
Infine, le porte di quella prestigiosa scuola si chiusero davanti a loro, e allora si accorsero che le maniglie erano intarsiate d'oro.
E poi ci fu la ciliegina sulla torta.
"Che scena commuovente, non trovi?" Commentò un signore, a bassavoce, a sua moglie, che in tutta risposta arricciò il naso e incurvò leggermente le sue labbra rifatte di botox.
"Oh, Arold, a volte sei davvero provinciale: elargire abbracci in pubblico in quel modo, dire frasi simili... fa molto, troppo artista."
Blaine trascinò in taxi suo marito, prima che scatenasse la terza guerra mondiale.


"Che ore sono?"
"E' mezzogiorno."
"Direi di partire tra una mezz'oretta; non si sa mai, con il traffico che c'è, potremmo arrivare tardi."
"Kurt, Elizabeth uscirà alle due."
"Il traffico urbano può essere assassino."
"Ok." Esordì infine il moro, avvicinandosi all'altro e afferrandogli saldamente le mani. "Devi dirmelo: perché ti sei inventato quella storia della scuola?"
Kurt sviò appena lo sguardo: si era sentito inferiore, anzi, si era sentito esattamente per quello che era, ossia un ragazzo proveniente da una cittadina dell'Ohio che non sa niente di pre-corsi, rendite prestigiose e che mette un cuscino di riserva nello zainetto della figlia. E loro erano sembrati tutti così intelligenti, così ricchi, da farlo vacillare per un momento e correre così ai ripari.
E più andò avanti nel suo monologo, che stava diventando quasi una confessione disperata, più il volto di Blaine si addolcì, fino a raggiungere un sorriso completamente intenerito, e la presa sulle mani di Kurt divenne una calda carezza mentre cercava di rassicurarlo con quella voce bella e calda che Kurt amava da impazzire.
"Oh, Kurt, non devi vergognarti di quello che sei, sei bellissimo, e vali molto di più di quei pagliacci in giacca e cravatta."
"Ma, ma loro... loro hanno quei figli poliglotti e tutti compiti, nei loro papillion di seta, e Lizzy ha già tre anni, Blaine! Oh, perché non ci ho pensato prima? Invece di cantarle tutte le sere le canzoni dei musical potevo insegnarle il francese!"
Blaine era indeciso se scoppiare a ridere o prendere seriamente in considerazione le parole appena udite, perché Kurt non poteva davvero essersi lasciato abbindolare da tutte quelle chiacchiere, e sentirlo parlare di tutoraggio e corsi di francese per una bimba che aveva già tre anni era semplicemente adorabile.
Rimase in silenzio permettendogli di continuare il suo sproloquio per qualche altro minuto, lasciandolo sfogare nelle sue divagazioni fatte di test del QI e lezioni di musica classica, che terminarono prontamente quando, attraverso un attimo di riflessione più intenso, ad un tratto alzò lentamente il volto e borbottò: "m-ma che diavolo sto dicendo?"
A quel punto, le risate non poterono più essere omesse. Blaine lo abbracciò continuando a ridere e lasciando di tanto in tanto qualche bacio sulla sua guancia, continuando a stringerlo forte e parlando ad un millimetro dalla sua pelle: "ti adoro, davvero."
"Non mi giudicare. Sono soltanto scosso dagli eventi."
"Anche io, ma hey, è Elizabeth Hummel-Anderson. Saprà cavarsela benissimo."
Kurt sorrise un po' di più, sporgendosi da un lato per incrociare meglio gli occhi ambrati del suo amato, e cominciare a baciarlo con un certo, emozionato, trasporto.
Ma il destino non aveva ancora esaurito le cartucce a sua disposizione.
"Pronto?" Fece Blaine, rispondendo al telefono che aveva cominciato a squillare insistentemente poco prima.
"Signor Anderson? Sono la direttrice della scuola materna Geroge Lyncoln. Credo che lei e suo marito dovreste venire qui al più presto."


