Capitolo 9

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"Quel giorno arrivai a scuola in anticipo. Mi sedetti sui muretti del cortile mentre guardavo le persone che mi passavano davanti: un ragazzo coi capelli biondi e le punte tinte di blu seguito da altri tre ragazzi un po più bassi di lui, una signora anziana che attraversava la strada e alcune macchine che sfrecciavano sull'asfalto.
Ad un certo punto tutto si fermò. Non c'era più nessuno, ero io da sola in un edificio deserto, finché non sentii un urlo. Mi avvicinai al luogo da dove veniva il suono e mi ritrovai nel parcheggio. Dietro i motorini c'erano dei ragazzi in cerchio che ridevano. Stavo per andarmene quando sentii un altro grido, questa volta seguito da un 'aiuto'. Mi girai verso quei ragazzi e guardai meglio. Erano il biondo e la sua banda, e terra c'era del sangue.
<Hey, ma che cazzo state facendo?>
dissi avvicinandomi. Loro si girarono di scatto verso di me ed avevano un sorriso compiaciuto stampato in faccia. Guardai il ragazzo steso a terra: era Gennaro.
Aveva il labbro spaccato e dal naso usciva una valanga si sangue che continuava a pulire con le mani. I suoi capelli erano bagnati dal liquido rosso che colava da un'apertura formatasi sulla sua fronte. Era uno spettacolo orribile. I suoi vestiti erano logori: tutti sporchi e strappati. Sotto i suoi occhi c'erano due enormi chiazze nere e non riusciva ad alzarsi. Guardai quei ragazzi ad uno ad uno e li maledissi dal profondo del mio cuore. Non potevo fare niente di così speciale per genn, loro erano il doppio di me e lui messi insieme. <non sono affari tuoi ragazzina> disse disse il biondo incamminandosi verso di me.< forse è meglio che vai via> aggiunse poi guardandomi negli occhi e toccandomi i capelli. Incrociai gli occhi di Gennaro: non c'era niente. Né paura né dolore né pietà. Niente. Completamente niente. Erano vuoti e mi sembrò quasi di poterci precipitare dentro. Ostinata sputai in faccia al biondo, lui mi guardò indignato e con una manata mi buttò a terra, accanto Gennaro.
Colpii la testa alla spigolo del gradino e appena toccai il punto dove avevo dolore mi ritrovai la mano rossa dal sangue.'Guai a voi e dite qualcosa di tutto questo alla polizia e potete consideratevi morti'. Queste furono le ultime parole del biondo prima che se ne andasse seguito dai suoi scagnozzi, e mentre la mia vista di annebbiava seguivo i loro passi e osservavo le mie mani insanguinate, finché non vidi più nulla."

Ci furono alcuni attimi di silenzio prima che riprendesse a raccontare. In quei pochi secondi si sfiorò il lato destro del cranio, vicino l'orecchio, e fece una smorfia di dolore. Poi mi guardò negli occhi e continuò a raccontare.

"Avevo completamente perso i senzi ed entrai un uno stato simile al coma. No riuscivo ad aprire gli occhi e neanche a muovermi, sentivo un forse bruciore alla testa e il BIP BIP delle macchine alle quali ero collegata. In quel momento pensai 'che bello, sto morendo, finalmente me ne andrò da questo mondo di merda' ma allo stesso tempo volevo combattere per vivere perché sapevo che c'erano persone che mi volevano bene e non potevo lasciarle così. Anche se ero completamente immobile riuscivo a sentire tutto quello che succedeva in quella stanza e ogni tanto, rispondendo ad un rumore improvviso, il mio corpo sussultava su quello scomodo lettino d'ospedale.
Iniziai a pensare come potevo essere finita lì: mi ricordai di Gennaro, del ragazzo biondo e poi delle mie mani piene di sangue che più le guardavo più si offuscavano fino a scomparire del tutto. Poi il BUIO.
Pensavo a quanto era bello quando ero lontana da questo paese che in parte mi aveva rovinato la vita; poi si aprì la porta e raddrizzai le orecchie per sentite le voci delle persone che stavano entrando nella mia stanza cercando di riconoscerne qualcuna.
' Ha avuto una brutta botta e il colpo è stato così violento che non so come il cranio non si sia rotto. Si è aperta una piccola lesione nella parte vicino all'orecchio ma l'abbiamo tenuta sottocontrollo. Ha riacquistato i sensi ma non riesce a svegliarsi perché è troppo debole. Presto le faremo una tac vi comunicheremo l'esito.'
Sentivo dei passi che venivano verso di me e poi delle calde mani che stringevano quelle mie: fredde e immobili; altre mani, il quale calore era attutito dalla coperta, che mi stringevano le gambe e poi una mano tremante che mi accarezzava la fronte e mi lisciava i capelli. Ad un certo punto un singhiozzo,delle braccia intorno al collo e le lacrime che cadevano sul mio viso. Immaginavo già chi fossero. Il pianto inconfondibile di mia madre, le grandi mani di mio padre sulle caviglie, quelle mani che mi avevano stretto da piccola e mi avevano salvato dai mostri dell'armadio, che mi accarezzavano il viso prima che mi addormentassi e mi facevano il solletico per strapparmi un sorriso. E poi un altro paio di mani più morbide, leggere al tocco ma allo stesso tempo forti.
Sentii una ventata di aria fredda preceduta dall'aprirsi di una porta; e poi una voce. Era probabilmente un'infermiera e chiedeva ai miei genitori di seguirla. Sapevo che non c'era niente di grave perché la voce della donna era gioiosa, squillante e non piena di dispiacere.
Sentivo il respiro della terza persona che mi solleticava il braccio e poi iniziò a parlare <Hey Hayden, come stai? Spero che tu mi senta. Mi hanno detto quando si è in uno stato simile al coma, come sei tu in questo momento, senti tutto ma ti sei come intrappolata nel tuo corpo gelido. È da quasi tre giorni che sei in ospedale. I medici hanno detto che solo oggi stai iniziando a riacquistare i senzi: prima l'orfatto, poi l'udito e infine il tatto. Non vedo l'ora che ti svegli per poterti riabbracciare...> non riuscì a terminare la frase perché poco dopo sentii riaprire la porta, poi il mio letto iniziò a muoversi.

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