In Our Bedroom After The War

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L'umidità mattutina filtrava attraverso i muri di legno della piccola casa di periferia, divenendo sempre più calda man mano che il sole saliva alto all'orizzonte, dando al cielo delle piccole sfumature arancioni e rosastre, che coloravano le soffici nuvole e i grandi palazzi della città. Nella piccola stanzetta il buio veniva illuminato dai piccoli raggi che passavano attraverso le fessure della persiana marroncina. Il silenzio empiva quel mondo che si stava appena destando dalla notte passata. Degli occhi marroni scrutavano il soffitto: le palpebre erano pesanti, ma non per il sonno, bensì per malinconia, come se quel luogo gli portasse tristezza nel cuore. Era irrequieto, spostava la testa, facendo strusciare i capelli sul cuscino e, di tanto in tanto, una piccola saetta gli illuminava gli occhi, come se i pensieri si manifestassero nella sua mente in velocità, scomparendo subito dopo comse non fossero mai esistiti. Le coperte lo soffocavano, lo opprimevano, lo intrappolavano, lasciando che la malinconia lo divorasse poco a poco. E poi quel sogno, che lo costringeva ad avere paura di se stesso, che gli faceva capire una cosa: oramai non era più la persona che tutti ricordavano col nome di Jack. Era più che diverso. Dava la colpa al demone che albergava nel suo corpo e prendeva il controllo nei suoi momenti di debolezza... Forse non era lui quello da incolpare, ma, se non Chernobog, chi allora? La testa gli pulsava; sapeva la risposta, ma era testardo, stupido, vanaglorioso, non voleva e non poteva ammetterlo, ma sapeva che, in fondo in fondo, la colpa era tutta sua, ed il cambiamente stava già avvenendo prima dell'avvenimento, che, malgrado tutto, fu l'altto decisivo che lo cambiò una volta per tutte. Un fruscio lo destò dai suoi pensieri. Guardò il letto accanto al suo: le coperte si muovevano, finalmente Anaiss si svegliava. La ragazza si girò verso di lui, sapendo che lo avrebbe trovato lì, e lo guardò con gli occhi semichiusi, mentre la bocca si apriva lentamente per sbadigliare. Sbadigliò anche Jack, poco dopo Anaiss. "Empatia" pensò, ed era così, dopotutto provava molta empatia verso la ragazza e aveva sempre cercato di aiutarla in tutto quello che faceva, anche nei momenti peggiori. A volte le dava anche dei soldi per aiutarla con delle micro spese di famiglia. Non avrebbe dovuto, dopotutto guadagnava i soldi per sé, ma non gli interessava, non voleva vedere la sua "sorellina" triste o distrutta per tutto ciò che faceva. Anaiss si tolse le coperte di sopra e scese dal letto dirigendosi verso Jack, con un sorriso malinconico in volto e le lacrime agli occhi. -Jack...- disse con una flebile voce, dolce che si mescolava coi singhiozzi del pianto di gioia della ragazza. -Sì, sono io, sorellina...-. Sorrise dolcemente e si alzò dal letto, per poi essere accolto con calore dall'abbraccio di Anaiss, che, poggiando il viso sulla sua felpa, gli bagnava il petto di lacrime di gioia, che hanno un effetto particolare sul cuore degli umani. -Quanto mi sei mancato, fratellone- lo stringeva ancora a sé, come se non volesse più farlo andare via, come se gli stesse ordinando di restare lì, con lei. -Troppo, troppo, sorellina- le accarezzava la testa dolcemente, mentre la vista gli si inumidiva a causa delle lacrime. -Ho un sacco di cose da raccontarti, e n... Non so da dove cominciare!-disse la ragazza piena di nuova vita, asciugandosi le lacrime e staccandosi dall'abbraccio. -Fai pure.- disse Jack, sorridendo e sedendosi sul letto e tirando la cordicella della persiana, aprendola, facendo piombare una luce potentissima nella stanza. -In un anno sono cambiate troppe cose, fratellone e non so veramente da dove iniziare...-. -Inizia da quando sono scomparso io...-disse Jack, titubante e imbarazzato alla richiesta appena fatta. Rossa in volto, sospirando di rammarico a causa del brutto ricordo, cominciò a parlare, mentre gli occhi le si umidificavano nel ricordare. Delle lacrime caddero sul tappeto: lente e calde. Un pianto silenzioso, senza né singhiozzi né lamenti di tristezza, solo lacrime cristalline dello stesso colore degli occhi della ragazza. Quelle gemme preziose, ora, erano circondate di rosso, contaminate dal ricordo di un intero anno di tristezza senza il suo fratellone a proteggerla da quello che le sarebbe successo. Ora, però, accompagnava le lacrime con un sorriso di sincera felicità nel guardare di nuovo il volto del ragazzo, che gli appariva del tutto diverso, ma comunque familiare, e, sicuramente, rassicurante. Più notti lo aveva sognato, più notti incubi sulla morte del ragazzo l'avevano tormentata fino all'insonnia. Il ragazzo ascoltava con mento nel palmo della mano e il gomito poggiato sul ginocchio, sconvolto e pieno di sensi di colpa, sentendo che la ragazza era stata più e più volte sul punto di non ritorno, se non fosse stato per un singolo pensiero: "Se Jack fosse qui mi ucciderebbe", e si metteva a ridere a quella frase, per poi cominciare a piangere di scatto a causa dei ricordi riportati ai augure. La ragazza finì il discorso con -... E dopo quella sera sai quello che è successo-. Jack continuava a riflettere su tutto quello che gli era successo in quell'anno, ma, per quanto si sforzasse, non ricordava niente. Anaiss lo guardò per un paio di secondi con gli occhi ancora lucidi per poi avvicinarsi e sedercisi accanto. -Anaiss...- disse Jack, per rompere il silenzio -... Ti sei quasi suicidata per me... Perché?-. Anaiss era diventata rossa e distolse subito lo sguardo, come se si vergognasse. -I.. io... ecco- Anaiss si mordeva il labbro mentre rifletteva su una scusa da dire, ma da ogni parola che diceva trapelava ogni sua emozione. -Anaiss... Non dirlo, ho capito- disse Jack guardando verso il muro con uno sguardo perso. -E.. E allora?-. Jack sospirò e stette in silenzio, lasciando la ragazza sovrappensiero e agitata. E così stettero per secondi che parevano secoli. Nessuno parlava, nessuno apriva bocca; nel silenzio si sentivano i battiti dei ragazzi che diventavano sempre più confusi mentre il tempo passava. Anaiss non voleva nemmeno guardare Jack per la vergogna, e Jack continuava a fissare il muro con lo sguardo assente. La ragazza provò ad avvicinarsi al ragazzo dandosi una leggera spinta, ma Jack... Jack si spostò in fretta, anche prima che le braccia dei due si toccassero. Anaiss abbassò lo sguardo, triste e imbarazzata. Il ragazzo rimase impassibile, quasi come l'apatia si potesse leggere sul suo viso. Il silenzio calò di nuovo nella stanza e solo i rumori della natura che si svegliava si sentivano all'esterno. Rimasero così, questa volta senza nessuno a rompere il silenzio.