"Vostra figlia ha picchiato un altro bambino."
"...Scusi, credo di non aver capito bene." Non poteva aver capito bene.
"Ha capito benissimo, invece. Elizabeth ha spinto un bambino, durante la ricreazione."
Blaine stava per sentirsi male; Kurt ispirò profondamente, gli occhi sgranati, e un'espressione completamente disorientata.
"Mi scusi, deve esserci uno sbaglio: Elizabeth comincia a piangere anche solo se uno dei suoi pupazzi finisce in terra, perché crede che si sia fatto male!"
"Evidentemente si sbaglia, signor Hummel. In un solo giorno sua figlia ha rotto una tazza, distrutto lo scivolo e ferito un altro compagno. E' una bambina caratteriale e, detto sinceramente, la causa alla radice è tutta riposta in una cattiva educazione."
Kurt stava letteralmente implodendo.
"E mi rincresce dire che questo tipo di atteggiamento non è tollerato, nella nostra scuola. Magari vostra figlia ha bisogno di un ambiente più...più stimolante per lei."
"Un momento, mi sta dicendo che state espellendo nostra figlia?"
"Non è un'espulsione, quanto, un suggerimento per una nuova collocazione."
"Ok, sa che le dico? Mia figlia non è degna di stare in mezzo a dei ricconi venali e arroganti come lei. Sì, mi ha capito bene, venali ed arroganti. Quindi sono io a suggerirle di bruciare tutti i suoi fascicoli. Andiamo Blaine."
L'altro, completamente inerme e abbandonato a se stesso, si lasciò trascinare fuori dalla porta e non riuscì nemmeno ad evitare l'ultimo, letale, commento di Kurt.
"Ah, posso darle io, un suggerimento? Si faccia una maschera, con tutte quelle rughe sembra uno Shar-pei."


"Daddy!"
Eccola, la piccola Elizabeth. Felice come non mai di rivedere i genitori ed ignara di tutto quello che aveva fatto. E Blaine prese diverse volte il respiro prima di parlarle con tono preoccupato.
"Elizabeth, ma che hai fatto!? Hai picchiato un bambino!?"
Lei, a quella domanda, s'incupì di colpo. Kurt, invece, fu più autoritario e la fissò attendendo pazientemente una risposta.
"Era cattivo." Disse a denti stretti, con i pugni stretti e gli occhi smeraldini puntati sulle scarpette. "Era brutto e cattivo, Daddy."
"Ti ha picchiata? Ti ha detto qualcosa?" Stavolta era Blaine ad essere irritato, ed era già pronto a ritornare dalla direttrice per inveire contro la loro, di educazione, quando la bimba con le lacrime agli occhi fece un passetto in avanti e mostrò un disegno: lei, con il suo bel vestitino di jeans, e a lato i due genitori, sorridenti, mano nella mano.
"...E' bellissimo." Ammise Kurt, sporgendosi verso di lei per afferrarlo.
"Ha detto delle cose brutte, Papà."
"Che tipo di cose?"
I suoi occhioni, adesso, erano trasparenti come delle gocce d'acqua.
"Ha detto che non siamo una vera famiglia. Ha detto che io sono un mostro."
Oh.
Ecco, la cosa che temevano di più, e che era sopraggiunta terribilmente presto.
Ecco la conseguenza di una società alto-borghese e viziata, figlia dei pregiudizi e dell'ignoranza.
Ed era tutto terribilmente ingiusto, prendersela contro una bambina innocente, da parte di un altro bambino che aveva come unica colpa quello di essere stato educato a scindere famiglie buone da quelle cattive.
A New York certe cose erano rare, ma molto più frequenti in posti quali la scuola materna George Lyncoln. Una scuola d'elite, e troppo arretrata per i tempi che correvano.
Fu Blaine a parlare per primo: baciò dolcemente la figlia, e le rivolse uno sguardo pieno di ammirazione.
"Lo senti questo?" Chiese, prendendole una mano e portandosela sopra al cuore. La piccola bimba annuì, era un gioco che facevano spesso.
"Questo è il mio cuore. E questo – si sporse verso Kurt, facendo la medesima cosa con l'altra mano- è il cuore di Papà. Li senti?"
"Sì."
"Che stanno facendo?"
"Battono, battono forte.
"Esatto, Lizzy. E adesso, lo senti il tuo cuore, come batte forte?"
"...Batte anche il mio."
"Certo che batte anche il tuo. Battono tutti insieme, perché sono collegati tra di loro. La verità, Elizabeth, è che noi tre siamo legati da un filo invisibile che non si spezzerà mai."
"Come quello di Peter Pan e la sua ombra?"
"Esatto, proprio come quello. E lo sai come si chiama, questo filo magico?"
La bimba fece di no con la testa. E poi, quando Blaine rispose, con la sua sincerità disarmante, Kurt asciugò una lacrima che aveva rigato il suo viso, e strinse più forte la mano di suo marito.
Perché aveva detto la cosa più bella che potesse dire; perchè non riusciva a credere di aver incontrato un uomo tanto dolce, tanto splendido, da farlo innamorare ogni giorno per una nuova volta.
"Amore. E' questo, Lizzy, che crea una famiglia."
E non ci fu nient'altro da dire.
Lizzy non comprese esattamente quelle parole, ma le bastarono: si abbracciarono, ignorando lo sguardo gelido di alcuni genitori e i commenti confusi della vecchia direttrice.
Era esattamente come aveva detto Kurt, molto tempo addietro: nessuno poteva scalfirli; nessuno poteva toccare ciò che avevano.



