Seventh chapter

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7.

JPOV
Mi arrestai sulla soglia della biblioteca.
All'interno Astrid, pallida, leggeva seduta accanto al camino che diffondeva una luce arancione sulle pagine del libro. Il fuoco non era per niente necessario, anche se di notte l'aria di Los Angeles si raffreddava non poco. Sicuramente l'avrà acceso solo per conforto. Pareva il genere di persona che ama le piccole cose, le più semplici, come riempire i vasi di fiori.

Quando non mi irritava, questa caratteristica mi sorprendeva, facendomi desiderare qualcosa che non era per nulla sicuro che possa mai ottenere.

Mi faceva pensare che sarebbe stato più saggio allontanarmi da lei, rientrando nel mio mondo di indifferenza. Ma non volevo farlo, preferivo accettare il disagio insieme al piacere di vederla. «Vieni facciamo una passeggiata a cavallo.»

Un sorriso le rischiarò il viso. «Molto volentieri.» Scattò in piedi e posò il libro sul tavolo.

L'evidente piacere con cui aveva accettato mi procurò uno strano solletico allo stomaco. Era l'unica a sorridermi.

«Non vestita così» l'avvertii, accennando al solito prendisole corto. Non mi dispiaceva poterle guardare le gambe, ma non era adatto per andare a cavalcare.

«Mi cambierò» mi assicurò.

Mi superò, attirando il mio sguardo sui suoi fianchi che ondeggiavano ad ogni passo. Una voglia lancinante come la fame mi colse all'improvviso, profondo al punto da fare male.

Avevo bisogno di lei oltre ogni logica, oltre ogni realtà. Era di una bellezza intoccabile, eterea e terrena al tempo stesso, del genere che un uomo poteva solo sognare di avere.

Sono stato un coglione obbligandola a restare qua solo per farle un dispetto. In realtà io l'ho fatto a me stesso.

Mi avevo offerto la possibilità di definire le condizioni per sposarla, e in questo momento mi pentii di non aver preteso il diritto di spogliarla e perdermi dentro di lei.

«Faccio un attimo.» Si infilò in camera sua e chiuse la porta.

Posai le mani ancora doloranti dopo l'incidente con il vaso di fiori, sul legno fresco della porta, un ben misero rimpiazzo della pelle calda e morbida di una donna. Ma deve bastarmi.
Era trascorso tanto tempo dall'ultima volta in cui avevo toccato una donna, ma avrei preferito farmi monaco piuttosto che costringerla a entrare nel mio letto, con la forza o con la manipolazione psicologica; il mio orgoglio non me lo permetteva.

Voglio qualcuno che mi desideri, ma forse è impossibile. Mi chiamano Belva dell'America, ma sono ancora un uomo, non sarà di certo la frustrazione sessuale a rovinarmi. Non userò il suo desiderio di fare del bene per portarmela a letto.

Aprì la porta e uscì, con indosso un paio di pantaloni color sabbia molto aderenti e una giacca verde oliva, la versione da passerella di un completo da cavallerizza. Su misura, elegante e vistoso.

«Per di qua.» la condussi sul retro della villa, verso l'uscita più vicina alle stalle, dove c'erano i cavalli, già pronti.
Provai l'impulso di prenderle la mano, come avevo fatto prima, quando mi aveva impedito di scivolare nell'abisso sotto l'assalto dei flashback.

Strinsi il pugno per impedirmi di farlo.
«Non sono mai entrata nelle stalle, non sapevo se mi fosse... Permesso.»

«Eppure non te ne sei preoccupata prima di infilarti in camera mia.»

«Bè, ti stavo cercando. E... Mi rendo conto di aver mandato all'aria l'equilibrio del palazzo, ma volevo solo rendermi utile.»

Los Angeles' Hidden Legacy. ↠ Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora