Una lapide in marmo bianco e una grande eredità

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Non era mai stata una persona amante dei fronzoli e adorava il disordine più totale.

Sapeva mangiare il sushi e il messicano senza distinguerli e sapeva cosa bloccava sempre la puntina del giradischi.

Non gli davi neanche una lira, per come si vestiva, parlava e viveva eppure era una delle persone più ricche di questo mondo.

E poi era un jukebox vivente, qualsiasi cosa gli mettevi su la riconosceva al volo e ci azzeccava sempre.

Era il mio dio, il mio migliore amico anche se non ci avevo mai parlato veramente, e forse l'unico che in questa gabbia di matti sapeva sempre come rendermi felice.

La prima volta che parlai di lui all'imperfetto fu quando al funerale fui l'unica ad alzarmi in piedi e fare un discorso.

Parlai di lui e a lui per la prima volta con il cuore, rivelandogli la mia ammirazione per tutte le cose che mi aveva insegnato e per essere entrato a far parte della mia vita.

Mia madre aveva gli occhi lucidi e teneva mio padre per mano, come a dirgli di non andarsene mai dalla sua di vita.

Alla fine della cerimonia, uscì una cinquantina di persone sul sagrato della chiesa, e le guardai una per una, in attesa di trovare qualcosa nei loro volti.

Ma non c'era niente di speciale.

C'era tristezza, ma una tristezza di quelle leggere, come la brezza primaverile.

La tomba nel cimitero era posta sull'erba ed era in marmo bianco, candido come la neve.

"Il successo è doversi preoccupare di ogni maledetta cosa al mondo, tranne che del denaro. Addio nostro Johnny Cash." c'era scritto.

E un po' più in alto c'erano incisi il nome e cognome: Alvaro Chiarellini 1950-2015.

Dopo aver ricevuto vari complimenti per il discorso da parte di alcuni familiari, mi avvicinai alla lapide.

La guardai, era lucida e emanava quel calore di casa che solo il suo negozio mi sapeva dare.

Appoggiai l'orecchio, come se da sottoterra venisse ancora fuori qualche assolo di chitarra elettrica tipica del suo repertorio, e la sentii, chiara, viva, come se non fosse ancora morta e non lo avrebbe mai fatto.

"Ciao Johnny, non smettere mai di suonare" sussurrai alla piccola foto che lo ritraeva felice con una maglia di Bob Dylan addosso e un boccale di birra alzato nella mano sinistra.

Tornai poi dai miei, che stavano parlando con una delle sorelle di Johnny, la quale quando mi vide venne subito verso di me e mi porse una borsa.

Era piccola e in pelle blu, la aprii e all'interno trovai un bigliettino.

"Gli angeli hanno mille forme e mille colori. Da te non voglio essere ricordato così, ma per me tu sei stata il mio piccolo angelo. Spero che la musica sia solo uno dei mille punti che ci congiungono e voglio riuscire a crearne altri. Questo è intanto un piccolo stimolo, ma non è ancora finita. Con immensa gratitudine, tuo Johnny."

Dentro la borsa blu trovai il mio nuovo punto in comune con Johnny.

Era marrone e bianca e non me ne sarei mai più staccata: la mia prima Polaroid.

La fissai, senza sapere cosa dire, ma mi convinsi che in fondo io e Johnny ci eravamo già detti tutto e non serviva più parlare.

Ringraziai la sorella che mi disse: "La prima cosa a cui ha pensato dopo il cancro è stata questa macchina fotografica. Insieme al giradischi sono state le ultime cose che ha voluto dare via, ma non ha avuto il minimo dubbio quando gli abbiamo chiesto a chi volesse darle."

Non potevo essere più felice.

"Vieni che ti do il giradischi, ce l'ho in macchina."

Guardai prima i miei, non erano sorpresi o altro, erano solo contenti come non li avevo mai visti.

Poi seguii la sorella che mi portò alla sua macchina e quando aprii il bagagliaio venni travolta da un qualcosa di pesante ma morbido, che quando atterrai a terra cominciò a leccarmi tutta la faccia.

"Oh cavoli" disse la sorella "doveva essere una sorpresa ma Ambra non sa stare ferma."

Quindi prese il cane e con un gesto della mano lo mise seduto vicino a lei.

Mi aiutò a rialzarmi e allora la guardai, senza riuscire a capire cosa significasse il cane.

"Ambra è il suo cane, e sia con lei che con te aveva stabilito uno dei legami più profondi che si possono trovare tra due esseri. Ha deciso di farvi incontrare e vorrebbe che fosse tuo."

Una lacrima mi rigò il viso.

Poi seguirono un'altra e un'altra ancora, e cominciai a singhiozzare fortissimo.

Mi chinai e quando Ambra venne verso di me, la abbracciai e la strinsi piangendo ancora più forte.

Li forse mi sfogai per la prima volta in quella terribile giornata, pensando a Johnny mentre abbracciavo quel cane.

Ambra aveva esattamente la sua stessa energia.

Incrociando i suoi grandi occhi marroni, vedevo dentro di essi Johnny che metteva su un disco, o intonava un motivetto o semplicemente mi guardava con quello sguardo che mi abbracciava e mi rendeva serena.

Ambra sarebbe stata la continuazione della vita di Johnny e io avrei solo voluto che stesse con me.

Mi sciolsi dall'abbraccio con Ambra e le sorrisi accarezzandola.

La sorella mi sorrise e mi porse il guinzaglio.

Portai quindi il cane dai miei che lo guardarono esterrefatti.

"Non so se lo possiamo accettare. E' un impegno veramente grande e non so se abbiamo tempo e..." iniziò mia madre, ma mio padre la interruppe con una sguardo.

"Guarda meglio, non vedi quel bagliore negli occhi di Celeste? Come se in quel cane vedesse qualcosa, o meglio, qualcuno di speciale per lei."

I miei si allontanarono per dei minuti interminabili a discutere della faccenda e quando tornarono avevano due volti opposti: mio papà raggiante e mia mamma contrariato.

"Sai che è un grande impegno?" mi chiese mia madre.

"Certo"

"E che dovrai occupartene principalmente tu"

"So anche questo"

"E sai che noi vogliamo solo il tuo bene"

"Mamma"

"E va bene. Per noi va bene. Se quel cane riuscirà a tenerti il sorriso sulle labbra non se ne andrà da casa nostra."

E fu gioia allo stato puro.

Abbracciai prima i miei, poi la sorella di Johnny e poi Ambra, guardandola scodinzolare felice.

Poi mentre tutti si avviarono verso casa, io tornai con Ambra verso la tomba di Johnny e con ancora una lacrima nell'angolo dell'occhio gli sorrisi dolcemente.

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