Il Caos È Tra Noi

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Quando arrivò alla fine dello stradello trovò davanti a se un maestoso portone di legno alto tre volte lui. Non poteva buttarlo giù con la magia, avrebbe dato troppo nell'occhio, prima voleva vedere il castello e parlare con colui che gli aveva strappato la vita dalle mani. Voleva fargli sentire che stava andando a prenderlo e che la fine era vicina.
Allora un brillante idea spiccò fra tutte le altre: l'invisibilità . Doveva celarsi come un fantasma, essere silenzioso come un gatto e letale come la mano della morte fredda e spietata. A quel pensiero nella sua mente comparirono imbrogli confusi di parole e simboli, si chinò ed iniziò a ripetere a denti stretti un mantra incomprensibile e frenetico in una lingua dura e gutturale, le dita si muovevano rapide sul terreno umido tracciando un disegno geometrico simile ad una candela spenta. Il buio. Stava ricreando l'oscurità profonda della notte, dove si annidiano silenziosi gli incubi del mondo.
Appena le sue labbra di chiusero e le lunghe dita smisero di correre tra la fanghiglia si alzò una nube nera come la pece. Sulla sua bocca si aprì un sorriso carico d'orgoglio e vanità mentre quel macabro vortice lo avvolgeva fino alla vita. Quando fu completamente immerso in quel pozzo oscuro si sentì uno stridio metallico e poi più niente. La nube si ritirò senza lasciare alcuna traccia del ragazzo. Naturalmente io potevo vederlo, sono la sua padrona e lui non può sfuggire al mio controllo, ma nessun umano avrebbe più potuto percepire la sua presenza a meno che lui non lo desiderasse. Era pronto: poteva entrare nel castello.
Era quasi buio quando si introdusse nel roccaforte. Tutto taceva, le strade erano desolate, si vedevano solo gruppetti di guardie in armature lucenti sparsi qua e la. Si trovava al centro della piazza, davanti al suo sguardo maligno si snodava l'immensa scalinata di granito bianco che conduceva fino alle porte del palazzo. Scivolando come fumo scuro nella notte umida si introdusse nel castello ed iniziò a vagare senza una precisa meta nei corridoi ricchi di quadri e busti di antichi re dalle lunghe barbe bianche. Ad un tratto sentì delle voci provenire dalla porta chiusa alla sua destra.
<<Stiamo acquistando potere, dopo la vittoria contro quel superbo di Alexander di York siamo diventati il terrore della Britannia, nessuno oserà sfidarci adesso>>,
<<ha perfettamente ragione mio Re>>.
-Mio Re- pensai allora -ha trovato il suo bersaglio-. Vidi la rabbia bruciare negli occhi del mio cavaliere, quello era l'uomo che lo aveva gettato tra le mie braccia, colui che mi aveva fornito un nuovo strumento mortale. Attraversò l'imponente portone di legno senza produrre alcun rumore ed entrò nella stanza che riconobbe subito essere la sala dei consigli. L'enorme stanza rettangolare era sormontata da un pesante incrocio di archi di pietra scura, ai lati delle finestre chiuse ricadevano drappeggi di tende scarlatte, un largo tappeto rosso serpeggiava sul pavimento mentre i quattro angoli della sala ospitavano piedistalli di marmo sormontati da busti di Re passati rigidi ed inflessibili. La poca luce era fornita da un candelabro appoggiato su un lungo tavolo al centro della stanza. Ad aiutare la fioca luce delle candele c'erano i lampi che sibilavano intorno al castello. Alexander, pur sapendo di non poter esser visto dagli umani, si nascose dietro uno dei busti ed aspettò pazientemente che il consigliere uscisse dalla stanza e lasciasse il Re solo con il suo destino. Quando finalmente quell'ometto tutto barba liberò la sala, gli occhi del mio cavaliere si illuminarono di gioia: il suo momento era arrivato.
Il Re si era seduto scompostamente su una delle sedie dallo schienale intagliato, si era tolto la pesante corona e l'aveva posata davanti a se mentre teneva la testa tra le mani,
-l'assassinio di un rivale appesantisce la mente- pensò Alexander. Allora il giovane si avvicinò a quella figura accasciata sul tavolo provocando un soffio d'aria fredda che fece rabbrividire il Re. L'uomo ormai di età avanzata si voltò per controllare le finestre, notando con sollievo che una delle ante non era stata chiusa correttamente e faceva filtrare un gelido sospiro dell'inverno si apprestava a terminare. Mentre la tranquillità stava riacquistando il suo cuore, le candele iniziarono a spegnersi, una ad una; una sensazione d'inquietudine pervase il Re che si alzò per controllare nuovamente le finestre della sala, ma stavolta, per sua sfortuna, erano tutte chiuse. Si voltò di scatto per guardarsi alle spalle senza però vedere nessuno, era solo in quella enorme stanza buia, o almeno così credeva. Esausto e leggermente intimorito si diresse verso la porta ma improvvisamente un enorme muro opaco si eresse davanti a lui facendogli sbattere violentemente la fronte. Cadde sulla schiena e rimase sdraiato sul soffice tappeto bordato di fili d'oro ad aspettare di udire un suono o una voce che lo avvisasse dell'imminente arrivo di una qualsiasi minaccia . Ma tutto taceva intorno a lui, non una voce, non uno scricchiolio, non un respiro, era tutto immobile. Rimase immobile finché non sentì un peso gravare sul suo petto e ad un tratto lo vide: giovane, bello, tenebroso, ma soprattutto ... vivo. Stava lì, con un ginocchio puntato sul suo sterno, la schiena curva e gli occhi fissi in quelli del sovrano rivale.
