Capitolo 2 - Memento mori

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Sull’ambulanza mi sento come un bambino, vorrei che accendessero la sirena, ma non mi sembra molto appropriato. Durante il tragitto verso l’ospedale, inizio a notare particolari a cui non avevo prestato la giusta attenzione, come il fatto di portare la fede. E così sono sposato.

Finalmente trovo il portafoglio e il cellulare.  Ecco la patente. Mi chiamo Henry Miller e ho trentotto anni. Oltre a essere rinato, sono anche ringiovanito. Nessuna fotografia di mia moglie all’interno. Non importa, mi piacciono le sorprese. L’iphone, invece, si rivela del tutto inutile dato che non conosco il codice di sblocco.

In ospedale, quando il dottore mi visita, fingo di iniziare a ricordare frammenti di una vita che non ho mai vissuto. Come mi chiamo, quanti anni ho, dove sono nato. L’infermiera, che ha flirtato con me per tutto il tempo, fa una smorfia quando dico di essere sposato. Peccato non aver saputo prima dell’esistenza di questo giochino dello scambio di corpi. Recitare la parte dello smemorato si sta rivelando più divertente del previsto.

Gli esami vanno bene, nessun danno permanente, solo un leggero e fastidioso mal di testa, qualche livido e qualche escoriazione provocati dall’impatto con l’airbag. Non posso stare da solo nei prossimi giorni, a causa del trauma cranico.

L’infermiera mi dice che ha chiamato mia moglie che sarà qui tra poco, ora lei deve occuparsi degli altri pazienti e io devo aspettare qui.

«Certo.» annuisco con aria da cagnolino bastonato. Aspetto un paio di minuti ed esco dalla stanza.

Ho sempre odiato gli ospedali con il loro tipico odore di disinfettante e morte. Cammino evitando lo sguardo degli altri pazienti, c’è un’ultima cosa che devo fare prima di iniziare la mia nuova vita.

La trovo quasi subito. È vestita di nero, con i capelli castani raccolti in uno chignon, impeccabile come sempre, come per andare a uno dei suoi processi e non al riconoscimento ufficiale del corpo del suo ex marito. Il suo nome è rimasto al primo posto nella lista delle persone da chiamare in caso di emergenza.

Mi avvicino cauto, lei alza lo sguardo, ha il trucco sbavato, deve aver pianto forse per la terza volta nella sua vita.

«Sono Henry Miller.» mi presento, «Sono l’uomo che ha investito suo marito.»

Lei continua a fissarmi senza proferire parola.

«È stato un incidente.»

«Lo so.» il velo di tristezza nei suoi occhi castani scompare quasi subito, «Mi hanno detto che era ubriaco e si è buttato in mezzo alla strada.» alza gli occhi al cielo, «Adam era così. Non pensava mai alle conseguenze.»

«Vorrei aver frenato in tempo.»

«Lena Gomez.» mi porge la mano.

Gliela stringo. Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo toccati?

Sono io, sono Adam, vorrei dirle, sono qui.

Quasi spero che mi riconosca, ma lei abbassa lo sguardo.

«Avete figli?»

Lei annuisce, trattenendo a stento le lacrime. So a cosa sta pensando, non sa come dirlo a Jordan.

«Mia figlia adorava il mio ex marito. Lo idolatrava.»

In questo momento capisco quello che ho perso, Jordan, la cosa più bella che mi sia capitata. Ultimamente l’ho trascurata, mi sono dimenticato di andarla a prendere a scuola quand’era il mio turno o di andare a vederla giocare a softball nonostante me l’avesse ricordato un milione di volte. Tutto sommato, non sentirà più di tanto la mia mancanza.

«Se avete bisogno di qualsiasi cosa.»

«Grazie, ma... staremo bene.»

È una donna dura, tenace, solo con me si toglieva la maschera che indossava tutti i giorni in tribunale. Io la facevo ridere, di una risata sincera, di cuore.

È ancora una bella donna, mi sorprendo a pensare mentre mi allontano.

Cos’hai fatto per lasciartela sfuggire, eh?

Non lo so. È successo e basta. Un giorno eravamo felici con nostra figlia che saltava sul letto per svegliarci e il giorno dopo due estranei che si riconoscevano a stento e non capivano cosa ci facessero esattamente nello stesso letto.

Che razza di coglione, una voce che non riconosco mi rimbomba nella testa.

Chi sei?

Sono Henry, risponde la voce, E tu sei solo un impostore.

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