9.

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Però non feci nulla per mandarlo via. Ero paralizzata. Ipnotizzata. Attratta. Accecata dalla sua bellezza.
La mia mente era annebbiata da tutte quelle scariche di emozioni.
Non volevo altro che lui.
Volevo stare bene, anche solo per un'ora. Anche se dopo sarebbe stato peggio, se il vuoto che sentivo dentro di me sarebbe aumentato a dismisura.
Non mi importava. Volevo sentirmi sua ed essere felice, pur sapendo che fosse solo un'illusione.
Ma almeno avrei potuto toccare con mano la felicità, il piacere di sentirsi amata, desiderata, per 15, 30, 60 minuti o poco più.
Così misi le mie mani attorno al suo collo, chiusi gli occhi, spensi i pensieri che mi affollavano la mente e mi lasciai trasportare di nuovo in quel mondo in cui nulla era importante, eccetto me e lui.
Mi strinsi a lui e lo baciai come a volergli comunicare ciò che provavo, tutto il mare che avevo dentro.
Allo stesso modo fece lui.
E riuscivamo a comprenderci, ad ascoltarci, a calmare le nostre tempeste senza proferir parola.
I nostri baci acquistavano sempre più foga. Le nostre labbra erano sempre più bisognose, desiderose le une delle altre.
Si cercavano, si trovavano, si assaporavano.
E avrebbero voluto continuare a farlo fin quando sarebbe stato possibile, fino a qando avrebbero sanguinato, avrebbero potuto unirsi.
Le sue mani esploravano il mio corpo, ancora vestito per fortuna. O per sfortuna?
Scesero sulle mie cosce che erano strette al suo bacino e mi tirarono verso di lui. Poi passarono sui miei fianchi e li strinsero, risalendo poi lentamente sulla mia schiena, sulle mie braccia e sul mio ventre. Così anch'io, pur essendo inesperta, iniziai a fare lo stesso con lui. Gli carezzai la schiena e infilai le dita tra i suoi capelli, stringendoli un pò.
Stavo morendo dalla voglia di lui, dal caldo.
Quella casa diventò improvvisamente piccola e stretta per noi.
Sporsi la testa all'indietro e ansimai. Lui mi baciò il collo dolcemente, poi passò al décolleté e una mano salì al mio seno, stingendolo e massaggiandolo sopra le coppe del reggiseno nero decorato in pizzo.
Mi prese un lembo della maglietta larga e me la sfilò velocemente lasciandola poi cadere sul pavimento come le foglie dell'albero in autunno.
Ero imbarazzata. Mi vergognavo del mio aspetto così banale, insignificante. Non avevo nulla che mi piacesse. Tanto meno gli altri lo trovavano interessante.
Arrossii e tremai. Non dal freddo. Ma dalla paura. Ero terrorizzata al pensiero che mi lasciasse lì perchè non ero abbastanza formosa, bella, brava.
Mi osservò per qualche istante. I suoi occhi percorrevano il mio corpo ormai in intimo. Dagli occhi sono scesi al piccolo seno, agli slip, alle cosce e poi risalirono bloccandosi alle mie labbra, rosse e gonfie. Erano socchiuse e curve in un espressione preoccupata. Stavo aspettando una sua reazione. Gli facevo così tanto schifo?
Incatenò gli occhi ai miei e con voce strozzata dal dediderio che progressivamente aumentava in lui, sussurrò soffiando sulle mie labbra sensibili -sei bellissima!-
Riprendendo poi a baciarmi e poggiando le mie mani sul suo petto. Le teneva strette nelle sue.
Ed erano così vicine al suo cuore che potevo sentirlo muoversi.
Poi mi cinse i fianchi, continuando a cercare la mia lingua con la sua.
Io ero così infastidita dalla flebile e sottile stoffa che ancora mi separava da lui.
Volevo toccare la sua pelle nuda e calda, avevo bisogno di sentirmi ancora più vicina al suo cuore. Volevo sentirlo battere. Per me.
Con impazienza cinsi i lembi della maglietta e, lentamente, gliela sfilai. Come se riscoprire il suo corpo tutto insieme fosse un colpo troppo forte per i miei occhi. E così lo feci piano piano. Facendomi aiutare da lui.
Una volta tolta, la lanciai sul pavimento facendola cadere, per puro caso, vicino alla mia.
Gli carezzai i pettorali, quasi come se fossi incredula, come se non li avessi mai visti.
Ora era tutto più bello.
Poi spostai le mie mani sulla sua schiena e mi strinsi a lui, che come risposta poggiò le sue sui miei glutei avvicinando la mia intimità al suo desiderio gonfio e duro che potevo sentire tramite i pantaloni.
Volevo andare oltre, desideravo essere sua. Ma non volevo mi prendesse su di un tavolo. Almeno non per la prima volta.
Così scesi dal tavolo, aggrappai le mie mani dietro il suo collo e, in punta di piedi, continuai a baciarlo.
