Capitolo 9

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Gli acarezzai la sua guancia, asciugando quella lacrima, quella lacrima che non avrei più voluto veder bagnare il suo splendido viso.
Presi il suo viso tra le mani e cercando di non svegliarlo, mi sedetti in braccio.
Posai delicatamente le mie labbra sulle sue, dandogli un bacio dolce e casto.
Mi ritrassi lentamente e i miei occhi incontrarono quelli verdi smeraldo di Thomas, che brillavano di desiderio.
«Scusa...» dissi io arrossendo.
Cercai di alzarmi ma Thomas mi cinse la vita con una mano e l'altra la infilò nei miei capelli.
Stavo per parlale ma lui mi zitti con le sue morbide labbra.
Eccola lì, la mia boccata d'ossigeno puro, quella che ti fa gonfiare i polmoni, che ti dà alla testa come una droga, che ti fa venire le palpitazione. Era come baciare il sole, prima o poi mi sarei bruciata, perché era troppo bello per essere vero.
Era un bacio appassionato, possessivo, di quelli che dicono: tu sei mia e basta.
Mi prese per la vita con entrambe le mani e mi fece alzare senza mai smetterla di baciarmi.
Mi appoggiare con la schiena contro il muro, mi afferrò le gambe prendendomi in braccio e io le avvolsi attorno alla sua vita.
Infilai le mani nei suoi capelli e con le gambe lo strinsi ancora più a me.
Lui mi morse il labbro inferiore, facendomi scappare un gemito mentre io gli tirai i capelli. Lo sentii sorridere contro le miei labbra.
Il suo bacio si faceva sempre più carnale e più profondo, i nostri respiri si accorciavano e si facevano più forti.
Lentamente ci staccammo e riprendemmo fiato, mescolando i nostri respiri.
«N-non... puoi continuare... a dire, che non... provi niente per me» disse ansimando lui. «Quindi ammettilo.»
Feci un respiro profondo. «Io non provo niente per te.»
Perché non volevo ammetterlo? Più che altro, perché non riuscivo ad ammetterlo?
«E quello che è successo poco prima?» chiese, continuando a guardare verso il basso.
«Avevo voglia di farlo e stop» risposi io seria.
Si avevo voglia di farlo ma c'era un motivo ben preciso.
«Non potrai mentire a te stessa per sempre» disse lui baciandomi il collo, provocandomi brividi in tutto il corpo.
«Neanche tu» dissi in un mugolio.
Lui si staccò dal mio collo e mi guardò dritto negli occhi. «Okay, non so esattamente cosa provo per te, però so che è qualcosa di forte e so che tu lo ricambi.»
«Tu non sai cosa provo, comunque stai tranquillo che quello che è successo oggi non capiterà mai più.
Poi lasciarmi adesso?» dissi acida.
Perché dovevo essere sempre così scorbutica? Perché una volta ogni tanto non mi potevo fidare?
Perché non vuoi ammettere a te stessa che ti piace?! urlo la mia vocina interiore.
Era sempre quella la risposta: avevo paura che dandogli il mio cuore lo avrebbe fatto a pezzi. Avevo paura che mi tradisse. E poi non era possibile che provasse qualcosa per me.
«Ohh eccome se ricapiterà» disse posandomi a terra.
«Ma perché sei così stronzo?» chiesi scostandomi da muro e da lui.
«Perché vorrei che mi stessi lontana» disse lui guardandomi negli occhi.
«Ma perché?»
Esito per qualche secondo. «Perché non voglio che ti accada nulla di male.»
«Ma così facendo mi stai avvicinando sempre di più...» sussurrai.
«Non posso farne a meno...» disse, prendendomi una ciocca di capelli e cominciandoci a giocare.
«Forse è meglio che vada» dissi, con voce esitante.
«Già, forse è meglio» disse continuando a molestare i miei capelli, senza dare il minimo segno di spostarsi. «Sono stupendi...» disse avvicinandosi e vi affondo il viso, respirandone il profumo.