<<York ma..>> iniziò il Re titubante <<ma io ti ho ucciso, due mesi fa. Il tuo corpo dovrebbe marcire sotto terra adesso, come..>> ma venne interrotto dalla voce di Alexander che lasciò morire la frase dell'uomo per aria.
<<Come faccio ad essere vivo? Non è un tuo problema>> disse il ragazzo con voce tagliente come la spada che portava appesa alla cintura mentre si alzava per liberarlo,
<<la vera domanda é: come hai fatto ad uccidermi in quel modo? Ero a terra, disarmato e ferito. Non hai onore, hai tolto la vita ad un uomo senza dargli l'occasione di battersi. Non hai nemmeno avuto la decenza di uccidermi mentre mi reggevo sulle mie gambe. Mi hai pugnalato alle spalle. Sei un vigliacco>> le parole di Alexander uscirono dalla sua bocca ardenti come lava.
<<Io ... io ..>> iniziò a balbettare il Re non sapendo bene cosa dire,
<<tu, tu..>> ribatté il ragazzo imitando la voce del rivale <<finiscila, non voglio sentire le tue bugie>>.
Alexander si allontanò leggermente dal corpo dell'uomo ancora a terra e, schioccando le dita, diede vita ad una raffica di vento gelido che scaraventò il Re contro la parete opposta facendolo poi cadere a terra con un tonfo assordante.
<<Sai perché sono qui?>> riprese Alexander avvicinandosi a lui con passo lento <<voglio la mia vendetta. Non ti ucciderò, non adesso almeno. Prima getterò tua moglie e la tua prole in pasto ai cani, massacrerò i tuoi amati cortigiani ed appiccherò incendi in tutto il villaggio. Solo allora arriverà la tua fine. Ti porterò via tutto, proprio come tu hai fatto a me. Hai ucciso la mia gente, saccheggiato le chiese e violentato le donne, hai piegato l'Inghilterra sotto il tuo scettro, adesso é il mio turno. La fine sta chiamando. L'oltretomba reclama la tua lurida anima>>.
Il Re aveva il terrore stampato a chiare lettere sul volto. Non ebbe il tempo di reagire che fu immobilizzato da catene ardenti. Quelle lingue di fuoco avvolgevano il suo corpo come le spire di un serpente mentre Alexander stringeva una delle estremità tra le lunghe dita. Uscirono dalla sala e si recarono nella camera da letto della Regina. Era una donna meravigliosa, il suo fisico snello giaceva sereno in un groviglio di lenzuola bianche, i lunghi capelli biondi le incorniciavano il volto candido e pacifico. Ai piedi dell'imponente letto a baldacchino c'era una culla di legno scuro nella quale riposava un neonato paffuto. -Il futuro Re- pensò Alexander.
<<Guarda bene la tua famiglia>> disse dando uno strattone alle catene costringendo così l'uomo ad entrare nella stanza <<perché sarà l'ultima volta che la vedrai>>. Con un sorriso maligno sulle labbra iniziò ad agitare la mano libera davanti a se, creando così un vortice d'aria dal quale iniziarono ad uscire ringhi e ululati che non promettevano niente di buono. Sette possenti cani con tre file di denti neri e gli occhi incavati si scagliarono sul letto distruggendo tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Dalla culla sgorgavano copiosi pianti ed urla, la regina gridava e si dimenava, invocava il nome del marito implorandolo di salvare il bambino. Lui la chiamava tra le lacrime mentre le catene gli laceravano le vesti. Quando le creature ebbero consumato il loro pasto Alexander uscì dalla porta trascinandosi dietro il Re che stava affogando in un mare di singhiozzi e lamenti. Non appena furono nello spazioso corridoio gli si parò davanti una scena terribile: copri mutilati, appesi, distrutti e fatti a pezzi erano sparsi ovunque. Tutti i cortigiani erano stati massacrati, proprio come aveva detto il ragazzo. Continuò a trascinare con se il Re che continuava a guardarsi intorno disperato fino a che non furono all'esterno. La tempesta infuriava sopra il piccolo villaggio e una fitta pioggia inzuppava gli abiti dei due uomini in piedi sulle mura.
<<Eccoci qua>> iniziò Alexander puntando il suo sguardo malvagio sul sovrano oramai distrutto, <<le tue pene stanno per finire e così la mia vendetta>>.
Allora il ragazzo puntò una mano verso il cielo ed assunse il comando di una saetta per poi guidarla fino al tetto di una casa. Le urla iniziarono ad impregnare l'aria mentre un'infinità di fulmini si scagliavano sul villaggio.
<<Ed ecco, come ti avevo anticipato, la completa distruzione della tua famiglia e del tuo popolo... Manchi solo tu>> disse avvicinandosi per poi sferrare un potente calcio nel addome dell'uomo inginocchiato davanti a lui.
<<Ti prego>> cominciò a dire quest'ultimo <<risparmiami, perdonami. Ti supplico, abbi pietà>>,
<<Pietà..> disse Alexander con un inquietante sorriso sulle labbra guardandolo dritto negli occhi prima di affondare la sua lunga spada nel petto del rivale. Quest'ultimo non fece in tempo ad accorgersi del colpo che fu spinto giù dalle mura dal ragazzo che rimase lì immobile a guardare il corpo del vecchio sovrano che si schiantava a terra.
Aveva ottenuto la sua vendetta: il nemico era morto.

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