Scappare diciamo che era stato più un atto di protesta verso le troppe attenzioni che l'essere femminile con cui vivevo, altrimenti chiamato mamma, mi continuava a dare da quando, un anno prima avevo cercato di buttarmi dalla sede della redazione del giornalino della scuola, anche li per protestare, più che altro per le colossali stronzate che quei miseri redattori pubblicavano al fine di rovinare le già schifose vite dei protagonisti dei loro scandali inventati di sana pianta.
Era stato il gesto più coraggioso che avessi mai fatto in vita mia, visto che comunque sono una persona fin troppo anonima, in una scuola apparentemente anonima ma che in realtà ha il vanto di essere una delle poche con una sede unicamente dedicata ad un giornalino scolastico, anche se chiamarlo così è un'esagerazione.
Dal cornicione del palazzo si vedevano la strada e le macchine dei professori e non sarebbe stato molto bello frantumarsi le ossa cadendo, e quindi distruggendo, il parabrezza di una di loro, ma dettagli.
Ero con un piede penzolante nel vuoto e stavo concludendo il mio discorso funebre, anche se nessuno mi stava ascoltando in quel momento, quando sentii delle mani stringermi le spalle e tirarmi indietro, facendomi cadere dalla finestra dentro una delle sale della sede.
Mi rialzai subito e vidi il poliziotto che mi aveva "salvato" accertarsi delle mie condizioni, rivolgendomi un mucchio domande:
"Tutto apposto? Stai bene? Niente di rotto?".
E poi subito vidi arrivare correndo mia madre che mi assalì, letteralmente, e mi abbracciò, stringendomi fortissimo.
Poi bruscamente si sciolse e cominciò a strillare: "Ma che cavolo ti è saltato in mente?! Perche cavolo volevi buttarti dal palazzo?! Sai che saresti morta?! Mi hai fatto morire di paura! Tu non uscirai mai più di casa!" e cose del genere, insomma, passata da un abbraccio pieno di amore materno durato pochi secondi a lamentele piene di paura e preoccupazione che durarono anche durante il tragitto in macchina e per tutta la durata della cena, fino a quando mi chiusi nella mia stanza.
Per fortuna essere anonimi è un grande vantaggio perché, a parte la polizia, nessuno venne a sapere del mio gesto, quindi niente giornali, TV o radio che riportarono in prima pagina l'accaduto.
Meglio anche per mia madre, perché già stressata com'è, avere dei giornalisti in giro per casa l'avrebbe fatta definitivamente scoppiare.
Insomma, dopo quella tragica mattina, la mia esistenza da tranquilla e priva di pressioni di alcun tipo, venne stravolta completamente.
Mamma cominciò a bere litri e litri di tisane alla valeriana e mi tenne segregata, letteralmente, in casa per un intero week-end, sporgendosi alla porta della mia camera ogni due minuti per accertarsi che in quel poco tempo non fossi morta con una matita in gola e ogni volta che metteva il naso in camera mia mi rivolgeva una domanda diversa: "Come stai adesso? Vuoi una tisana? Per cena cosa preferisci? Fammi sentire se hai la fronte calda".
Così per due interi giorni.
Mi chiedo come cavolo sono riuscita a resistere per 48 lunghissime ore con quella nevrotica di mia madre in giro per casa e sempre sulla soglia della mia porta.
La risposta mi venne data dopo quell'interminabile week-end, quando conobbi per la prima volta quello che è ancora il mio mentore e l'unico con cui riesco a sostenere una conversazione degna di nota: Dante.
Il suo nome mi ricorda le verdi campagne toscane e i casali dai mattoni rossi che campeggiano sopra le colline.
Non mi ha mai rivelato l'origine del suo nome, forse perché da quando ho incominciato a frequentare il suo studio due volte a settimana, si è sempre e solo concentrato sul mio problema che più che semplice menefreghismo verso le pressioni di mia madre sembra lo stadio iniziale di una patologia chiamata MDD.
In pratica sono agli albori di una depressione.
Non male come presentazione, no?
Comunque Dante, mio psicologo e mentore, è una delle persone più colte che io conosca.
È un uomo sulla cinquantina circa, molto alto e con un portamento veramente di classe, capisce al volo di quali disturbi soffrano le persone che si presentano da lui ed è veramente un esperto nel settore della cura dei disturbi depressivi.
Tutti tranne il mio.
Dante mi definisce la sua "gatta da pelare" perché non è ancora riuscito a capire cosa effettivamente ci sia nel mio cervello che blocchi completamente le mie emozioni e non le lasci trasparire.
Sembra uno stadio iniziale di MDD, perché i sintomi ci sono, ma MDD non è.
Io lo chiamo "spina nel fianco".
La parte più bella del primo incontro con lui è stata di sicuro quando alla fine di un questionario di 150 domande, mi ha guardato per due minuti interi negli occhi.
Mi hanno completamente scavato, sezionato e ricomposto, come due piccoli scienziati e tutto solo per capire che cosa cavolo viaggia dentro di me e non mi fa provare assolutamente nulla.
Poi dopo quegli interminabili minuti, si è sistemato gli occhiali, ha stracciato il questionario e con un bagliore di convinzione negli occhi mi ha detto: "Non so che cavolo ti giri per la testa, ma lo scopriremo presto Celeste".
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Forte Come Un Uragano, Leggera Come Una Piuma
RandomCosa potrebbe succedere ad una piccola eremita isolata dal mondo, con solo il desiderio di solitudine come appiglio? Ecco la mia storia ed ecco come la mia vita è cambiata grazie ad un magico scatolone, un piccolo essere peloso, una macchina ferma t...