Fourth chapter

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4.

APOV
È insopportabile non sapere cosa fare.

Non mi era mai capitato, dove i giorni si ripetevano uguali dalla mattina alla sera: controllare il budget dei contributi alle associazioni benefiche, partecipare agli incontri dei comitati e fare volontariato nel maggior ospedale della città. Non avevo mai un momento per me stessa, e mi andava bene così. Almeno mi sentivo utile. Qua invece non c'era niente da fare. Potevo solo leggere per ore e ore, fino a quando mi bruciavano gli occhi, o aggirarmi tra i saloni, riparati dai muri spessi che li mantenevano freschi, insieme all'impianto di condizionamento realizzato non molto tempo prima.

Ero abituata ad un clima più fresco, all'aria frizzante, non a questo calore che bruciava i polmoni. Un altro aspetto dell'accordo che non avevo messo in conto, né quando avevo accettato di sposare Jaxon né quando mi sono proposta a Justin.

Tutto era diverso e anche io cominciavo a sentirmi diversa.

Un'imprecazione e il rumore di qualcosa andato in frantumi mi distolsero da quel regno di noia.

Affrettai il passo, addentrandomi nei labirinti di corridoi finché non lo notai, in piedi di fronte a un massiccio tavolo di pietra appoggiato al muro. Il vaso antico che poco prima avevo riempito di fiori raccolti in giardino si è rotto in mille minuscoli frammenti.

Subito levò lo sguardo su di me infuriato. «Sei stata tu?»

«A fare che? A rovinare i fiori?»

«Hai messo tu i fiori in quel vaso?»

«Sì, ho riempito tre vasi, uno qui, uno in camera mia e l'altro nell'ingresso. È un grave reato?»

Si avvicinò al vaso in pezzi, le scarpe che macinavano i frammenti riducendoli in polvere, zoppicando più del solito. «Non spostare mai più niente senza il mio permesso» mi intimò a bassa voce. «Non avevi il diritto di farlo.»

Un brivido di paura mi attraversò, seguito da un flusso di collera, improvviso come una marea. Mi portai le mani sui fianchi. «Non comportarti da...»

«Da bestia?»

«Stavo per dire da bastardo, ma mettici pure la parola che preferisci. A te forse non importa di vivere in una casa cupa, ma a me sì. E adesso è anche mia, visto che mi hai detto di restare, e lo sarà fino alla conclusione del nostro accordo. Non chiederò il tuo permesso per apportare delle modifiche nella mia casa.»

«Non è casa tua, latifa, non confonderti.»

«Si tratta di un picco di testosterone? Ho invaso il tuo territorio, lupo solitario?» La collera mi faceva battere forte il cuore.

«Non prenderti gioco di me.»

«E allora non spingermi a farlo!»

«Tu non capisci, se sposti gli oggetti...»

«Non ho spostato niente, io...»

«Hai spostato questo!» Batté con il palmo aperto sul tavolo di pietra.

«E allora?»

«E allora io ci sono andato a sbattere!» ringhiò.

Le sue parole echeggiarono nel corridoio, restando sospese tra noi mentre un po' per volta prendevo consapevolezza del loro significato.

Quando sollevò la mano, dal tavolo entrambe i palmi sanguinavano. «Che cos'è...»

«Stai indietro.» Deglutii. «Io so dove si trova ogni cosa in casa mia, non dovrei preoccuparmi di un loro eventuale spostamento.» Sentivo un grosso peso sul petto. Avevo allontanato il tavolo dal muro, anche solo di qualche centimetro. Una cosa stupida e avventata.

Los Angeles' Hidden Legacy. ↠ Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora