Prologo

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Le manette che stringevano sui polsi incrociati dietro la schiena, le spalle doloranti per la posizione scomoda delle braccia, la voglia di scappare, di urlare, di prendere a pugni qualcuno, quel qualcuno.

Quel qualcuno che ora dovrebbe essere al posto mio, ma che ha preferito svignarsela a gambe levate senza provare neppure a tirarmi fuori dai casini in cui mi aveva praticamente gettato.

Una porta si aprì di scatto, mostrandomi un'agente che si avvicinò alla piccola cella in cui mi trovavo in attesa del mio processo.

"Connie Carter?" chiese squadrandomi dalla testa ai piedi in attesa di una mia risposta.

Annuii solamente, deglutendo la poca saliva che mi era rimasta a causa dall'ansia che mi stava logorando internamente.

Mi prese per un braccio in malo modo, come fossi un oggetto, come se dal momento in cui mi avevano messo quelle manette addosso avessi perso tutta la mia dignità.

"Cammina!" disse spingendomi fuori dalla cella dove mi accompagnò attraverso un lungo corridoio senza finestre.

Incrociammo solo una coppia di agenti che dopo varie occhiatine si confrontarono sul perché ragazzi così giovani dovessero finire in carcere.

"E' tutta colpa dell'educazione che ricevono! Se i genitori fossero più severi non finirebbero qui a darci lavoro!" sentii dire ad uno dei due, seguito subito dopo dalla risata dell'altro per la battuta fin troppo squallida del suo collega.

Avrei tanto voluto girarmi e urlargli contro che l'educazione non centrava nulla, che nel mio caso, i miei genitori avevano fatto il possibile per la propria figlia e che se avevano fallito era solo per colpa mia. Non peggiorai però la mia situazione, continuai a camminare a testa bassa, consapevole dei miei errori e di ciò che sarebbe successo.

Ci fermammo davanti ad una porta che l'agente subito aprì: una piccola stanza con un tavolo, due o tre sedie e un uomo in giacca e cravatta mai visto.

"Avete 30 minuti prima dell'inizio del processo." disse l'agente all'uomo dentro la stanza in cui mi spinse per poi chiudere la porta.

"Un po' rude, eh?" mi sorrise lo sconosciuto.

"Lei chi è?" chiesi subito volendo capire cosa centrasse lui con me e perché dovessimo stare qui per mezz'ora.

"Già scusami, sono Adam Price. La mano non te la porgo perché, ecco..."

"Pessima battuta." risposi fredda cercando di muovere i polsi doloranti chiusi tra le manette.

"Si..." rispose imbarazzato notando la figura che aveva appena fatto "Beh, sono il tuo avvocato e sono qui per cercare di tirarti fuori da questo casino."

"Avvocato?" chiesi non sapendo di averne uno.

"I tuoi genitori mi hanno chiamato quindi si, hai un avvocato."

"Siamo messi bene..." andai a sedermi rassegnata. Se avesse fatto le stesse battute che stava facendo a me, molto probabilmente le mie possibilità di finire in carcere erano certe. Apprezzavo però il gesto dei miei genitori, nonostante non navigassimo nell'oro: si stavano facendo in quattro pur di non vedermi dietro a delle sbarre.

"Allora, i tuoi genitori mi hanno raccontato i fatti e li ho letti anche sul rapporto degl'agenti, ma ho bisogno di sentire la tua versione." mi disse prendendo dei documenti, probabilmente sul mio caso, dalla sua borsa.

"Beh..." iniziai.

*****

Il processo durò ore e nonostante tutto non andò così male. Non me ne intendevo di avvocati, ma Adam mi era sembrato più che convincente ed iniziavo già a immaginarmi fuori da quell'aula di tribunale libera dalle manette che sembravano diventare sempre più stette.

Quando il giudice uscì per decidere la sentenza finale, mi girai un momento per vedere chi fosse presente: trovai i miei genitori sorridermi tristemente in modo speranzoso ed alcune persone mai viste prima.

"Chi è tutta questa gente?" sussurrai ad Adam, indicandoli con la testa.

"Parenti ed amici di una ragazza del processo successivo al tuo." mi riferì guardando per un attimo e tornando a controllare i suoi documenti.

"Ah..." scollai le spalle continuando a guardare se tra quelle persone c'era chi avrebbe dovuto essere seduto al posto mio in quel momento. Controllai più volte, ma nulla, nessuna massa di capelli biondi.

"Che stronzo." sussurrai a malapena attirando l'attenzione dell'uomo seduto al mio fianco.

"Come, scusa?" mi chiese.

"Nulla, nulla." sorrisi sperando non avesse capito o che non pensasse fosse riferito a lui.

Diedi un'ultima occhiata prima di rigirarmi e vedere il giudice entrare. Con la dovuta calma andò a sedersi, si mise gli occhiali ed iniziò a leggere.

Non riuscii a capire molto ciò che stava leggendo, non mi ero mai interessata a diritti o pene da scontare, in più l'ansia mi stava uccidendo lentamente.

Solamente una frase mi risvegliò dal mio apparente stato di tranquillità:

"La corte qui presente ha deciso che la signorina Connie Carter dovrà scontare 11 mesi nel carcere minorile di St Martins, in Missouri. Così è deciso." finì alzandosi ed andandosene.

"Cazzo." riuscii solo a dire, capendo che forse a quelle manette avrei dovuto farci l'abitudine.


Semper Fidelis || Kian LawleyWhere stories live. Discover now