Sono una canzone di Laura Pausini

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Il fatto che in casa mia la musica sia l'unica e sola padrona della vita mia, di mia madre e di mio padre prima che partisse con il suo gruppo di lavoro per la Siberia, è un dato di fatto e nessuno osa mai discutere sui diversi gusti degli altri.

Ai miei piacciono le canzoni italiane, dai classici intramontabili a quelle più o meno moderne, massimo massimo degli anni '99-2000.

Ma la cantante che li fece conoscere e innamorare fu proprio Laura Pausini.

I miei si conobbero ad un suo concerto dove, guarda caso, fui concepita dentro una meravigliosa Renault dell'86, che mio padre possiede e venera ancora come un gioiello.

Ma macchine a parte, quando mia madre si accorse di portare dentro di se una piccola vita, rimase decisamente sconvolta visto che all'epoca aveva 23 anni ed era appena stata assunta come speaker radiofonica in una nota stazione italiana.

Dopo la scoperta, vari piatti vennero lanciati, ma dopo parecchi incontri fra le famiglie dei due innamorati, si arrivò al fatidico giorno del matrimonio e poche ore dopo la fine dei festeggiamenti nacqui io, all'alba di una calda giornata di settembre.

Il mio nome fu deciso all'unanimità da tutti i parenti presenti alla nascita e nessuno dei genitori ebbe ripensamenti.

Venni chiamata Celeste, come la canzone di Laura Pausini che mio padre cantava ogni sera accarezzando il pancione di madre.

Oltre che con quella canzone, crebbi con praticamente tutte le compilation di classici italiani e con tutti gli album della Pausini che i miei tengono ancora in una gigantesca cassettiera di legno.

Ma il mio genere preferito lo scoprii a 12 anni, quando dopo la scuola presi una scorciatoia per arrivare più in fretta a casa e scoprii quello che è tuttora il mio VERO posto preferito: il negozio di dischi.

Dentro quei 50 metri quadrati sono contenuti tutti i dischi possibili e immaginabili della musica internazionale, tutti i generi, dal jazz al soul, passando per il rock classico e l'indie.

Il posto si trova in un vicoletto posto esattamente tra i due posti in cui passo la maggior parte del mio tempo: casa e scuola.

A prima vista non si presenta granché bene, ha il muro esterno coperto di graffiti e la porta ha la maniglia mezza sfasciata per il menefreghismo TOTALE del proprietario (soprannominato dal "cliente", alias me) Big Johnny perché quando sono entrata per la prima volta nel negozio aveva messo su l'album di Johnny Cash, "Rainbow". Però il locale in se è uno spettacolo per chi, come me, definisce il disordine un'arte.

L'odore di vinili usati e riusati, nuovi e vecchi è la prima cosa che si nota del posto; se poi si alza lo sguardo si può ammirare 70 anni di musica esclusivamente straniera ammassata nelle numerose mensole, alcune appese ai muri, altre che penzolano dal soffitto, come altalene.

La carta da parati non la si riesce neanche a scorgere da quanto il negozio è pieno di roba e la "cassa" è composta da un tavolino e da una sedia da campeggio, dove lavora Big Johnny.

Però una cosa che nessuno nota è sicuramente il gigantesco cestino dietro la sezione "Blues-Rock anni 50".

Soprannominato sempre da me e in seguito da Big Johnny "Il Buco Nero", è un grandissimo scatolone di ferro da cui ogni giorno si può tirare fuori un vinile diverso.

Ed è esattamente quello che ho fatto a 12 anni, quando mi sono avvicinata a quell'immensa scatola e senza timore ho buttato la mano dentro, tirando fuori "Appetite For Destruction" dei "Guns N' Roses".

Johnny me lo diede senza neanche chiedermi soldi, disse solo "Ottima scelta" e tirò su il pollice in segno di approvazione.

Non sembrava affatto sorpreso di vedere una dodicenne innocente senza alcuna cultura musicale entrare in un negozio fuori dal mondo e uscirsene con un disco di una delle band rock più irriverenti di tutti i tempi.

Nascosi il piccolo trofeo con maestria nello zaino e appena arrivata a casa lo misi su.

E con quello mi si aprì il mondo della musica straniera.

Mi sembrava quasi un'eresia ascoltare della musica rock e per di più non italiana in casa mia, dove i sovrani indiscussi erano i grandi artisti del bel paese che occupavano il primo posto nel giradischi.

Poi con l'arrivo del Natale e con l'accumulo dei miei vinili, scoperti durante una battuta di pulizie a sorpresa di mia madre, mio padre si decise a regalarmi un convertitore per trasformare i miei piccolini in dei file mp3 che potevo mettere dentro il telefono.

E così cominciai a passare le mie giornate: scuola, negozio, casa, pranzo, studio, negozio, casa, letto.

Gli amici in quel momento particolare della mia vita contavano ben poco, avevo la musica e quella mi bastava.

Non ero neanche mai stata una persona sociale e a scuola avevo la mia piccolissima cerchia di amiche, Zoe e Miriam, con cui posso ancora oggi parlare di musica senza sembrare una poco sana di mente.

Anche a loro piace il rock anni 80-90 e i suoi sottogeneri e diciamo che è per questa loro passione che mi sono avvicinata a loro.

Quanto a ragazzi, dal giorno del mio 15° compleanno ero ancora ufficialmente single e speravo di poter rimanere così per il resto dei miei giorni.

Stavo bene, ero felice, avevo dei buoni voti e una famiglia serena.

Poi qualcosa cambiò.

All'inizio fu una piccola palla di pelo.

Poi accadde come il click di una Polaroid, istantaneo.




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