"Zainetto?"
"C'è."
"Libri?"
"Ci sono anche quelli, Kurt, dobbiamo fare questa storia ogni volta che nostra figlia va a scuola?"
"Ma sentitelo, quello che stamani ha finito mezzo barattolo di gel."
"E' cera, d'accordo? E lo sai come sono i miei capelli di prima mattina!"
"Daddy? Papà?"
Lizzy si presentò davanti a loro con una scamiciata di Burberry ed una gonna di Lady Dior azzurra.
"Le calze pizzicano..."
"Resisti tesoro, è soltanto per qualche ora."
Fece un broncio terribilmente adorabile e puntò i piedi: "Non ci voglio andare a scuola! Voglio rimanere con Daddy a guardare i cartoni animati!"
"Tesoro, ci dovrai andare prima o poi. E vedrai che sarà molto divertente! Non sarà la George Lyncoln...ma è una bella scuola. Molto più normale."
La bambina sorrise soddisfatta –Kurt si chiese quale parte del discorso avesse effettivamente capito-, e in quello stesso istante Blaine estrasse di tasca una piccola macchina fotografica; non appena Kurt se ne accorse roteò gli occhi al cielo con fare assolutamente stanco, ma anche con un pizzico di euforia.
"Tu e la tua mania di scattare fotografie..." lo canzonò, aggiustando meglio il vestitino della figlia e sporgendosi verso di lui per dargli un leggero bacio sulla guancia.
"Shh, devo capire come far funzionare l'autoscatto!"
"Ma come, ancora non lo sai usare? Devi premere questo tasto, credo..."
"No, quello è il flash, si è accesa la lampadina, vedi?"
"Ah, e adesso come si toglie?"
"Non lo so, forse con questo...?"
"Oh, è partito l'autoscatto!"
"Cosa? E quanti secondi abbiamo?"
"...Otto...sette..."
"Oh cavolo!"
In un battito di ciglia Kurt aveva abbandonato la macchinetta sopra al tavolo e Blaine era letteralmente scivolato verso sua figlia: la cinse con un braccio mentre con quell'altro faceva ripetutamente cenno a Kurt di sbrigarsi, e quest'ultimo corse verso di loro, sentenziando qualcosa circa il non potersi sedere a terra con i suoi nuovi pantaloni firmati; sentenza che, ovviamente, fu ignorata da Blaine che lo tirò giù con la forza facendolo quasi cadere e sbilanciando Elizabeth, che fu costretta ad aggrapparsi alle spalle del padre e a saltellare sulle punte per tirare in avanti il busto del più grande.
Lizzy adesso era in piedi in mezzo ai due genitori, Blaine aveva i capelli scompigliati per via di una mano della figlia posata su quelli, Kurt aveva una gamba a mezz'aria ed inveiva contro il marito che non aveva un minimo di ritegno verso i suoi preziosissimi abiti...e poi la macchina scattò, con un flash accecante decisamente fuori luogo e una posizione semplicemente assurda.
Blaine era venuto di profilo –evidenziando così i capelli scarmigliati- e con la bocca aperta, Kurt aveva assunto un'aria cadaverica e i suoi occhi apparvero completamente rossi per via del flash, e Lizzy, in mezzo ai due, rideva verso l'obiettivo ascoltando entusiasticamente tutto il dialogo dei suoi due genitori; aveva riso così tanto da posare le mani contro il suo stomaco, e nella foto uscì con gli occhi chiusi e le gote arrossate per l'euforia. In sottofondo, si potevano intravedere –si vedevano molto male, in verità, la messa a fuoco era completamente sballata- lo zaino inevitabilmente carico delle più svariate attrezzature, e anche quel disegno che aveva fatto la settimana prima quando era andata alla scuola George Lyncoln.
E questa fu la foto che immortalò il primo, vero, giorno di scuola di Elizabeth: una foto dove nessuno era in posa, le luci erano sfasate, le immagini sfocate, gli occhi arrossati e non erano nemmeno venuti vagamente bene.
Era bellissima.


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