Il piano

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Che quel posto non mi piacesse, era chiaro. Che non volessi stare là, era chiaro. Che volessi scappare, era chiaro. Come potessi farlo, quello no, non era chiaro per niente.
Le giornate di un malato trascorrono tutte uguali per non compromettere maggiormente il loro precario equilibrio, di conseguenza: doccia, colazione, seduta della mattina, pranzo, riposo, gruppo di sostegno, visite, cena, letto.
Qual era il momento adatto?
Forse dopo cena. Sì, gli infermieri spengono le luci alle 22, poi si ritrovano nella saletta comune e bevono un caffè per affrontare meglio il turno di notte. A quel punto uscirò dalla camera e andrò verso la cucina, là ci dovrebbe essere una porta. Sarà perfetto, funzionerà.
Ma cosa farò dopo? Non ho mezzi, non ho soldi, non ho niente.
Idea. Domani verrà Vanda a farmi visita, la informerò del piano e lei mi passerà a prendere con l'auto a circa seicento metri di distanza da qui, ci accorderemo domani sul luogo. Domani sera a quest'ora sarò libera.

Ero euforica. Finalmente avrei lasciato questo inferno, sarei andata via per sempre, senza guardare indietro. Avrei ricominciato a vivere davvero, non ero pazza, non avevo ragione di stare lì. Libertà. Sentivo quasi il profumo del mondo, l'aria fresca sul viso "sarà bellissimo" mi dicevo. Guardavo quella parete bianca davanti a me e fantasticavo su come fosse cambiato il mondo durante la mia assenza. Riuscivo a vedere anche le persone, sul bianco ingiallito di quel muro.

Mentre la mia mente faceva il giro del mondo, non mi accorsi che c'era qualcun' altro con me. Sempre gli stessi magneti che mi fissavano, impassibili e bellissimi.

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