Vecchie abitudini

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Nel momento in cui Kira esce dal cottage, crollo sul mio letto. La testa è così pesante di pensieri che il mondo sembra rimbombare, girare ad una velocità a cui non riesco a stare al passo.
In quel momento decido che la donna che è appena uscita da quella porta, è anche uscita per sempre dalla mia vita. Niente più domande senza risposta, niente più parole o pensieri per lei. Non è mai stata niente per me, e nemmeno ora significherà qualcosa.
Non piangerò, non merita neppure questo.
All'improvviso sento bussare alla porta sottile, che rischia di cedere sotto la forza dei colpi.
Sapendo già di chi si tratta, vado ad aprire velocemente.
"Sono le 4:30 adesso. Ancora mezz'ora e farà buio. La luce ci farà comodo quindi sbrigati a prepararti" ordina Dean, sbrigativo.
"Aspetta, dove andiamo?"
"A caccia" esclama lui, caricando proprio in quel momento il suo fucile a canna mozza. "Spariamo in testa ad un po' di quei figli di puttana."

Appena salgo sulla vecchia Impala del '67, la sensazione che provo è indescrivibile. Sa di papà, di caccia, di polvere da sparo, ma soprattutto sa di casa.
"Oh baby, mi sei mancata tantissimo" le parlo accarezzandole il cruscotto. Dean ride, accelerando sull'asfalto delle strade malmesse di Lawrence.
Mi mancava tutto questo. Mi mancava e neppure lo sapevo. Guardo fuori dal finestrino la sceneggiatura del mondo irreale in cui stiamo vivendo, e mi piace.
Pioviggina, e nell'abitacolo non si sente nient'altro che il rumore sordo del motore, quello delle ruote che corrono sull'asfalto bagnato e dei tergicristalli che si lamentano sul parabrezza.
So che Dean non inizierà mai una conversazione, è troppo scosso dalle parole di mia madre. Ma soprattutto perché non è il tipo da parlare di argomenti profondi e toccanti, aborrisce ogni forma di sentimentalismo. "Niente smancerie" ripete sempre.
Kira ha ragione su di me, so praticamente tutto della sua storia prima che io nascessi. Dio solo sa quanto mio padre abbia sofferto in vita sua: ha perso tutti quelli che gli volevano bene, ma si fa prima a dire che ha perso semplicemente tutti quelli che stessero intorno a lui.
So anche della mia sorellastr, se così si può definire, di cui parlava prima mia madre: Emma. Scommetto che in questo momento sta pensando proprio a lei.
"Ci fermiamo qui. La strada è troppo malridotta per poter continuare. Proseguiremo a piedi, non sarà difficile trovarli."
Annuisco, mentre lui parcheggia e poi spegne il motore. Si volta verso di me e mi sorride. "Sei pronta, Sam?"
"Sono pronta." confermo, ricambiando il sorriso.

Scendiamo dall'auto e prendiamo il necessario dal baule dell'Impala. Poi, una volta armati, ci avventuriamo nel cuore della città.
È sceso il buio, ma per adesso sfruttiamo solo la luce della luna piena che sovrasta il cielo. Il panorama è terrificante, ciò che restava del centro abitato è completamente devastato: le case hanno porte e finestre distrutte, gli steccati e i cancelli sono stati divelti dal terreno, la strada è colma di detriti e i pochi lampioni rimasti in piedi sono spenti per via dei tagli alla corrente.
Il silenzio è micidiale. Non si sentono altro che i lievissimi passi di me e di mio padre, oltre che ai nostri respiri controllati.
Avanziamo nel buio, lentamente, con le orecchie pronte a captare un qualsiasi impercettibile rumore e le armi ben spianate.
Camminiamo, passo dopo passo, verso un vecchio appartamento che sembra, se possibile, anche più devastato degli altri.
Senza emettere un fiato, faccio un cenno con la testa all'edificio, come per chiedere: 'Credi che se ne possano essere radunati qui?' Lui sembra ragionarci un po' poi annuisce e, lentamente, entriamo nella porta che potrebbe portarci alla morte.

Non siamo stupidi, sappiamo quanto questi bastardi possano essere dannatamente forti, quanto possano essere numerosi, forse troppi persino per gli ultimi Winchester rimasti al mondo. Ma a volte cacciare è un istinto così forte, un bisogno così disperato, da essere impossibile da ignorare. E poi il rischio fa parte del nostro mestiere.
Non sappiamo ancora perché, ma gli zombie tendono a raggrupparsi in comunità appena ne hanno la possibilità. Forse è un istinto animale, un istinto alla sopravvivenza, sapendo che in gruppo hanno maggiori possibilità. Ma la mia teoria è che forse dentro di loro è rimasto ancora qualcosa di umano, che li spinge a non voler stare da soli, a desiderare compagnia. Uno degli istinti più antichi del mondo: il voler far parte di una famiglia. Su questo, li capisco.
All'entrata della casa ci sono già un paio di gradini che portano al primo piano. Li saliamo, silenziosamente, cercando di evitare tutti gli oggetti scaraventati a terra. Vedo paralumi, un tavolino in legno spaccato in due, molti libri lacerati su ogni lato e poltrone artigliate da tutte le parti. La puzza è indescrivibile: sembra un misto tra alito fetido, pus e fogna.
Sempre con il fucile spianato, mi copro il naso con una manica e controllo il primo piano insieme a mio padre. Guardo Dean e gli faccio cenno di no con la testa, qui non c'è nessuno, bisogna passare al piano superiore. Lui annuisce, e ci avviciniamo alle scale.
In quel momento, il mio piede va a calpestare e rompere una lampadina di vetro, invisibile fino a quel momento. Un rumore così rapido, così impercettibile, ma non per le loro orecchie. In quell'istante, un lamento basso e profondo si libera nell'aria, seguito da almeno altri tre.
Sussulto, guardando mio padre, nel panico. Lui mi rivolge uno sguardo rassicurante, poi porta un dito alla bocca e retrocede. Seguo il suo esempio e ci sistemiamo dietro ad uno dei divani distrutti dell'appartamento.
Al piano superiore, li sentiamo muoversi, velocemente, scontrando qualsiasi cosa incontrino nel loro cammino e comunicando con versi e sbuffi.
Ci nascondiamo, sistemando le canne dei fucili tra i cuscini. Li aspettiamo, mentre il mio respiro si fa un po' più affannoso e il cuore batte talmente forte che ho paura che persino Dean possa sentirlo.
Poi, all'improvviso, i rumori cessano. Cade un silenzio terrificante, che può significare solo una cosa: sono vicini, sulle scale, e stanno pianificando l'attacco.

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