capitolo 2

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Trevic non aveva torto riguardo al comportamento di Vladimir: infatti, nella piazza principale della città, un gruppo di banditi aveva terrorizzato gli abitanti rovesciando le bancarelle dei vari negozi, neutralizzando i cosacchi presenti e saccheggiando le loro armi e denaro e vibrando le spade nell'aria come dei pazzi. Vladimir, che stava effettuando il suo turno di ispezione, non appena scorse delle spade agitarsi nel vento, intervenne subito. Uno dei banditi però aveva intravisto un uomo che correva verso di loro armato e avvisò i suoi compagni, per tendergli un agguato. Appena Vladimir arrivò al centro della piazza, i banditi si scagliarono contro di lui. Uno cercava di placcargli le gambe, un altro di dargli un pugno in faccia, un altro ancora di infilzargli l'addome con un coltello, un altro ancora di colpirlo con una freccia al torace e un ultimo che tentava di immobilizzarlo alle braccia. Sotto gli occhi sbalorditi di tutti, il giovane soldato non si fece intimorire minimamente: schivò tutte le frecce, prese per le gambe quello che gli voleva bloccare le braccia, gli assestò una ginocchiata nello stomaco, lo sollevò e, facendolo roteare, lo usò come bastone contro tutti gli altri. Il bandito, sbatteva ogni volta la testa contro i suoi complici e si ruppe il naso. Con il viso sanguinante continuava a colpire i suoi compagni, chi alle gambe, chi alla testa, chi alla vita finché l'osso del collo si fratturò e il morto si lasciò cadere al suolo. Il soldato, prese per i capelli un bandito e gli colpì il mento, ad un altro gli colpì l'inguine con un calcio; poi legò mani e piedi l'unico superstite rimasto e lo caricò sul suo cavallo. Prima di andarsene, Vladimir guardò la folla ancora sgomenta e disse - Perdonate questo inconveniente compagni, la sorveglianza sarà ulteriormente aumentata. - Poi salì a cavallo e tornò a palazzo.

Verso sera, il giovane arriva a palazzo e appena lo zar lo vede ci rimane di stucco: Vladimir, il soldato per eccellenza, la spietata macchina da guerra, l'orgoglio della Russia e suo figlio, ora è leggermente graffiato in viso e con qualche strappo sulla cotta di maglia.
Lo zar gli corse incontro abbracciandolo - Figlio mio, dove sei stato? Ero tanto in pensiero per te! E cos'hai fatto al viso? E chi è colui che porti con te? -
Vladimir sorrise. - Non agitarti padre, una cosa alla volta. L'uomo che ho portato è un criminale che ho catturato alla piazza principale, lui e i suoi complici avevano generato il panico tra gli abitanti... Erano persino riusciti a sbarazzarsi dei cosacchi già presenti. Quando ho visto delle spade agitarsi nell'aria sono subito intervenuto e ho conciato per le feste tutti i banditi, ad eccezione di questo. Voglio capire se ha a che fare con la banda di Atrenzjievic. -
Lo zar gli baciò la fronte - Sei un uomo molto saggio Vladimir, anche se non sei mio figlio diretto, in te c'è tutto quello che un re possa desiderare. Un giorno la Russia sarà bella e prospera quando governerai tu. Ma ora, pensiamo a questo sciagurato, non deve sfuggirci una virgola di quello che dice. Anche con la tortura se necessario. -
A queste parole Vladimir inorridisce. Tortura. La odia come odia la criminalità, non la sopporta, non trova cosa più indignosa di quella. Ma sa che a volte è uno dei mezzi se non l'unico per riportare un uomo alla ragione e al solo desiderio di salvarsi la pelle. Scaccia un lieve mal di testa e va a rinfrescarsi.

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