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La soffice pelle del divano, sulla quale era posato il suo orecchio sinistro, attutiva ed allo stesso tempo convogliava a lei ogni suono.
Percepiva i passi del signor Oledry in cucina, resi cotonati e morbidi, come se si ascoltasse il battito del proprio cuore al rallentatore. Mentre aspettava il té per il quale Adam Oledry era conosciuto in tutto il paesino, Vivian notò un disco di metallo brillante spesso una decina di centimetri sotto il tavolino di cristallo. Un piccolo display nero era posizionato in cima, mentre la marca 'Ladybug' spiccava al centro del piatto cilindro. Era forse uno di quei robottini aspirapolvere che giravano per casa spaventando i cani e pulendo posti che l'uomo odia raggiungere?
La vista di quell'aggeggio le ricordò cosa la sera prima il signor Oledry le aveva detto di quel posto.
Dopo averle mostrato la sua camera provvisoria, s'era seduto sul letto con una tazza di té sorseggiandola lentamente, le aveva sorriso ed aveva accennato al piano superiore.
'Qui sopra c'è qualcosa simile ad un...Eliporto? Ogni domenica i nostri dieci droni telecomandati si alzano in volo e danzano sopra la boscaglia, creando un piccolo spettacolo di luci. È un modo per ridare vita a questo posticino, ed il tipo che lo organizza è...Un genio'
Aveva poi sorriso con lo sguardo quasi fiero, avvicinandosi a Vivian e tendendole l'altra mano, nella quale stringeva una piccola lettera.
'Da parte sua', aggiunse uscendo dalla camera.

Ella sobbalzò ricordandosi di quella lettera, ed il suo cuore sussultò nell'attendere che il signor Oledry tornasse in salotto per potergli chiedere dettagli sull'indomani e poter leggere la lettera che, stanca com'era il giorno prima, aveva abbandonato sul comodino, accanto al cellulare.
I passi si fecero più vicini, ed il pigiama blu di Oledry si frappose tra lei ed il robottino aspirapolvere. Egli si chinò, e Vivian osservò i suoi occhi azzurri e calmi in un volto rugoso, che mostrava i segni dell'età, coperto da dei simpatici baffi bianchi come la neve ed un paio di occhiali da lettura dello stesso colore delle sue iridi.
Il suo viso la rilassava, le ricordava quel nonno saggio e centenario che molti dicevano di avere, quello che viveva in quell'anonimo appartamento chissà dove, in una stanza piena di libri ed odore di fumo.
Nessuno lo avrebbe immaginato come Adam Oledry, ancora apparentemente sprizzante di vita, in una lussuosa villetta sulla costa e    completamente contro il fumo. Aveva sí dei libri, ma a parte la sua libreria con i grandi classici del suo tempo si dedicava alla lettura sul suo tablet.
'Appoggio il té sul tavolino, Vivian. Quando vuoi bevine un goccio, c'è un motivo se sono conosciuto da queste parti...', sussurrò l'anziano, mentre sotto i suoi baffi si allargava un lieve sorriso.
Vivian stava per chiedergli dei droni, quando il cellulare dell'uomo squillò, intonando un remix di Canon.
'Scusa i modi, ma oggi ho faccende da sbrigare. Per qualsiasi cosa chiedi a Leanne, e ti aiuterá come può. Tornerò nel tardo pomeriggio, e vedro di allungarti qualcosa come souvenir'. Adam le sorrise nuovamente, si alzò ed afferrò il telefono, scomparendo in una delle porte sul corridoio, probabilmente verso la sua camera.
Pensandoci, non aveva ancora incontrato Leanne Oledry, la figlia di Adam, e neanche la moglie Anne, nonostante l'avesse vista uscire la sera prima per una nottata in ospedale a causa di delle visite.
Si mise seduta ed il suo sguardo si perse nel fumo caldo uscente dalla tazza del té, prima di allungare la mano per afferrarlo e ritornare alla realtà lasciandosi scappare un urlo dovuto al calore della tazza.
Dei passi si avvicinarono rapidamente al salotto, ed ella sussultò nuovamente nel vedere ciò che uscì dal corridoio.
Una ragazza bionda come la luce che quando s'era svegliata illuminava il salotto, occhi nocciolati  che le ricordavano il colore delle castagne, un naso senza il minimo spigolo, piccole labbra chiare e pelle quasi bianca apparve di fronte ai suoi occhi.
Indossava una vestaglia bianca che la copriva dal collo alle caviglie, abbracciando ogni sua curva come fosse parte della sua pelle eppure apparendo leggera come una piuma, che riusciva a risaltare il colore dei suoi capelli disordinati posati sopra di essa. Le mani erano nascoste all'interno delle maniche, e solo le punte arrotondate delle sue dita spuntavano timidamente da esse. Da uno sguardo apparentemente preoccupato passò ad un sorriso dolcissimo e bianco come la vestaglia, mentre un lieve riso scuoteva le sue guance leggermente più rosee del resto del corpo.

