Capitolo 8

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Quel giorno a scuola arrivammo in ritardo. Continuavo a pensare a quello che aveva detto Alex e anche io volevo avere una piccola isola. Prima di entrare in classe aggiunge che la piccola isola non doveva essere per forza un posto, ma anche una persona alla quale tenevi, una persona sulla quale potevi sempre contare e alla quale ti rivolgevi nel momento del bisogno. In quel precisione momento pensai 'è lui la mia piccola isola' e credo di esserne ancora convinta.
Fece come genn aveva fatto con lui: mi aveva convinta a tornare a casa, anche contro la mia volontà; e se avessi avuto bisogno potevo sempre bussare alla sua porta.
Quel pomeriggio tornai a casa molto più allegra del solito, ma la mia gioia svanì non appena Alex mi diede le spalle e si avviò verso casa chiudendosi la porta alle spalle e io feci lo stesso.
Sembrava fosse passato un uragano: c'erano fogli sparsi sul pavimento, tutti i portafoto coi vetri rotti e le immagini strappate a metà, i vestiti di mio padre tagliuzzati, strappati e poi bruciati nel piccolo camino in salotto.
Quando entrai in cucina trovai l'inferno: c'erano piatti e bicchieri in mille pezzi che scricchiolavano sotto le mie scarpe ad ogni passo e tutti i cassetti erano stati svuotati e riversati sul pavimento. Iniziai a salire le scale per andare nella mia camera quando sentii il lieve rumore dell'acqua che scorre. Mi precipitai in bagno e trovai un lago in formazione: quando aprii la porta l'acqua, che traboccava dalla vasca e dal lavandino, si riversò nel corridoio arrivandomi alle caviglie. Corsi a chiudere il più in fretta possibile i rubinetti e a svuotare i servizi, prima che si allagasse tutta la casa.
Mi sembrava di vivere un incubo il cui inizio era un sogno. Ma come poteva un sogno traformarsi in un incubo? Forse non troverò mai la risposta a questa domanda, ma l'unica ipotesi era 'queste cose succedono solo a te', e tutt'ora penso che la mia coscienza avesse ragione.
In quella casa calò il silenzio, ogni tanto sentivo il legno del parquet scricchiolare sotto le mie scarpe bagnate, poi a un certo punto sentii un rumore. Mi girai e trovai mia madre seduta in un angolo, a terra con il viso tra le ginocchia e le braccia che stringevano le sue gambe magrissime. Respirava affannosamente tra i singhiozzi e tremava probabilmente dal freddo...o dal dolore, dalla tristezza, da quel gelo che ti avvolge il cuore quando sei ferita e che ha bisogni di giorni,mesi o anni per sciogliersi.
<Mamma?!>la chiamai cercando un tono tra il sussurro e un grido. Alzò la testa e pensai 'cazzo'; aveva gli occhi rossi, infossati e contornati da profonde occhiaie nere, le labbra erano state morse a sangue,le sue guance erano segnate dalle lacrime e sembrava più vecchia , come erosa dal tempo. Il suo sguardo mi penetrò dentro, un po come quello di Gennaro quando lo guardai la prima volta negli occhi e in quel momento mi sentii in imbarazzo ma allo stesso tempo provavo una rabbia indescrivibile.
Lei mi gridò un 'vai via' ma io non avevo intenzione di andarmene da lì.
<hai intenzione di dirmi cosa è successo o vuoi ancora tenerti tutto dentro?!>mi lanciò uno sguardo fulminante poi si spostò e mi fece spazio accanto a lei. Mi raccontò ciò che papà le aveva fatto: era da anni che la tradiva con un altra donna e quando lei si era trasferita qui vicino colse anche lui la palla al balzo. Lei aveva dei sospetti ma a volte facciamo di tutto pur non vendere ciò che non vogliamo vedere. Dopo questa frase calò il silenzio, poi aggiunse<Alex è un bravo ragazzo>. A quel punto non sapevo che dire, così mi alzai sussurrando un 'devo andare' e uscii di casa. Mi diressi verso la casa di Alex, volevo abbracciarlo e chiedergli scusa, anche se non sapevo il perché, ma sentivo solo il bisogno di chiedere perdono a qualcuno poi mi fermai di scatto e iniziai a correre nella direzione opposta. Arrivai al limitare del bosco poi feci come alex: iniziai a camminare sempre più veloce finché non arrivai ai piedi della piccola isola e rilessi più volte il cartello LA ISOLA È PIENA DI SUONI DI RUMORI E DI DOLCI ARIE CHE DANNO GIOIA E NON FANNO MALE. Continuavo a ripetermi quella frase nella testa accompagnata dal suono di una chitarra e dalla voce di Gennaro. Mi sentivo bene in quel momento, poi realizzati. Chitarra? Voce di Gennaro? Credevo di essere pazza. Alzai la testa verso la piccola casetta da dove veniva la debole luce di una lanterna. Iniziai a salire la scala facendo in più piano possibile per non interromperlo e appena arrivai in cima vidi un ragazzo diverso da quello che avevo conosciuto. Aveva gli occhi chiusi, le guance bagnate e stringeva così forte la chitarra rischiando di romperla. Aveva iniziato a pizzicare le corde in modo aggressivo e appena aprì gli occhi la sua voce si strozzò. Incrociò il mio sguardo e in quel momento un fremito di paura mi attraversò la schiena. Il suo sguardo mi terrorizzata così tanto che non sapevo che dire ma allo stesso tempo non riuscivo a togliere i miei occhi dai suoi. Poi prese la chitarra e scappò via, così, come se non ci fosse mai stato. Aveva lasciato a terra un foglio di carta; c'erano scritte alcune parole come 'scappa ora che puoi' oppure 'le persone non cambiano ma rivelano la propria natura'. Mi chiesi come un sedicenne potesse scrivere delle così così... profonde?! O reali?! In un certo senso mi sentivo in colpa perché avevo conosciuto una parte di lui che non voleva vedessi e poi avevo letto qualcosa di suo, qualcosa che magari voleva solo tenere per sé.
<lo hai letto vero?> mi gira verso l'entrata della casetta col foglio tra le mani<Perché sei qui?> aveva lo stesso sguardo di mia madre e questo mi fece rabbrividire. Non risposi a nessuna domanda, anzi, non mi diede neanche il tempo di realizzare che fosse lì. Così mi strappò il foglio dalle mani regalandomi un 'ti odio' e poi andò via. Era veramente questo il Gennaro allegro, spensierato e sempre sorridente che avevo conosciuto e col quale avevo parlato solo poche ore prima?
Mi sorsero una serie di pensieri: e se è per colpa mia? Se si sente minacciato da me perché... Infatti perché? Per quale assurdo motivo doveva sentirsi minacciato da una stupida bambina che non sa neanche tenere insieme suo padre e sua madre, che scappa di casa quando la vita si complica invece di risollevare le sue sorti e quelle di sua madre. Mi sentivo dentro un mare in tempesta con lampi che si scagliavano sulle sue acque e tuoni che attutivano il rumore delle onde in frantumi tra gli scogli, e io ero il mare."

Stringeva le gambe al petto e poggiò il mento sulle ginocchia mentre una lacrima le scendeva sulla guancia sinistra fino ad arrivare al collo. Probabilmente era una di quelle lacrime che ,alla fine, portano via il dolore, o forse no. Forse era una lacrima come tutte le altre che porta con il ricordo ma il dolore resta sempre dentro.

"Sì stava facendo sempre più buio, ma non faceva freddo. Volevo correre da Alex, lui forse mi avrebbe capita ma non volevo raccontargli niente. In quel preciso momento desiderai essere Genn. Loro due si capivano al volo; bastava solo un'occhiata e sapevano già cos'era successo; conoscevano vita morte e miracolo l'uno dell'altro.
Quella sera rimasi a dormire lì, guardando le stelle tra gli alberi e ascoltando il cullare del vento. Alle prime luci dell'alba tornai a casa e, prima di aprire la porta, rimasi seduta sui freddi gradini del portico, umidi per la rugiada, a guardare la casa di fronte. Quel giorno non lo aspettai, andai a scuola da sola. Anche se avevo bisogno che qualcuno mi capisse non volevo raccontargli di Genn. Sapevo quando Alex teneva a lui ma cosa avrebbe fatto se gli avessi detto che la sera prima se l'era presa con me? Forse teneva più a lui e ci sarebbe passato sopra, o forse teneva ad endrambi allo stesso modo. Beh forse non lo saprò mai.

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Ciao bealle/i🙋
eccovi un capitolo più lungo del solito. 💙
Non so perché ma mi sentivo ispirata quindi eccolo qui. 💭
Spero che vi piaccia e che non ci siano errori 🙈
Al prossimo capitolo 👅

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