~parte 10~

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Alex ora si trovava in un posto strano. Intorno a lui luci variopinte coloravano il cielo che non pareva più celeste ma pitturato dai caldi colori del tramonto. All'orizzonte svettavano altissime montagne di un colore rossiccio, simile al manto di una volpe. La terra sopra la quale camminava era anch'essa rossiccia e gialla, a volte polverosa a volte liquida e appiccicosa. Alex procedeva a fatica per andare dove l'istinto lo portava.

Doveva arrivare laggiù, vicino a quelle gigantesche montagne che sembravano emanare lingue di fuoco. Ai piedi di quel muro infuocato, si intravedeva una piccola ombra traballante.

Alex si portò le mani alla fronte per ripararsi dalla luce accecante e cercò di capire di cosa si trattasse. Avanzava sempre più lungo la distesa appiccicosa e densa, quando si accorse che i suoi occhi cominciavano ad abituarsi alla forte luce che tutto quello strano posto emanava.

Cercò di mettere a fuoco la strana figura che prendeva sempre più la forma di un essere umano. Alla fine non ebbe dubbi: la figura che si stagliava davanti a lui era quella di Eluana. Aveva una camicia da notte bianca e stava ferma a guardarlo, forse addirittura ad aspettarlo. I suoi capelli le svolazzavano intorno come se ci fosse una bufera di vento ma, almeno dove si trovava lui, non ce n'era neanche un soffio.

Alex pensò che avrebbe dovuto sudare copiosamente a causa dello sforzo che stava compiendo, ma il suo corpo era asciutto e come per magia cominciò anche a non provare alcuna fatica nel camminare. Cominciò infatti a volare sopra quella superficie collosa. Scivolava elegantemente lasciando dietro di sé lunghe striature come se stesse sciando sulla neve fresca.

Non era mai stato in quel posto, eppure sentiva di conoscerlo da sempre, come se qualche suo antenato gliene avesse tramandato la conoscenza nei filamenti del suo dna. Era un posto che aveva già visto e conosciuto chissà dove e chissà quando, un posto dove stava bene.

Alex si sentiva più forte, più vivo, più se stesso di quello che era nel mondo reale. In quel luogo magico regnava la pace interiore e la perfezione della vita.

«Eluana, Eluana!»

Mentre si avvicinava a lei, Alex cominciò a chiamarla, ma dalla sua bocca non uscirono parole bensì suoni armoniosi. Era il Chiaro di Luna di Beethoven, una melodia di pianoforte che lui ascoltava spesso nei pomeriggi piovosi di bambino. Non capiva come mai dalla sua gola uscisse una tale musica, ma questa si espandeva intorno a lui e a Eluana, creando giochi di luci e colori che li avvolsero come in un vortice che carezzava loro la pelle e li avvicinava sempre più l'uno all'altra.

Eluana pareva muta e circospetta. Alex allungò una mano per toccarla ma fu come attraversare una nube gassosa e fresca. La sua immagine c'era, era presente, ma non era più umana. Era una figura effimera, leggera e trasparente. Alex ritrasse la mano spaventato. Cercò nuovamente di afferrarla e di nuovo non ci riuscì. Una lacrima solcò il bel viso di Eluana. Alex avvicinò la sua mano forte a quel viso diafano e sentì cadere la piccola goccia sul suo palmo. La goccia evaporò immediatamente creando una piccola nuvoletta che salì in alto fino a sparire e a confondersi nelle calde sfumature del cielo.

Eluana stava scomparendo e lo stava lasciando solo in quel mondo misterioso.

Bip, bip, bip.

La sveglia riportò bruscamente Alex alla realtà di quel sabato mattina.

Ancora intontito e dolorante per aver dormito tutta la notte in una posizione molto scomoda, Alex aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il tavolino del salotto con sopra i joystick della Play Station, la cover del suo videogioco preferito e l'immancabile posacenere nero pieno di mozziconi. Aveva la guancia destra schiacciata ancora sul bracciolo del divano, il collo tutto intirizzito, le braccia intorpidite e la schiena a pezzi. Le gambe erano rigide, semi addormentate e formicolanti e solo in quell'istante Alex si accorse di avere ancora le scarpe ai piedi.

Brontolando e sospirando, fece uno sforzo, si issò in piedi e si diresse verso la camera da letto, dove la sveglia continuava a gracchiare. Fece uno sbadiglio enorme e si stiracchiò, la luce del giorno filtrava dalla finestra. Alex scostò le tende e si rese conto che fuori c'era una magnifica giornata invernale. Il cielo terso, di un azzurro brillante, non chiedeva altro che uscire e recuperare un po' di serenità perduta nelle ultime ventiquattro ore.

Era un giorno di riposo e avrebbe avuto la possibilità di fare quello che più gli piaceva.

Alex decise di cominciare con una bella doccia calda che durasse il più possibile. Rimase a lungo sotto l'acqua bollente, in piedi e con gli occhi socchiusi, lasciandosi picchiettare la schiena dalle gocce insistenti e godendo di quella bellissima sensazione di calore che cominciava a rincuorarlo e a rasserenarlo. I muscoli iniziarono a sciogliersi e a rinvigorirsi. Avvolto in quella nuvola di vapore ad Alex parve di rinascere un'altra volta.

Nello stesso momento anche Eluana cominciava la sua nuova vita. In una clinica psichiatrica.

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