Non potevo non stargli vicino, era come una calamita, il centro del mio equilibrio.
Li spostai dei ciuffi che gli ricadevano sul viso e gli accarezzai la guancia.
«Tra noi non potrà mai funzionare» dissi in un sussurro. Lasciò ricadere i miei capelli e cinse la vita. «Non m'interessa, io non rinuncio, sai che mi piacciono le sfide» mi sussurrò all'orecchio.
Sorrisi. «Purtroppo anche a me.»
Mi posò un bacio casto sulle labbra e si allontanò, sorridente, entrando nel suo appartamento. Lasciandomi sola, sommersa nei miei pensieri.
Entrai nel mio appartamento, andai in camera mia e mi buttai sul letto.
Ma che cosa stavo facendo? Perché lo avevo baciato?
Già balla domanda...
Aaa ma perché doveva essere tutto così complicato?
«Maledizione!» urlai.
Ammettilo che ti piace! disse la mia vocina interiore.
Scossi con grinta la testa.
Codarda! Hai paura?! Pensi che faccia meno male non accettare che ti piaccia?! Stupida! continuò quella malefica vocina.
«Basta!» urlai.
Okay... stavo pure diventando pazza! Ci mancava solo la vocina stronza che mi continuasse a ripetere ciò che pensavo!
Dovevo trovare un modo! E subito per liberarmi di lui e di questi pensieri ma so che avrei fallito dal principio. D'altronde lui era il primo e non avrei voluto nessun'altro...
                            ****
Il giorno seguente lo passai interamente con Thomas e Leia a Central Park. Avevamo deciso di fare un picnic, per cuoi avevo preparato il pranzo qualche ora prima.
«Qui!» urlo Leia vicino al lago.
«Elizabeth...» sussurrò una voce dolce, leggiadra come la carezza d'un soffio d'aria.
Mi fermai di colpo, guardandomi intorno e Thomas mi veni addosso, facendomi cadere la coperta.
«Ma che diavolo ti prede?» domando esasperato.
«Ho sentito qualcuno chiamarmi...» dissi continuando a guardare in giro.
«Io non ho sentito niente» sospirò.
«Perfetto!» sbottai, mentre mi piegai per raccogliere la coperta, strusciandomi involontariamente contro Thomas. «Ci mancavano solo le allucinazioni! Tra un po' inizierò a girare nuda e a urlare come una pazza!»
«Lo spero» sogghignò.
Mi voltai di scatto e lo fulminai con lo sguardo, mentre lui scoppiò a ridere.
Ringhiai e raggiunsi Leia a grandi falcate.
«Dai Bethy!» mi chiamò. «È dai! Scherzavo!»
«Stai zitto» dissi con tono duro.
Lo sentii sbuffare mentre Leia trotterellava tra gli alberi.
Distesi la coperta per terra e Thomas mi appoggiò il cestino con il pranzo.
Mi misi a sedere e rivolsi la mia attenzione alla sponda opposta del lago.
L'aria accarezzava la superficie dell'acqua, formando leggere increspature.
Ormai l'estate stava giungendo al termine, portandosi via le giornate calde e afose, caratterizzate dal profumo del sole, del mare e della crema solare.
Tra poco sarebbe arrivato l'autunno, la mia stagione preferita, la stagione delle piogge, dell'arancione, del giallo, del marrone e del rosso.
Amavo l'odore della pioggia, il suo scrosciare, la sua purezza, "le lacrime degli angeli" le chiamava mio fratello. L'amavo!
Mi stiracchia e respirai l'aria a pieni polmoni.
Thomas incominciò a apparecchiare e a tirar fuori le vaschette con il cibo, dal cestino.
Sandwich, pizzette, olive, formaggio, affettati e frutta.
Appena Thomas aprì la vaschetta dei sandwich, Leia gli piombò adesso, come una morta di fame.
