capitolo 3

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<<Ho bisogno di dimenticare>>, gli dissi con tono pacato.
<<Bene, ho quello che ti serve. Vieni, ti aspetto>>. Chiusi la chiamata e mi alzai da terra.
Andai verso il mio armadietto per prendere il casco e lo zaino, dopo di che tornai al parcheggio. Salii sulla mia moto e partii.
Quando arrivai lui e la sua congrega erano lì ad aspettarmi con un sorriso da un orecchio all'altro. Che gente disgustosa.
Mi tolsi il casco e li raggiunsi: <<Allora, chi sarà il poveretto che pesterò?>>.
<<Un certo tale chiamato pugno di ferro>>.
<<Dopo che ci avrò combattuto, si dovrà far chiamare pugno rotto>>, dissi loro con un ghigno compiaciuto.
<<Bene, è così che ti voglio>>, mi disse per poi darmi una pacca sulla spalla, quel gesto m'infastidì.
<<Non osare toccarmi con quelle mani luride!>>. Gli spinsi via la mano.
<<Calma, non ti scaldare>>, indietreggiò con le mani alzate in segno di resa per timore che lo potessi picchiare.
<<Andiamo prima che ti prenda a pugni>>.
Mi avevano dato da indossare solo dei pantaloncini, di certo non potevo indossare solo quelli, visto che ero una ragazza, anche se loro non lo sospettavano minimamente. Mi lasciai i vestiti che avevo addosso, tanto non usavo i vestiti più di una volta.
<<Sicuro di voler combattere con quei vestiti?>>, mi chiese guardandomi da capo a piedi.
<<Sicurissimo, tanto erano da buttare>>. Il tipo mi guardò un po' stranito ma non disse nulla.
<<Bene, allora vai e vinci>>.
Lo guardai dritto negli occhi: <<Sicuro che vincerò, io non ho mai perso>>. Al corso ero sempre stata la migliore e tutti mi temevano perché facevo sempre un gran male. Mio padre era orgoglioso di me quando assisteva ai miei incontri, mia madre invece, sveniva sempre.
Salii sul ring improvvisato, lui era lì difronte a me con un'aria da io sarò il vincitore. Si sbagliava di grosso, perché gli avrei fatto un gran male, il bello di queste competizioni era che non c'erano regole.
<<Moscerino, come ti sei conciato?>>, mi prese in giro.
<<Almeno io ho gusto, sgorbio>>, lo sfottei, così imparava. Stava per scagliarsi contro di me ma l'arbitro lo fermò.
<<In posizione...>>, disse l'arbitro. Rimasi ferma e immobile al contrario di pugno di ferro che si mise in una possa al dir poco ridicola. <<Via!>>.
Quell'energumeno si scagliò contro di me, prontamente lo schivai facendogli lo sgambetto. Cadde rovinosamente a terra scontrandosi pesantemente col pavimento facendolo tremare.
<<Ops, chiedo scusa>>, me la risi facendolo arrabbiare ancor di più.
<<Adesso assaggerai il mio pugno!>>. Si alzò a fatica per poi scagliarsi contro di me. Con prontezza afferrai il suo braccio storcendoglielo.
<<Allora ti arrendi?>>.
<Sì, sì, ti prego lasciami, mi arrendo>, piagnucolò come un bambino piccolo.
<<Bene, abbiamo un vincitore!>>, annunciò l'arbitro alzandomi il braccio.
<<Hey, perché non bevi qualcosa con noi?>>, mi propose il tizio che mi stava antipatico quando me ne stavo per andare via da quel postaccio.
<<No, mi è bastato quello dell'altra volta>>, rifiutai l'invito.
<<Qualcosa di analcolico?>>, insistette.
<<Se proprio devo, va bene>>, accettai di malavoglia.
Mi portarono nella taverna dell'altro giorno. Che brutti ricordi, anche se pochi e confusi.
<<Qualcosa di forte da bere, e per l'amico un analcolico>>, disse al barista per poi indicare me. Da quando eravamo amici?
<<Allora, che ti è successo? Per caso paparino ti ha ridotto la paghetta?>>, mi prese in giro.
Lo fulminai con lo sguardo facendolo impallidire di colpo. <<No, e poi i miei non li vedo quasi mai, sono musicisti di musica classica di fama internazionale>>, spiegai loro.
<<Ed è per questo che combatti?>>, mi chiese.
<<No>>. Il barista mi offri il drink analcolico che bevei in un sorso. Ci voleva qualcosa di più forte.
<<E allora perché?>>, mi chiese facendosi curioso.
<<Perché amo la mia migliore amica e come un idiota ho preso a pugni il suo ragazzo e adesso non vuole più palarmi>>, gli confessai tutto d'un fiato fissando il mio bicchiere vuoto.
<<Wow che storia... perché lo hai preso a pugni?>>, mi chiese confuso.
<<Perché la vuole usare come un oggetto per poi buttare via, ecco perché>>.
<<Se vuoi, ci pensiamo noi>>, mi propose.
<<No, è una faccenda che riguarda me, non immischiatevi>>.
<<Come vuoi, in caso fa un fischio>>.
<<Ci penserò>>, gli dissi con un mezzo sorriso forzato.
<<A proposito, io sono Marc e loro sono, John, Freddy, Max e Greg>>, fece indicando i suoi scagnozzi. Erano tutti e cinque vestiti di nero con dei giubbotti di pelle e avevano dei tagli di capelli ridicoli, come i loro nomi. Erano anche pieni di tatuaggi e piercing.
Guardai l'ora del mio orologio, si era fatto tardi. <<Si è fatto tardi, devo andare>>, dissi loro per poi alzarmi.
<<No, dai, ci stavamo divertendo>>, mi implorò Marc.
<<No, ho da fare>>. Dovevo andare agli allenamenti ed ero già in ritardo.
<<Va bene>>.
<<Ci si vede>>. Pagai il conto e me ne andai.
Non mi andava di tornare a scuola ma dovevo allenarmi in vista della partita e dovevo essere in piena forma perché ci sarebbero stati i miei in quell'occasione e non volevo deluderli. Mi misi il casco e partii.

L'amore Di Un AmicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora