L'aggressione

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5 marzo 2014
Caro diario,
mi spiace di averti trascurato per alcuni giorni, ma non ne ho potuto fare a meno: sono stati giorni complicati, pieni di dubbi, incertezze, emozioni, speranze e paure. Sono perfino andata in ospedale! Ma procediamo con calma, perché voglio spiegarti tutto nei minimi particolari, anche perché é una storia eccitante e tenebrosa e io ho tutto il tempo che voglio per narrarla, siccome gli avvenimenti di questi giorni mi hanno permesso di rimanere a casa per riprendermi.
É cominciato tutto lunedì, la mattina dopo aver fatto quello strano sogno: sembrava una mattina come le altre, ero solo un po' più stanca e assonnata, siccome mi ero svegliata alle quattro di notte; il sogno era ancora nitido nella mia memoria, tutti i particolari, tutti gli enigmi e gli interrogativi occupavano i miei pensieri: non riuscivo a smettere di pensare a quel buio, ma anche a quella luce, a quel dolore e, soprattutto, più affascinanti e tenebrosi di tutto, quegli occhi azzurri ghiaccio e quelle parole. "Sei al sicuro", avevano detto, sì, ma al sicuro da cosa, qual era il pericolo che incombeva su di me? Quale il mistero celato dietro quella stanza?
Sia ben chiaro che io non credo ai sogni premonitori, come potrei? Non é mai stata data, a parer mio, una spiegazione corretta e scientificamente provata del sogno: sono immagini, forse rappresentano il nostro stato d'animo, le nostre paure, ma come possono prevedere il futuro? Eppure, mi spiace ammetterlo, questa volta sembra proprio che il mio sogno, seppure con immagini che definirei metaforiche, ha predetto il fatto che mi é successo qualche mattina fa e che ora ti narrerò.
Come ho già detto, era una mattina come le altre, la routine era la stessa di ogni giorno, in casa mia regnavano calma e caos contemporaneamente: eravamo tutti, compreso il mio cane, in armonia tra di noi e ci sorridevamo e parlavamo, tuttavia eravamo, come sempre in ritardo, perciò giravamo per la casa con l' affanno e la paura di perdere il pullman, ma era un caos buono, quotidiano, familiare, che ormai fa parte della nostra vita e che abbiamo imparato ad accettare, quasi ad amare.
Comunque, erano all'incirca le 7:50 quando sono uscita di casa correndo, come al solito, sono arrivata al semaforo e lui era lì, davanti a me, wow! Stavo sognando? Com'era bello, visto di schiena, alto e slanciato, sempre freddo, impeccabile ed elegante: avevo l'impressione che si fosse accorto della mia presenza, che avesse capito che la persona che aveva sentito arrivare ero proprio io e che, proprio per questo, non si fosse girato, che stupida! Sempre con queste immaginazioni!
Comunque é stato proprio mentre stavo riflettendo su quell'uomo, che é avvenuta una cosa che credevo potesse succedere solo nei film, e quel che é peggio, é accaduta proprio a me! Ho sentito i passi di una persona dietro di me, ho sentito la sua mano sul mio braccio e, essendo così immersa nei miei pensieri, non ho avuto il tempo di riflettere o reagire e quella mano ha portato il mio corpo, con tanto di zaino sulla schiena, contro il suo e mi ha puntato una lama alla gola urlando:"se non mi date quello che voglio la uccido!". LA UCCIDO?  Siamo pazzi? Beh, purtroppo la risposta era "sì, sono pazzo, matto da portare in manicomio con la camicia di forza": quello era infatti il "pazzo" o "fuori di testa" o come tu lo voglia chiamare, del mio quartiere: poverino, in fondo, é un signore ormai anziano, un vecchio padre che ha perso il senno e che non é più autosufficiente ed é perciò diventato un peso per la sua famiglia, che continua, comunque, a prendersi amorevolmente cura di lui. Sapessi quante volte lo ho visto mentre camminava con il figlio ormai cinquantenne, nel parco vicino a casa: a braccetto, il figlio che si sforzava alle persone che gli lanciavano sguardi di compassione, il padre con un'espressione vuota, calmo e apatico, probabilmente a causa di tutti gli psicofarmaci che deve prendere per tenere sotto controllo la sua infermità mentale.