Mi facevano morire dal ridere, c'era Leia che saltava per cercare di prendere i sandwich, mentre Thomas si divertiva a sventolarglieli davanti alla faccia, per poi ritrarli velocemente.
Io iniziai a rosicare dei grissini e quando se ne accorsero, mi guardarono con aria complice e mi strapparono i grissini dalle mani.
Io sgranai gli occhi.
Odiavo chi mi portava via il cibo e Thomas lo sapeva. Incominciò a mangiarli e io gli saltai addosso, come un furetto affamato.
Lui perse l'equilibrio e Leia riuscì a prendere i sandwich prima che cadessimo.
Fini a cavalcioni su di Thomas, mentre lui rideva come un pazzo.
«Dammeli» dissi con un sorriso malizioso.
«Altrimenti?» disse lui rispondendo al sorriso.
Mi avvicinai al suo orecchio e allungai una mano verso la sua -dove teneva i grissini- e l'altra la posai sul suo petto.
«Altrimenti...» iniziai a stritolagli il capezzolo e lui mugolò, lasciando la presa su grissini, tanto da poterli afferrare e rotolarmi di lato.
«Ricoda: mai rubare il cibo di Ely» disse Leia ridendo.
Passammo la giornata a ricordare episodi stupidi della nostra infanzia, facendo a gara a chi aveva fatto la più grande figura di merda, e per il momento ero in testa io. Giocammo a nascondino -il mio gioco preferito- dove non vinsi neanche una volta, infatti ero sempre alla conta. Non so come facevano ma un momento prima c'erano, l'attimo dopo erano spariti. Era impossibile giocare con loro.
«Basta! Io non conto più!» borbottai pestando i piedi per terra.
Thomas sogghignò mentre Leia si preparava a un agguato alle sue spalle ma lui se ne accorse, e prima che Leia saltasse, si spostò.
Mi spostai velocemente e la presi al volo, perdendo l'equilibrio e cadendo sulla schiena.
«Ma sei pazzo?! Poteva farsi male!» sibila mettendomi a sedere, mentre Leia restava accatta a me come una scimmietta, ridendo.
«Ma figurati!» borbottò lui incominciando a mettere via tutte le scatole vuote.
Sentii Leia posarmi la mano sopra il cuore e guardarmi, con occhi brillanti come lampadine. Poi spinse contro il mio petto, e in quel momento mi sentii scoperta, era come potesse guardarmi dentro, come se stesse cercando qualcosa. Sentii il riecheggiare di uno strappo nella mia testa seguito da un dolore lancinante.
Respirò a pieni polmoni, sorrise.
Ero incredibile stanca, mi iniziò a girare la testa, il dolore aumentava sempre di più e le gambe mi cedettero.
«Ma che diavolo...» disse Thomas afferrandomi prima che precipitassi a terra in uno stato di semi coscienza.
Non vedevo nulla, non riuscito ne a parlare ne a muovermi ma sentivo tutto quello che dicevano.
«Ma che diavolo ti è saltato in mente?!» urlò Thomas.
«Ma...» disse una voce femminile a me sconosciuta.
«Leia! È come se l'avessi bombardata di raggi X!» sbraitò Thomas.
Leia? Com'era possibile?! Non era una voce da bambina?! Non era la sua voce?!
Cosa diavolo stava succedendo?!
Sentii gli sportelli dell'auto aprirsi e poi richiudersi e immaginai che mi avessero caricato in auto.
«Leia guida tu, io provo a risolvere il disastro!» disse esasperato Thomas, sedendosi accanto a me, facendomi mettere la testa sul suo grembo.
«Penso che c'è l'abbia...» disse la presunta Leia, mentre mise in moto l'auto.
«Come pensi?!» sibilò Thomas. «L'hai bombardata per un minuto, per niente!?»
«No! È solo che non è come il nostro... È strano... ma è inattivo.»
