17.

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Lentamente ripresi la mia vita.
Sí, ricominciai a vivere.
Ritornai ad essere me stessa; la ragazza dolce e sincera, che sogna una storia d'amore, un'esistenza tutta rose e fiori, un 'e vissero tutti felici e contenti'. La ragazza che è sparita dopo quella stramaledetta notte, in quella dannatissima auto.
Perchè permettiamo a noi stessi di compiere simili errori?
Perchè siamo talmente sciocchi da fare sempre ciò che è sbagliato con la convinzione che fosse la scelta più giusta da fare?
Perchè ce ne rendiamo conto sempre quando ormai è troppo tardi?
Perchè siamo sempre disposti a mettere da parte il cuore e mai la mente?
Perchè troviamo sempre il modo di complicare ulteriormente le cose? Di non essere felici?
Siamo così tremendamente incasinati, persi, sbagliati.

Lentamente riconquistai i miei amici, inclusa Chiara che avevo realmente rischiato di perdere. E non me lo sarei mai perdonata.
Il mio modo di essere.
Ma non mi ripresi Tiziano.
Ormai con lui non avevo più alcuna speranza.
Si era completamente allontanato.

Lo sapevo.
Io sapevo che gli era costato tanto separarsi da me e che non avrebbe voluto rovinare quel muro che, con tanta fatica, aveva creato tra di noi. Aveva paura di soffrire di nuovo.
E questo gli si leggeva in faccia ogni volta che mi guardava.

Così decisi di rispettare la sua scelta e di non far alcun passo verso di lui.
Perchè si, aveva ragione. Non eravamo fatti per stare insieme. Avremmo peggiorato le cose se solo ci avessimo provato.
Avremmo sofferto, forse anche più di quanto non stessimo soffrendo già.
Non eravamo destinati a stare insieme.
Pertanto l'unica cosa che rimaneva da fare era..arrendersi.
Sí, arrendersi.

A stento ci salutavamo. Non scambiavamo più di qualche parola, quelle necessarie a non diventare sconosciuti.
Ma nulla di più.
Non un 'come stai?', 'come va?', 'mi manchi'. Nulla.
Eravamo diventati ormai dei conoscenti, niente di più.

Tommaso, mio e suo amico, aveva capito la situazione.
Lui sapeva più di tutti, addirittura meglio di me e di Tiz.
Lui ci conosceva, noi e i nostri sentimenti.
Entrambi ci confidavamo con lui.
E sicuramente non sarebbe rimasto inmobile a rigirare i pollici.
Così una sera mi chiese di accompagnarlo in un bar con Chiara.
Però io non volevo andare.
Ho sempre odiato fare 'il terzo incomodo', non mi piaceva reggere la candelina.

-Dai poi verranno anche gli altri- insistette e mi convinse.

Entrammo in questo bar e de 'gli altri' nemmeno l'ombra.

Dopo molto tempo, forse due o tre ore che sembravano non passare mai, arrivò Tiziano.

Disse un -ciao- generale e aggiunse -ma gli altri dove sono?- rivolgendosi a Tommaso.

-Ci sono tutti quelli di cui ti importa, il resto è superfluo- ammiccò il nostro caro amico.
Giuro, lo stavo odiando.
Ero in imbarazzo e altrettanto lo era Tiziano, il quale era in bilico tra l'andarsene e il rimanere, dimostrando così anche a sè stesso che non provava più nulla per me.
-Dai, siediti- continuò imperterrito Tommaso indicando l'unico posto libero che, guarda caso, era proprio accanto a me.

La serata trascorse così, in una serie di battutine odiose e imbarazzanti per entrambi e tra spinte che servivano ad unirci, a stringere i nostri corpi più possibile.
Ad ogni suo tocco, anche involontario, il mio corpo veniva percorso da brividi.
Mi era mancato.
Ma non andava bene. Non potevo provare ciò.

- Tiz, accompagni tu Elena a casa? Sai, io e Chiara abbiamo intenzione di andare altrove- ci salutò alzandosi, tirando con sè Chiara.
E immediatamente sparirono.

-Tranquillo, io posso anche andare a piedi- affermai sorridendo dopo qualche minuto di silenzio che ci era servito per realizzare il tutto, cercando di fuggire da questa situazione tremendamente imbarazzante.

-Non ci pensare proprio, non mi costa nulla e poi non ti lascio andare da sola di notte per le vie della città- rispose serio.

Salii in macchina e per tutto il tragitto ci fu un silenzio tombale.
Le case scorrevano veloci fuori dal finestrino, a differenza dei minuti che sembravano non passare mai.

Arrivammo. Finalmente l'auto si fermò e io sarei potuta scsppare da tutto ciò, che era davvero troppo da sopportare per me.
La situazione, i sentimenti, il dediderio di baciarlo e di averlo mio.
Dovevo fuggire.
Ringraziai e stavo aprendo lo sportello quando lui, con le sue mani grandi e delicate, mi afferrò il braccio, mi guardò negli occhi e avvicinò titubante le sue labbra alle mie per baciarmi.

-Elena!- una voce ci fece scattare come molle, ricomponendoci con la voglia di poter assaporare nuovamente le sue labbra dopo cosí tanto tempo ancora viva e indoddisfatta.
Mi voltai e vidi una fragile figura femminile.
Era mia sorella.

-Ho fatto tardi, posso dire a mamma che sono stata con te, così non si arrabbia?- chiese ingenuamente.

Annuii e scesi dall'auto.

Tommaso c'era riuscito, se non fosse arrivata quella rompiscatole di mia sorella.
Un'altra opportunità andata in fumo.

Ma era meglio così.
Era così che dovevano andare le cose.
Forse era meglio mon sfidare il destino. Rimanere ognuno al proprio posto.
Distanti l'uno dall'altro.

Desiderio di averti mio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora