Sulle scale trovai Marco. Mi sedetti accanto a lui, che sobbalzò per la sorpresa.
-Ehi- mi salutò.
-Ciao. Come mai non dormi?
- Questo posto ha qualcosa di strano. Non me la sento di dormire qui. Tu, invece?
- Lo stesso. Mi sento osservata.
Silenzio.
-L'autocontrollo sulla mia parte iperattiva sta andando a farsi benedire- annunciai dopo un po'. -Andiamo a fare un giro?
-Andata- rispose lui porgendomi la mano.
Fuori si stava bene, una leggera brezza estiva muoveva le foglie e centinaia di uccellini canticchiavano sui rami degli alberi. Girovagammo per qualche minuto senza meta, mano nella mano, mentre la Città-senza-un-nome si svegliava. Chiedemmo a un passante, in inglese, dove fosse un bar, in cui ordinammo due cappuccini e brioche.
-Tu e Andrea non andate d'accordo- affermai, visto che lui sembrava non trovare un argomento di cui parlare. Strano, io avrei voluto fargli almeno un centinaio di domande. -Vero?
-Diciamo che... non è il mio migliore amico- mi spiegò evasivo.
-Come mai?- insistetti.
-È un po' un buono a nulla, è un figlio di Hermes, il dio dei ladri e dei viandanti. In più, non riesce mai ad affrontare dei discorsi seri. Piuttosto rimane zitto.
-Ma senza di lui non saremmo riusciti a rubare quell'auto e adesso non saremmo qui.
-Avremmo trovato un altro modo.
-C'è qualcos'altro sotto. Non possono essere solo queste le motivazioni.
-Non ho altro da dirti.
Avrei voluto insistere, ma non lo feci.
-Parlami di te- gli chiesi, invece. -Se hai voglia, ovviamente.
-Non saprei da dove cominciare- mi rispose imbarazzato. -Non c'è niente da raccontare, solo la classica storia di un semidio che non sapeva di esserlo.
-Non voglio sapere questo. Com'era la tua vita prima del Campo Mezzosangue?
-Ah. Dunque, vengo da Milano, e quando sono nato mia madre mi ha abbandonato all'ospedale. Quando l'ho incontrata per la prima volta a dodici anni, mi disse che non voleva più avere niente a che fare con me e con mio padre. Non mi spiegò nemmeno chi fosse, mio padre. Rimasi con la mia famiglia adottiva fino ai tredici anni, quando un satiro venne a prendermi.
Odio dire "mi dispiace" per le disgrazie altrui. Così gli feci un'altra domanda.
-Sei sempre rimasto con la stessa famiglia?
-Sì, avevamo un bellissimo rapporto, e avevo una sorellina, era fantastico vivere con loro. Ci sono tornato durante l'anno scolastico successivo al Campo, ma poi...- si rabbuiò e aspettai che continuasse. -Poi mia sorella è sparita. Rapita o uccisa, non si sa, nessuno lo ha mai scoperto. Adesso raccontami di te però.
-Caspita. Io ho avuto cinque famiglie tra adottive e affidatarie. L'ultima però mi piaceva. Nella prima avevo anche io un fratello, più grande di due anni. Ci odiavamo a morte. Si chiamava (o meglio, si chiama) Medeni, in serbo significa "mondo". E infatti era sempre al centro dell'universo dei miei, sempre lui la vittima, sempre io la colpevole.
Finimmo in silenzio la colazione, e poco dopo una cameriera ci portò il conto. Mi sembrò quasi di vederle i canini sporgenti brillare mentre sorrideva. Marco prese lo scontrino e fece un salto.
-Che succede? È caro?
-No, no. Non ti preoccupare. Pago io.
Si infilò frettolosamente lo scontrino in tasca e mi sorrise nervosamente.
-Torniamo all'albergo, dai- mi spronò lui.
Qualcosa non tornava.
-Marco... cosa c'è che non va?
-Niente, davvero- mi assicurò quando fummo in piedi. Mi prese per mano descrivendovi piccoli cerchi con il pollice per tranquillizzarmi, immagino. -Che ne dici di fare una passeggiata?
Io annuii... e lui mi lasciò un bacio sulla guancia. Arrossii, ma non fiatai, anche se avrei voluto.
Trovammo un parco e lo girammo tutto due volte, prima di fermarci su un ponticello a guardare le tartarughe che si muovevano pigre nel laghetto sotto di noi.
E non me lo aspettavo proprio. Non mi sarei mai aspettata quel bacio. E invece si. E, cosa peggiore di tutte, non fui in grado di respingerlo. Non si cosa mi prese in quel momento, ma fui io ad approfondire il bacio.
Non avevo mai avuto molti ragazzi, nè, tantomeno, amici. Di conseguenza, il mio primo ed ultimo bacio lo avevo dato a quattordici anni, a un ragazzo famoso per essere un gran donnaiolo. Quando era stato il mio turno ad essere " corteggiata", se così si può dire, non me lo ero fatto ripetere due volte. Fu uno degli sbagli più grossi della mia vita, perchè quando il giorno dopo mi spiegò che non aveva nessuna intenzione di stare con me ci rimasi malissimo.
Adesso la situazione si era invertita, e non sapevo come gestirla. Non volevo ferire i sentimenti di Marco, così non risposi quando lui, dopo il bacio, mi avvisò di non dirlo a nessuno, per il momento. "Non dire cosa? Che secondo te stiamo insieme?" pensai.
Riuscimmo a tornare all'albergo senza perderci, e prima di lasciarmi tornare in camera, Marcomi baciò di nuovo, anche se questa volta fu un bacio molto più dolce.
Chiusi la porta della stanza dove Silvia dormiva come un sasso, e mi accasciai contro la porta, scivolando fino a sedermi sul freddo pavimento in mattonelle. "Dio che casino! Afrodite e i suoi giochetti, ma che vadano tutti al diavolo!". Perchè i suoi sentimenti verso di me non erano sicuramente corrisposti. Credo.
Provai di nuovo a dormire, ma la testa sembrava che non riuscisse a spegnersi, e i pensieri che cercavano di giustificare le mie azioni fin troppo inpulsive si rincorrevano tra di loro come se fossero sulle montagne russe a giocare a fulmine, manco si stessero allenando per battere Bolt in una gara di velocità. In più mi sembrava di aver dimenticato qualcosa di importante... che mi tornò in mente quasi due ore dopo.
Lo scontrino.
Molto silenziosamente mi alzai e uscii dalla mia stanza. Pregando di riuscirci, e soprattutto di non svegliare nessuno, presi una forcina e aprii la porta della camera da letto di Marco e Andrea. Fortunatamente tutto rimase immobile e silenzioso, quei due dormivano come orsi in letargo.
La stanza era in penombra, ma riuscivo benissimo a distinguere le sagome dei miei due compagni. Rimasi per parecchio tempo a fissare Andrea. E ci misi pochissimo a capire che era lui quello che mi piaceva. E ancora di meno a capire di essere in un casino enorme, senza contare che ero a capo di una missione di cui non si sapeva niente, diretta verso la Romania a cercare di recuperare una nave volante sparita da un anno... e non avevo ancora capito chi era il mio nemico. Dio, mi sarei presa a schiaffi da sola! Ero nel bel mezzo di un'impresa formata da un enorme pubto interrogativo e a cosa andavo a pensare? Ai ragazzi.
Poco dopo mi ricordai il motivo per cui ero lì, che di certo non era guardare Andrea che dormiva con la bava alla bocca.
Trovai i pantaloni che Marco stava indossando e cercai nelle tasche. Bingo. Trovai un foglietto accartocciato e lo spiegai. Uscii dalla stanza e, sulle scale, puntai la torcia per leggere cosa c'era scritto. Ma era un normalissimo scontrino di un bar. Poi lo girai, e rimasi con la bocca semi aperta mentre il battito del mio cuore accellerava vertiginosamente."La prossima volta mi prenderò la ragazzina, bambocci."
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo, finalmente! In realtà è tipo un mese che ce l'ho, ma non avevo voglia di copiarlo. Ho pronto anche il prossimo (più o meno) ma prossimamente sarò inpegnatissima...
Scusate gli errori ma ho aggiornato dal telefono
Lasciate qualche commento se vi va, che mi fa tanto piacere leggerli... e niente ricordatevi anche di far diventare gialla la stellina lì in fondo se questo capitolo vi è piaciuto, sinceramente per ora è il mio preferito:)
Basta, mi dileguo, byeee
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Incroci
FanfictionMartina è una ragazza come tante altr... No, riformulo. Martina è una ragazza problematica. È stata espulsa da tutte le scuole ed è stata adottata da cinque famiglie diverse. Ma lei si sente a suo agio solo quando legge. Da buona lettrice, capisce s...