«E così dovrà rimanere! Lo sai che non possiamo... E comunque meglio per lei se non entra a far parte di questo modo di vivere...» disse in tono amaro lui.
«E se lei fosse...» non riuscì a concludere la frase, perché fu interrotta prima.
Io fossi... chi?
Di cosa stavano parlando, cosa avevo di diverso da loro?
«Non lo è! Lo sai anche tu che è morta!» sbraitò lui.
«Ma se fosse lei?! Se non completa il processo morirà! E con lei tutti noi!» urlò la presunta Leia. «E io non ho intenzione di lasciarla morire!»
«Leia è solo una leggenda!»
«Non è una leggenda! Lo sai anche tu che dopo la morte dei sovrani ci siamo indeboliti! E ora lo stiamo diventando sempre di più! Questo significa che lei è ancora viva  ma sta morendo! E se non la troviamo prima del suo diciottesimo compleanno, per noi sarà la fine! Perfino per gli umani! E per entrambi i nostri mondi!»
Cosa stavano dicendo?! La fine degli umani!? Di loro?!
Non capivo!
Che cosa avevano di diverso dagli umani?!
«Dobbiamo proteggerla, ormai il suo organismo ha assorbito il tuo odore... presto verranno a cercarla...» la voce di Thomas si fece sempre più lontana.
«Dobbiamo dirglielo...» sussurrò dolcemente Leia.
«Si, almeno questo non va contro il loro volere...» sentii Thomas accarezzarmi il viso.
Fu l'ultima cosa che sentii prima di cadere tra le braccia del sonno.
                           ****
L'aria mi spostava i capelli, che mi solleticavano il viso.
Aprii lentamente gli occhi, battendo ripetutamente le palpebre per abituarmi alla luce del sole.
L'erba mi solleticava le gambe e le braccia.
Mi misi a sedere e mi guardai intorno: ero in un bosco di salici piangenti, in piena fioritura, ero seduta su un materasso di muschio, circondato da rose, soffioni e garofani. Non indossavo più i miei abiti ma un vestito beige-lillà, il corpetto con uno scollo a cuore ricamato, una lunga gonna larga, degno di un vestito regale. Le maniche corte dell'abito ricadevano leggere, lasciandomi scoperte le spalle. I capelli sciolti mi solleticavano la schiena scoperta.
Dov'ero capitata?
Qualche minuto prima ero in macchina, mentre ora ero in non so quale bosco...
E se mi avessero abbandonata qui?
No, era impossibile, Leia non l'avrebbe mai fatto.
Mi alzai in piedi e mi accorsi che ero scalza, sentivo l'erba fresca solleticarmi le piante dei piedi.
Vidi brillare qualcosa dietro un'albero e con passo cauto mi avvicinai.
Appesa al ramo dell'albero trovai una piastrina identificativa:
WILLIAM PERRY
3/07/1985 MINNESOTA
C 204-85-6899
A POS. PROT.
Caddi in ginocchio, con la piastra stretta in pugno, mentre le lacrime iniziarono a bagnarmi le guance.
Erano passati tre fottuti anni ma faceva ancora male come la prima volta. Era come se mi scuoiassero viva, un dolore insopportabile.
Volevo urlare, con tutte le mie forze ma era come se avessi un batuffolo d'ovatta.
«BethyBeth» quella voce così famigliare e quel stupido nomignolo, mi fecero voltare di scatto.
Ed eccolo lì, nella sua divisa, con i capelli rossi tutti scompigliati, con i suoi bellissimi occhi blu notte e con il suo stupendo viso spigoloso, abbellito da il suo solito splendido sorriso. L'uomo più importante della mia vita, il mio eroe e il mio angelo custode.
Sempre bellissimo, era copia sputata di mia madre, al maschile.
Era il mio Will.
In quel momento il mio cuore smise di battere e il mio cervello di funzionare.
Sentivo le gambe molli ma cercai lo stesso di riarmarmi e barcollando lo raggiunsi.