'Anche a me è successo la prima volta, mi chiedo come mio padre riesca a tenerle in mano senza ustionarsi...', iniziò ella nascondendo le mani dietro la schiena ed ondeggiando lentamente, in maniera appena percettibile.
Era dunque lei Leanne? Per essere la figlia di un sessantenne non pareva avere più di sedici, sedici anni e mezzo al massimo. Si chiese come fosse crescere con qualcuno che normalmente sarebbe dovuto essere tuo nonno, ma dati i modi del signor Oledry non si sorprese di quella dolcezza che già dalle prime parole aveva infuso nel proprio discorso.
Vivian incurvò un labbro in un sorriso abbozzato, e si mise a gambe incrociate lasciando la tazza dov'era.
'Leanne?' la guardò Vivian, tentando di pronunciare correttamente il suo nome.
'Mi aspettavo che tu fossi un po' più grande, sinceramente, ma ehi, ben per me!'
Tentò di non suonare strana o troppo avventata, temendo che anche la figlia dell'uomo che la ospitava potesse pregiudicarla.
La ragazza nella vestaglia si avvicinò e si accovacciò sul braccio opposto del divano, con un viso che ricordava a Vivian la faccina ':3' . In tutto e per tutto: con la bocca appoggiata al ginocchio, il suo labbro superiore formava una figura simile ad un 3, ovviamente reso meno spigoloso da chissà quale gene della pucciosità.
'Non sei la prima a dirmelo, Viv...' borbottò Leanne storcendo il naso come presa dallo sconforto. 'Ma ormai lo prendo come un complimento, non molti hanno genitori così saggi ed anziani'.
Ella tornò a sorridere come prima, e Vivian tirò un respiro di sollievo.

'Allora dimmi, Leanne, cos'è questa faccenda dei droni? Da dove vengo di solito li usano solo per filmare feste o matrimoni dall'alto, e sono sempre seguiti da un'orda di bambini' tentò di attaccare discorso Vivian, guardando le dita dell'altra che man mano spuntavano dalle maniche.
'Da dove vieni non è qui', ridacchiò Leanne, 'qui li usiamo sì a volte per riprendere il mare quando è in tempesta o la spiaggia al tramonto, ma principalmente li modifichiamo con vernici fluorescenti, piccoli laser, lucine al led e striscioni per farli volteggiare sopra agli alberi e sulla costa durante le domeniche dei falò, per colorare il cielo. Ma anche qui i bambini li inseguono, così Kleinne si diverte a comandare i droni in modo da confondere i bambini e farli cadere o scontrare. Non si fanno male, e noi ci facciamo una risata' concluse.
Vivian portò lo sguardo al muretto dietro al divano, che delimitava l'area giochi e la porta per il piano superiore.

'Kleinne? Chi sarebbe questa figura dal cognome germanico?' domandò in tono sarcastico ella.
Leanne roteò gli occhi in modo divertito, poi alzò le mani in modo trionfante.
'Kleinne è il principale pilota dei droni! Riesce a guidarne in gran numero singolarmente, quando io, i miei ed occasionalmente qualche amico non lo aiutiamo. È la mente principale dietro alle luci della domenica'. La ragazza scosse la testa, sbuffando.
'E Kleinne è il suo nome. Kleinne Werster.
So che è un nome che pare un cognome, ma i suoi quel giorno erano fantasiosi, e così...Puff, Kleinne. A me piace come nome, è...Inusuale. Insomma, dove trovi un Kleinne che guida dieci droni alla volta?'
Leanne rise ancora, ed il lieve scroscio delle foglie fuori dalla finestra accompagnò il suo riso.

'Kleinne' borbottò con voce grossa Vivian, ridendo di se stessa qualche secondo dopo.
'Credo mi abbia lasciato una lettera, il signorino KLEINNE, andiamo a dare un'occhiata?' propose, alzandosi dal divano.
'Una lettera?'.
Leanne saltò in piedi.
'Scrive da dio, Vivian! Andiamo a vedere, magari...' affermò, tirandole una lieve spallata ed inarcando le sopracciglia lasciando intendere le sue intenzioni.

Vivian le sorrise ancora, chiedendosi come una ragazza di un tale splendore potesse essere nata in un luogo abbastanza mozzafiato da eguagliare la bellezza di quest'ultima.
Mentre le dita di Leanne scomparivano ancora dentro le maniche Vivian sentì il gomito dell'altra appoggiarsi sulla propria spalla, e sebbene la sua pelle fosse coperta dalla vestaglia percepì il tocco di un angelo, e si chiese se il sussurro degli alberi non fosse altro che la natura nella quale riecheggiava la bellezza della ragazza.

'Sono etero, sono etero' sussurrò Vivian, soffocando le parole con una risata, mentre Leanne zompettò nel corridoio e scomparve nella camera, senza fare il benchè minimo rumore.
Vivian afferrò distrattamente la tazza di té ora raffreddata e, senza fretta, seguì i leggiadri passi della ragazza.

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