"Si sieda pure signorina." m'indicò la sedia davanti alla sua scrivania appena entrai.
"Allora, le hanno già parlato di me immagino!" rise leggermente continuando a scrivere su dei documenti sparsi sul piano.
"Vagamente..." risposi sedendomi e guardando attorno: sembrava uno studio qualunque di un ricco intellettuale che vive fuori città giusto perché "il rumore delle auto lo deconcentra dallo studio". Pareti ricoperte di librerie che trasbordavano di libri tutti ordinati uno accanto all'altro, dei quadri appesi, una scrivania in legno con delle foto della sua famiglia, una sedia in pelle davanti ad essa e un tappeto persiano a terra: sembrava di essere usciti dal carcere per trovarsi in un mondo parallelo, il tutto oltrepassando solamente una porta...
"Solo cose positive immagino!" continuò con il suo sorrisino di pochi attimi prima. Sembrava un brav'uomo o perlomeno non sembrava prendermi per una criminale come avevano fatto tutti fin'ora.
"Allora, signorina Carter, posso chiamarla Connie, vero?" mi sorrise sincero attendendo una mia risposta che non tardò molto ad arrivare.
"Ha preso la pillola che le hanno dato prima di entrare qui?" mi chiese guardandomi negl'occhi.
Annuii ed era la verità, avevo esitato appena mi trovai davanti l'agente davanti alla porta con una piccola pastiglietta viola e il bicchiere d'acqua, ma anche se mi avesse fatto dire la verità, non avevo nulla da nascondere.
"Bene allora Connie" iniziò a parlare incrociando le mani sopra la scrivania "Mi parli un po' di lei."
"Beh, sono dentro perc-" iniziai ma venni subito interrotta.
"No, no, non voglio sapere questo... O almeno, se lo ritieni necessario parlamene, ma preferirei sapere di te, della tua famiglia, cosa fai nella vita, cosa vorresti fare da grande, magari i tuoi sogni..." spiegò mettendosi comodo nella sua poltrona.
"Beh..." iniziai prendendo tempo per formulare nella mia testa qualche frase da dire che avesse un senso. "Mi chiamo Connie e ho 18 anni, vengo da un piccolo paesino del Nebraska dove vivo con la mia famiglia..." dissi quasi confusa. Probabilmente la pastiglia iniziava ad agire e nella mia testa rimbombavano tutte le parole che dicevo.
"Fratelli? Sorelle?" mi chiese.
"No, sono figlia unica..." risposi massaggiandomi le tempie.
"Tutto bene signorina?" mi chiese preoccupato sporgendosi verso di me.
"Si, si... E' solo che quella stupida pastiglia mi sta mandando in pappa in cervello..." dissi innervosendomi leggermente per il continuo rimbombo di qualsiasi minimo rumore che sentivo attorno a me.
"Stia tranquilla, passerà presto. Vuole un bicchiere d'acqua?" mi chiese porgendomi un bicchiere vuoto e prendendo una bottiglia a lato della scrivania.
"Non si preoccupi..." lo rassicurai riprendendo a guardarlo ed evitando di pensare al mal di testa che non sembrava lasciarmi tregua.
"Con i suoi genitori va d'accordo? Litigate spesso?" mi chiese continuando le sue domande.
"Siamo una famiglia normale: litighiamo qualche volta, magari nell'ultimo periodo un po' più spesso, ma non voglio pensi che sia qui per colpa dei miei problemi famigliari. Ho dei genitori fantastici, si sono sempre fatti a pezzi per me e penso che vedermi qui non fosse neppure nei loro incubi peggiori." li difesi subito.
Non volevo pensasse che fossi lì per colpa loro quando in realtà non sapevano nulla: la colpa era mia, mi era presa le miei responsabilità e non ero riuscita a gestirle, fallendo miseramente. Avevo avuto dei genitori meravigliosi, mi avevano sempre aiutato per qualsiasi cosa e se era accaduto quello che era accaduto, non era certo merito loro.
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Semper Fidelis || Kian Lawley
FanfictionDove la troppa libertà viene rubata, dove le ore sono scandite dai ritmi lenti della quotidianità, dove il silenzio viene interrotto dal suono stridente delle manette dei più ribelli, dove il passato ti condanna, ci sono loro, due ragazzi che si pro...