Comunque, la  sfortuna volle che quel giorno quel pover uomo, non provo rancore nei suoi confronti, ma una profonda pena, non avesse preso i suoi farmaci e, in preda a qualche crisi, era uscito sulla strada (ancora in pigiama, vorrei far notare) e si era accanito sulla prima persona che vide: me.
Bene, ora che ti ho spiegato gli antefatti dell'accaduto, posso tornare a narrare la storia: quell'uomo ha iniziato a urlare quella frase che suonava così macabra e letale alle mie orecchie, continuando a tenermi il coltello puntato sulla gola; fu in questo momento che il "mio" uomo si voltò per capire cosa stesse succedendo: i suoi occhi, così azzurri, di ghiaccio, lasciarono trasparire i suoi sentimenti, nonostante si sforzasse di nasconderli, ma il nostro sguardo si incontrò e io in quel momento di difficoltà trovai nei suoi splendidi occhi l'unica speranza e capii che fosse preoccupato per me. Non sto parlando però, caro diario, di una preoccupazione qualunque, quella che le altre persone che stavano assistendo alla scena provavano: era una preoccupazione disperata, quasi come io fossi l'unica cosa che gli restava nella vita e perdermi dovesse comportare la morte; nei suoi occhi c'era anche il desiderio di intervenire, di fare qualunque cosa potesse salvarmi, e questo sentimento era unito all'impossibilità di agire e al terrore di vedere quella lama penetrarmi nella gola e togliermi la vita, per sempre. É incredibile la quantità di emozioni che gli occhi possono comunicare, non é vero?
A quel punto, fortunatamente, dal portoncino della casa del vecchio uscì suo figlio, terrore e imbarazzo sul suo viso, che impiegò ben poco a comprendere cosa stava accadendo e, siccome conosceva il padre e le sue fisse, trovò senza difficoltà una soluzione efficace che mi salvò la vita:   suo padre era l'esempio dell'avarizia, perciò voleva che gli si dessero dei soldi e suo figlio gli mostrò una bella banconota da 20 euro che placò il suo animo furente, gli fece completamente dimenticare che io fossi stata per qualche minuti un suo ostaggio e mi lasciò cadere. Non ebbi il tempo di rallegrarmene, perché, sfortunatamente, siccome non si curava di quello che faceva, nel lasciarmi libera mi provocò un profondo taglio sul braccio e io, un po' per il dolore, un po' per il sangue violaceo che inizio a sgorgare (aveva colpito l'arteria, seppi in seguito) e un po' per lo spavento, svenni. A questo punto, ovviamente, non ricordo cosa sia successo, ma quando mi svegliai, mi ritrovai tra le braccia di quell'uomo bellissimo, che mi sorrideva e mi guardava teneramente con quegli occhi che non dimenticherò mai, mi sembrava di essere in paradiso, ne ero quasi sicura, così chiesi, del tutto ingenuamente, <sono morta? >. L'uomo mi rispose ridendo dolcemente:< Ma no! Certo che no! Ora é tutto finito, sta arrivando un'ambulanza e io resterò con te.>; non posso descrivere quali emozioni quelle parole suscitarono in me: un misto di gratitudine, gioia e imbarazzo, ma mi rassicurarono. Sentendo un profondo dolore al braccio, istintivamente portai la mano del braccio sano verso quello che mi faceva male, ma c'era già la mano dell'uomo, che cercava di fermare il sangue, così le nostre due mani entrarono in contatto: mi accorsi subito dell'equivoco e, imbarazzata, mi apprestai a togliere la mano, ma lui la trattenne e mi accarezzò il viso: anche lui si era accorto dell'equivoco, ma ci tenne a farmi capire che per lui non fosse un problema;a questo punto mi sentii di nuovo stanca, priva di ogni energia e svenni per la seconda volta, tra le sue braccia.
Mi risvegliai in una camera di ospedale.
Ora però, scusami caro diario, ma non riesco più a scrivere, perché sono ancora debole e mi stanco facilmente, ma prometto di narrarti la mia avventura "romantica" in ospedale.
Ciao, caro diario.
Tua Elena

Un amore pericolosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora