Day 1
Le ore che passavano, il ticchettio dell'orologio che scandiva ogni attimo buttato via chiusa in quella cella dove non avrei mai pensato di finire.
Le ore che passavano, aspettando qualcosa: si, ma cosa? Erano passati solo due giorni dal processo, ma chiusa in quel minuscolo spazio sembrava essere passata una vita.
Riuscii solo ad alzare la testa quando sentii la porta davanti a me aprirsi: il pranzo? O forse la cena?
"Carter?" mi chiese un agente cercando tra il mazzo la chiave giusta per aprire la cella.
"Si..." bisbigliai solamente.
"E' ora di cambiare aria." mi disse solamente trascinandomi fuori dalla cella.
Non capii dove mi stessero portando, camminammo per cari minuti tra lunghi corridoi vuoti contornati da finestre: non c'era il mio amato sole, anzi, le nuvole grigie lo facevano trasparire a malapena.
Arrivammo all'entrata dell'edificio dove trovai un altro agente a cui venni affidata, giusto per qualche metro per non farmi scappare. Forse però non avevano capito come quei due soli giorni mi avevano distrutta e che la forza di correre via non l'avrei trovata, almeno per ora.
Salii in un furgoncino bianco, dove ad attendere c'era già un'altra ragazza, più giovane di me, ma che non avevo mai visto.
Il motore si accese subito dopo, partendo per la nostra nuova destinazione: Missouri.
Il viaggio fu molto più duro di quanto pensassi: passai le successive tre o quattro ore a guardare fuori dal finestrino i panorami cambiare, senza però farci troppa attenzione. Pensai però a tutto quello che mi sarebbe successo da qui ai successivi 11 mesi chiusa in quelle quattro mura. Pensai a perché stavo per finirci e mi odiai tanto quanto odiavo chi mi aveva messa in quel gran casino.
Se mi avessero chiesto quali fossero i miei progetti per il futuro, beh, il carcere non l'avrei incluso fra quelli, soprattutto se nel periodo che tutti definiscono "i più bello della propria vita".
I due agenti discussero per tutto il viaggio delle ultime partite di football della stagione, trovandosi spesso in disaccordo su quale squadra fosse la migliore. Ogni tanto uno dei due si girava e guardava fossimo ancora vive: su di me non avevano dubbi, sulla mia compagna un po' meno. Aveva pianto per circa tutto il viaggio, continuando a ripetere che le dispiaceva per ciò che aveva fatto, che non era stata colpa sua, continuando a prendere rimproveri dagli agenti che non ne potevano più.
Fortunatamente dopo quel pianto senza fine si addormentò fino all'arrivo al carcere: una lunga stradina stretta in mezzo a dei campi incolti, ci portò ad un muro di filo spinato altro più o meno 5 o 6 metri, facendo vedere a malapena un edificio, probabilmente il principale, che sbucava di qualche metro.
Al nostro arrivo l'alto cancello in ferro venne aperto da due agenti che chiusero subito dopo la nostra entrata, assicurandosi che fossimo chi stavano aspettando.
Il furgone proseguì la sua strada per diversi minuti, mostrandoci poi in lontananza l'imponente e freddo edificio grigio che ci aspettava circondato da altrettante ringhiere.
Accostammo davanti ad un altro cancello, dove un agente uscì per ci tirarci fuori con la grazia di un elefante. Il nostro furgone si girò in un attimo e tornò indietro salutando l'uomo che continuò a spingerci dentro al cancello.
Un enorme struttura in cemento ci si presentò davanti , un prato poco curato gli faceva da contorno, cercando di alleggerire tutto il peso che quelle quattro mura trasmettevano, togliendo quasi il fiato.
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Semper Fidelis || Kian Lawley
FanfictionDove la troppa libertà viene rubata, dove le ore sono scandite dai ritmi lenti della quotidianità, dove il silenzio viene interrotto dal suono stridente delle manette dei più ribelli, dove il passato ti condanna, ci sono loro, due ragazzi che si pro...