Dolcemente e controvoglia mi staccai da lui, presi la sua mano e lo guidai in camera mia.
Mi guardò sorpreso. Non si aspettava questa reazione. Non pensava fosse mia intenzione andare oltre.
Neanche io lo pensavo, prima che mettesse piede in questa casa.
Gli sorrisi, mi avvicinai nuovamente a lui e ripresi a baciarlo.
Lui avanzava a passi lenti, spingendomi ad indietreggiare.
Mi adagiò sul letto e lui si mise su di me, pogiandosi sugli avambracci ai lati del mio petto e sul ginocchio tra le mie gambe per non uccidermi.
Lentamente risalimmo e poggiai la testa sul cuscino.
La tensione era tanta, ma il desiderio la sovrastava.
Volevo sentirlo ancora più vicino a me. Volevo il suo corpo unito al mio.
Presi coraggio e avvicinai le mie mani ai suoi pantaloni. Inizialmente le mie dita giocherellavano incerte con il bordo. Poi, infastidita dalla rigida stoffa dei jeans, lo sbottonai ed abbassai la zip lasciando che mi aiutasse a toglierli definitivamente.
Poi tornò da me, poggiò la sua intimità sulla mia.
Potevo sentire la sua voglia su di me. Erà così grande, dura e pulsava come il cuore. Mi desiderava. Molto.
D'un tratto, senza sapere come, mi ritrovai su di lui, con le sue mani che giocavano con i gancetti del reggiseno, per poi slacciarlo e lascare che le bretelle mi scivolassero lungo le braccia.
Mi sentii nuovamente in imbarazzo. Era la prima volta che mi mostravo nuda. Ad un ragazzo poi.
Il sangue fluì alle mie guance, che erano completamente rosse e d'istinto coprii le mie nudità con le braccia.
Mi vergognavo tremendamente del mio corpo, soprattutto del mio seno. Così piccolo e imperfetto.
Lui mi sorrise e dolcemente spostò le mie braccia. Rimase ad ammirare il mio corpo sul suo per qualche istante, poi con una piccola spinta si rimise su di me e riprese a baciarmi. Prima il seno, leccando e mordicchiando i bottoncini rosati su di essi, poi le labbra.
Mentre esplorava la mia bocca con la sua lingua, carezzava e strizzava i miei seni, tirava leggermente le estremità delle mammelle e con movimenti circolari si faceva spazio tra le mie gambe,allargandole tanto da farmi quasi male.
Non le avevo mai aperte così tanto, non ce n'era stato mai bisogno.
Spingeva così il suo rigonfiamento verso la mia intimità e la paura si impadronì del mio corpo. Era così grande e duro. Mi avrebbe fatto sicuramente male.
Iniziai a tentennare. Ero sicura di essere pronta?
Si, lo ero. Per lui. Solo per lui.
Ritornai in me e mi accorsi che aveva tolto i miei slip e stava procedendo a togliere i suoi boxer.
Avevo immaginato male.
Non era grande. Di più.
Avrei sopportato il dolore?
Valeva la pena provare.
Dovevo resistere. Era solo per la prima volta. Poi ci avrei fatto l'abitudine.
Si stese di nuovo su di me e adesso la sua presenza tra le mie gambe era forte e chiara.
Una sua mano scese, attraversò i miei seni, il mio ventre soffermandosi all'ombelico e poi proseguì giungendo tra le labbra della mia intimità bagnata. Spingeva le sue dita avanti e indietro e in movimenti circolari.
Mi provocava un piacere mai provato.
Poi spinse più forte, voleva farle entrare ma mi fece male e sobbalzai. Lui sgranò gli occhi e ne inserì solo uno, che muoveva attentamente e dolcemente.
Mi guardò e sorrise flebilmente, forse aveva capito.
Mi fece, in qualche modo, raggiungere il piacere estremo e lo tolse da me guardandomi con occhi dolci e sorpresi, meravigliati.
Diventò più delicato di quanto non fosse già e, come un oggetto prezioso, mi strinse a sè cullandomi e coccolandomi.
Aveva capito tutto, aveva intuito la mia paura che quasi mi aveva immobilizzata su quel letto e aveva scoperto con la sua mano che ero illibata. Perchè non glielo avevo detto? Perchè avevo deciso di non dargli la possibilità di scappare lontano da me?
Mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio con un filo di voce e affannosamente -scusa.
Ma non era lui che doveva scusarsi, che doveva chiedere perdono.
Avrei dovuto essere limpida e avrei dovuto parlare chiaro.
Lo strinsi forte a me e lo guardai con gli occhi lucidi.
È che sono un disastro.
Un dannato disastro.
Rovino sempre tutto ciò che di bello accade nella mia vita.
Mi chiese di andare in bagno a 'sfogarsi', si sa come funzionano queste cose.
E nel frattempo imprecai contro me stessa e mi rivestii.
Quando ritornò si vestì anche lui e si sdraiò accanto a me, mi abbracciò e, tra sudore e lacrime, ci addormentammo.

Desiderio di averti mio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora