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Dicono che la solitudine possa portare ad impazzire.

Dicono possa portarti allo sfinimento, lasciandoti senza forza per respirare.

Posso però confermare che quello che ti uccide qui dentro è il vuoto interiore che la solitudine si porta con sé.

Arrivano assieme, pian piano, senza spaventarti. Ti guardi attorno, vedi il mondo che gira e le persone che si muovono di conseguenza. E ti muovi anche tu, per conseguenza perché sai di essere nata per andare avanti, muoverti tra gli altri, non pensando a ciò che in realtà ti nasce dentro.

Non è dolore fisico, né mentale. E' piuttosto qualcosa che si espande dentro la cassa toracica, cercando di togliere lo spazio ai polmoni. E tu in tutto questo non te ne accorgi, non ci dai importanza perché la gente attorno a te continua ad andare avanti e li vedi stare bene.

Ma poi ti fermi un attimo, ti guardi dentro e capisci che ciò che hai dentro non è altro che il vuoto della solitudine che ti lacera lentamente.

Forse aveva ragione il dottor Perez : "La solitudine può essere una meravigliosa conquista o una terribile condanna" e ora si che capivo veramente il peso della solitudine che mi stava trascinando sempre più giù.

Prevedevo questi miei 11 mesi qui dentro come più di una condanna , li vedevo come un tunnel senza via di scampo, come una stanza dove i muri si restringono sempre più, come un inevitabile lasso di tempo in cui avrei dovuto pensare ai miei errori. E forse era anche questa la dura realtà del carcere: pensare a tutto ciò che avevamo e ai nostri errori, ma a pensarci avrei solo voluto urlare e sbattere la testa sul muro fino a piangere.

Perché per una semplice svista, per una semplice cotta , non avevo visto più in là di ciò che volevo vedere ed ora ero qui, in questa stanza dove tutto ti riporta a pensare a ciò che hai lasciato, dove una semplice scritta al muro davanti al letto ti fa aprire gli occhi e capire che forse è vero, di qui nessuno esce mai vivo.

"Signorina, il dottor Perez la aspetta." Mi chiamò un agente entrando nella stanza.

Mi alzai e a passi lenti mi avviai verso il suo studio. Passi lenti e pesanti di chi in realtà qui dentro non sa cosa fare e si è rassegnato al peggio. Che è successo alla Connie spensierata e con il sorriso sempre sulle labbra?

Appena girai per il corridoio dello studio, vidi dalla porta uscire il ragazzo che incontrai alcuni giorni prima.

"Bellezza!" fece un piccolo inchino passandomi affianco.

"Ma finiscila." mi uscì forse troppo brusca.

"Nervosetta anche oggi... Ma sempre irresistibile!" mi mandò un baciò al volo mentre gli rispondevo solamente con una faccia disgustata.

Non so cosa volesse quel ragazzo da me e neppure perché in ogni punto mi girassi me lo trovavo sempre a fissarmi: in mensa, a scuola o semplicemente per i corridoi. Era a dir poco inquietante.

Bussai all'ufficio di Perez e attesi una sua risposta prima di entrare.

"Signorina Connie!" mi salutò con entusiasmo mentre andavo a sedermi "Allora, oggi come va?"

"Potrebbe andare meglio..." ammisi sincera scrollando le spalle.

"Cosa ti preoccupa?" mi chiese sincero. Il dottor Perez fin'ora era stato solo una salvezza per me: ascoltava i miei problemi, ma li ascoltava interessato a tutto ciò che di dicevo. Mi stava aiutando molto in questo momento dove tutto sembrava essermi crollato addosso.

Non era come gli altri qui dentro: si interessava veramente a ciò che provavo e che sentivo ed avere qualcuno con cui parlare mi serviva più di ogni altra cosa. Non volle mai sapere per quali motivi fossi lì dentro, voleva solamente occuparsi della sicurezza dei sui pazienti perché a detta sua 'ci teneva a trovare uno spiraglio di bene in tutto questo schifo'.

Semper Fidelis || Kian LawleyWhere stories live. Discover now