Frank non sa dire esattamente dove sia, ma il suo primo pensiero è che Gerard aveva ragione: non c'è un paradiso né un inferno né tantomeno un dio a giudicarti, ci sei solo tu con la tua coscienza, che magari hai cercato di evitare per tutta la vita ed ora si ripresenta, puntuale, alla fine.
C'è solo un groviglio di ricordi da riguardare, immobile, a ricordargli ciò da cui aveva cercato di scappare.
Sua madre che lo culla, da bambino.
Gee che gli parla per la prima volta. Jamia che gli racconta che le piace una ragazza. Gee che sorride.
Il primo bacio, nella dark room con Bob. Le risate quando hanno scoperto chi fosse il misterioso barbuto a cui aveva ceduto una prima volta, forse più importante di quella verginità che ha regalato qualche anno dopo a Gerard.
Gee che gli sporca di gelato la faccia per poi scoppiare a ridere, i suoi dentini che sembrano piccole perle, anche se giallastre e rovinate. Gerard che gli dice 'Ti amo'. Jamia che racconta che suo padre vuole che sposi un ragazzo. Gee che si sposa, negli occhi una muta richiesta di scuse che Frank non gli ha concesso. Gerard che lo porta al cinema a vedere uno stupido film d'amore, per poi trascinarlo in giro per le sale a guardare gratis gli altri film. Jamia che si incazza perché lui non la vuole accompagnare a vedere il seguito dello stesso film, senza capire perché suo marito lo odi così tanto.
Non è vero che lo odiava, semplicemente non voleva sovrapporre un ricordo di Gerard con uno di Jamia, che alla fine è andata a vederlo con Linz, quel film, e Zeus solo sa cos'hanno combinato, mentre lui e Gee si godevano quelle ore di libertà, ore di Noi, quel plurale tanto importante per la letteratura, che non è nemmeno letteratura ma scialbi romanzi d'amore, ore che non sarebbero più tornate, con l'arrivo dei figli.
Non sa nemmeno perché, ormai è morto o quel che è, non dovrebbe più importargli, ma per un momento, una frazione di secondo microscopica in uno tempo che dovrebbe essere qualcosa di infinito, si chiede se lui, Frank Iero, in quel momento manchi a qualcuno che non siano i suoi figli o sua madre.
Se Lui senta la sua mancanza.
Se quello stronzo che anni prima gli ha detto di amarlo, quello che gli ha preso il cuore e la calpestato con quelle dannate scarpe con i tacchi a spillo che gli ha regalato scherzando una volta, si ricordi almeno di portargli una dannata rosa rossa sulla bara.
Gli manca? Avrà letto la sua mail, il suo addio?
E se non gli interessa più nulla dell'amante, sente almeno il vuoto lasciato dal suo migliore amico?
O meglio, quello che un tempo ha definito migliore amico.
Frank non sa cosa voglia dire "adesso" quando si è morti, e a cosa serva saperlo, cosa conti, dopo tutto, ma si chiede comunque cosa siano, lui e Gerard, adesso che non è adesso ma poco prima che ingerisse tutte quelle pillole.
Decide che non è importante nessuna delle domande, adesso, che significa ora che è morto, perché non può certamente tornare indietro e anche se potesse, cosa gli assicurerebbe che Gerard non lo lasci di nuovo, sempre ammesso che ritorni da lui?
Di nuovo si riprende, che importa ora? Non può tornare indietro, semplicemente. Ma non può nemmeno da andare avanti: è morto.
C'è questo limbo del cazzo in cui rimanere per sempre e per una volta non è una stupida promessa o un'iperbole infantile, è per sempre sul serio, ed è dannatamente lungo.
Fa paura, 'per sempre', non vedere un punto di arrivo. Le cose devono avere una fine, per essere concepite dagli esseri umani. A Frank viene in mente di quando a scuola, studiando (per modo di dire, non gli è mai piaciuta quella materia) geometria, si chiedeva come fosse possibile che esistessero rette e semirette infinite. Ma dove si trova potrebbe benissimo essere sia una semiretta che un cerchio, o magari anche una funzione che comprende tutti i numeri superiori a quello che identifica il suo decesso. Effettivamente, la matematica non si è mai molto occupata della morte, né della vita umana in generale. Troppo astratta, troppo precisa.
Perfetta. Frank odia le cose perfette, sono fastidiose, false. Asettiche.
Odia quando gli sente utilizzare l'aggettivo perfetto come sinonimo di bellezza. Dovrebbe smetterla di utilizzare il presente per azioni che non potrà più compiere.
Però, anche se lo trova inutile, anche continuando a ricordarsi che ormai è morto, non importa nulla di quello che sta succedendo di là (non sa nemmeno se 'di là' possa essere un termine corretto per definire quello che ha lasciato), mentre guarda la sua vita, ricordi che non sapeva nemmeno di avere, dettagli minuscoli, puntini che un essere umano non registra nemmeno nella sua mente, mentre vede tutto questo (nemmeno vedere gli sembra il termine adatto, né rivivere. Forse dovrebbe smetterla di pensare come un corpo vivente) gli rimane quella domanda incessante, scolpita nei suoi pensieri:
Gli manco?
Una nenia instancabile, che riappare puntuale ogni volta che viene scacciata, come una mosca insistente e fastidiosa, a volte quasi dolorosa.
Gli manco?
La ripete nella sua testa, Frank. sempre la stessa domanda.
Gli manco?
La pronuncia così tante volte, arrabbiato, deluso, triste, speranzoso, vendicativo...
La ripete balzando a sedere sul letto d'ospedale, urlandolo:"Ti manco, Gerard?" Svegliando il diretto interessato, accasciato a dormire lì di fianco, stanco, con gli occhi rossi e gonfi, le mani sporche di inchiostro, la barba incolta.
Ma lì, ad aspettare. A sperare, solo per lui.____________________________
Yo *compare con una zanpakuto sulla spalla* (sì, sto leggendo Bleach)
Volevo farlo morire, poi mi sono sentita in colpa quindi riverserò la mia cattiveria su Gerard, che soffrirà.
Stavo per pubblicare venerdì santo(?), ma quello stronzo del computer è morto appena ho scritto l'ultima parola e ho dovuto aspettare per riprenderlo.
Ma alla fine tanto non se la fila nessuno questa storia, a parte tre persone (?) di cui due perché gli faccio pena (Ciao amour. Ariuz.) quindi nulla, la finirò se avrò voglia.
Axl
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So close your eyes and Sleep ||Frerard||
General FictionNon è una speranza, Frankie, è una certezza.