-E.. E poi quella v.. Volta che ho ucciso una cerva c.. Con questa?- Toby mostrava l'accetta incrostata di sangue con fierezza e felicità. -Io ho ucciso un cervo con un pezzo di pietra, non ti credere tanto forte- disse Chris con un sorriso stampato in volto. Il nonno di Chris sbatté il pugno sul tavolo ridendo con forza. -Vi credete forti? Io ho battuto uno Gnu a mani nude buttandolo per terra per le corna-. Tutti lo guardarono e si misero a ridere in gruppo. Toby proruppe nella risata: -Seriamente, n.. Non ci crederei nemmeno s.. Se mi pagassero!-. Ridevano ancora, come in una vecchia riunione tra amici. Il nonno interrompeva la risata per tossire di tanto in tanto, per poi, però, ricominciare a ridere. Erano tutti e tre rossi in volto e con le lacrime agli occhi. Toby stava sentendo qualcosa che non sentiva da parecchio tempo: affetto e si sentiva bene così, tra le risate di una famiglia che, anche se non era la sua, lo faceva sentire parte di un tutto. Chris si alzò ridendo ancora e proruppe: -Signori, è stato un piacere parlare con voi, ma ora devo prendere andare a fare quello che so fare meglio.- prese degli scarponi verdi e aprì la porta. -Lavorare sotto il sole e il vento!- disse, per poi uscire e prendere le chiavi del trattore e dirigersi verso i campi di famiglia. Toby si alzò poco dopo per seguire Chris. -Dove vai ragazzo?- chiese il nonno di Anaiss e Chris. -Vado a dare una mano a suo nipote, ho voglia di aiutare- disse con un sorriso di sincera gentilezza in volto, per poi rincorrere il trattore in mezzo ai campi: una macchia rossa in mezzo al verde acceso delle varie piante presenti, una macchia di sangue sul verde della felpa di Toby, ecco cosa gli ricordava quella scena: il sangue fresco sulla sua felpa verde, sangue che lui non avrebbe mai voluto versare, ma la colpa non era sua, affatto, e lo sapeva, ma non riusciva a capacitarsi di avere ucciso quelle persone. Ancora una volta guardò il trattore, poi guardo il sole che sorgeva e disse: -Beh, q.. Questo sarà l'inizio della mia nuova vita!- e si diresse verso i campi lasciando per terra la sua sciarpa e gli occhiali da sole rotondi, che, oramai non gli erano più utili.

Hope rides alone ~Eyeless JackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora