Capitolo VII

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Le giornate passavano sempre troppo in fretta quando ero con lei.
Avevamo tutto il tempo del mondo, ma non ci bastava. Ci cacciavamo nei guai assieme, andavamo in giro a fare casino... Oppure stavamo intere mattine a fare l'amore, a parlaci abbracciati, avvolti dalla musica che usciva dalle casse.
Vedevo tutto con occhi diversi, perché vedevo anche attraverso i suoi; tutto era più interessante, più semplice ed era tutto così terribilmente prezioso...
Avevo paura, anzi, avevo il terrore che tutto ciò potesse finire.
Era come se mi fossi immerso in un mare di piacevoli sensazioni; ci stavamo nuotando dentro in due, ma chi sarebbe risalito prima in superficie?
Allora non la facevo affaticare troppo, non volevo spaventarla, volevo lasciare tutto così com'era, illudendomi che se nulla fosse cambiato tutto sarebbe rimasto uguale, fermo, congelato eternamente.
Ma per ogni azione, che per paura non facevo, la corrente ci colpiva e ci trasportava a suo piacimento, allontanandoci sempre di più l'uno dall'altra.

Entrambi avevamo trovato lavoro, eravamo emozionatissimi, non vedevamo l'ora di cominciare.
Io lo amavo, la paga era buona, ma mi impegnava davvero tanto tempo. Ero sempre concentrato sul lavoro, perché volevo dare il meglio di me, ci tenevo davvero tanto.
All'epoca ero il responsabile audio di un cinema-teatro in centro città.
Era un miracolo, col titolo di studio che mi ritrovo, aver trovato un lavoro così importante; in più mi piaceva ed era uno dei pochi mestieri che sapevo fare bene. Ovviamente ero pieno di corsi da seguire, dovevo assistere alle prove delle rappresentazioni, studiarmi ogni singolo particolare, rimanendo lì fino a tardi, per ottenere un risultato perfetto.
Lei, d'altra parte, aveva un lavoro che non la occupava al di fuori della struttura, ma la sua personalità si scontrò inevitabilmente con quella dei suoi superiori.
Era barista e cameriera in un bar abbastanza frequentato ed essendo l'ultima arrivata faceva il doppio del lavoro; era sempre stressata quando tornava a casa. Doveva sottostare alle pretese degli altri e questo non era nella sua natura.
Dopo qualche mese la licenziarono.
Cercava ovunque, ma non trovò di meglio che in un call centre, poi in un'impresa di pulizie e alla fine ancora in un bar, stavolta un po' più cupo e puzzolente del primo.
Eravamo entrambi stanchi, facilmente irascibili e non avevamo più neanche un po' di tempo per noi.
Mi ritrovai a pensare di dover scegliere tra la mia vita da lavoratore e la mia vita privata, come se non ci fosse abbastanza spazio per entrambe: si ostacolavano a vicenda.
Lei non era più la stessa. Il tempo passava e si era fatta più vulnerabile al mondo esterno.
Ora non rideva più in faccia a nessuno, alzava gli occhi al cielo o semplicemente faceva finta di non vedere quello che non le piaceva.
Ora non avrebbe più voluto cambiare il mondo, perché il mondo era troppo complicato.
Era lui che stava cambiando lei.
Mi faceva arrabbiare vederla così, non era da lei. Le avrei gridato di combattere, di rialzarsi. Ma non lo feci.
Se le avessi fatto del male? Io non volevo provocarle dolore e nemmeno farla scappare, se al contrario le fossi stato troppo vicino, soffocandola...
Non sapevo che cosa fare.
Le dissi che ero sempre lì per lei, al suo fianco; che non era mai sola, che eravamo sempre in due ad affrontare le cose.
Lei, intanto, si rifiutava di fare qualsiasi cosa; non ne aveva la forza, non aveva la motivazione per farlo. Non voleva vedere nessuno. Era come se avesse rifiutato il mondo esterno.
Me compreso.
Per poi cercarmi, quasi disperatamente, solo dopo un lungo periodo.
Non vivevamo più insieme, io ero tornato a casa mia. Non mi aveva cacciato via, ma preferiva stare da sola e pensando di aiutarla feci le valigie.

Ero a pezzi. Non ragionavo.
Non reggevo più la situazione.
Dovevo parlarle assolutamente.
Ricordo ancora benissimo quel giorno: mi feci coraggio per la prima volta, presi le chiavi e uscii di casa.
In quel momento mi venne in mente mia madre.
Ormai non c'era più da tempo ed ero passato sopra la sua morte quasi apaticamente, ora per la prima volta ripensai a lei dopo la sua morte.
Una lacrima scese sulla mia guancia. Mi diede forza.
Mi asciugai gli occhi e corsi da Lili; non vedevo l'ora di riabbracciarla.
Non le avrei detto nulla, non le avrei parlato della nostra situazione, non le avrei fatto notare nessun problema: noi eravamo già felicissimi, non avrei dovuto pretendere di più, niente è perfetto ed è giusto che sia così.
Lei era la cosa più bella e importante che avevo: dovevo solo essere felice.

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