Era così alto, io in confronto potevo essere scambiata per sua figlia.
Avevo paura che toccandolo sarebbe scomparso, come granelli di sabbia portati via dal vento.
Allungai la mano verso la sua guancia e con esitazione ve l'appoggiai.
Sentii il calore e la morbidezza della sua pelle. Portò la mano sulla mia e la strinse con gentilezza, mentre con l'altra mi sistemava una ciocca di capelli.
«Sei diventata una bellissima donna...» disse con rammarico.
Sapevo che si stava dando la colpa, del fatto di non avermi potuto veder crescere. Aveva un cuore d'oro si preoccupa sempre degli altri e poi se c'era tempo di se stesso ma anche se era un'angelo, me lo avevano portato via, lo rivolevano in cielo, perché era quello il suo posto.
«Ci manchi...» dissi, mentre le lacrime continuavano a scendere senza fine.
I suoi occhi stavano diventando lucidi, voleva piangere ma era contro la sua morale. Lui era il riferimento di tutti, doveva dimostrarsi sempre forte ma con me non serviva.
Gli allacciai le braccia al collo e appoggiai il viso nel incavo della spalla.
«Anche voi mi mancate...» disse con voce tremante, prima di crollare in ginocchio e stringermi a se.
Sentivo le sue lacrime, calde, scivolarmi dalla spalla alla schiena, mentre i singhiozzi trattenuti, gli stroncavano il respiro.
«Va bene così...» lo strinsi più a me, con la paura che se lo lasciassi potesse scomparire e gli accarezzai la nuca.
«Mi dispiace... vi avevo promesso che saremo stati per sempre insieme e ti avevo promesso che ti avrei protetto e non ne ho mantenuta neanche una!» disse con disgusto.
«Non devi prenderti sempre la colpa di cosa succede, perché anche se ci hai lasciate sei morto per i tuoi compagni, per il tuo paese, non potremmo mai darti la colpa di non esserci più» gli sussurrai all'orecchio.
«Ma...» cercò di parlare ma lo fermai.
«Ma niente, te ne sei andato da eroe, facendo il lavoro che amavi e noi lo sappiamo e ti ameremo sempre e comunque» gli sussurrai dolcemente, mentre lui mi stringeva più forte.
Mi erano mancati i suoi abbracci, caldi e protettivi, di quelli che anche se era a pezzi, ti riasemblano e ti aggiustano. Quelli che ti fanno venire le lacrime agli occhi senza motivo, quelli che ti fanno sentire completa.
«Come state?» disse staccandosi dall'abbraccio e guardandomi negli occhi.
«Tutto sommato, stiamo bene, ci siamo trasferite e non viviamo più con papà» l'ultima parola la dissi con una smorfia, come se avessi mangiato qualcosa d'amaro.
«Sono contento» disse lui asciugandosi gli occhi e sorridendo.
«E a te come va lassù?» dissi alzando gli occhi al cielo.
Will scoppiò a ridere e si mise a sedere, lo stesso feci io. «È... quasi magico, posso vedervi, posso sentirvi e come se fossi lo spettatore delle vostre vite» disse con il suo solito sorriso imbecille.
«Hai sofferto?»
Lui scosse la testa e mi fece un sorriso rassicurante. «L'esplosione era troppo forte e io ero troppo vicino per sentire qualcosa, sono morto prima che me ne accorgessi.»
Sospirai. Non avrei sopportato se avesse anche sofferto, perché non se lo meritava, non si meritava nulla di tutto questo.
«Non abbiamo ancora tanto tempo... Ora dobbiamo parlare di cose serie» disse lui improvvisamente serio.
«Più starai vicino a quelle persone più sarai in pericolo»
«Ma perché? Non mi farebbe mai male» dissi convinta.
«Non volontariamente ma loro non sono come noi» disse torturandosi le mani.
«Ma è possibile che io sia uguale a loro... potrei essere un mostro e voi avrete tutto il diritto d'odiarmi.»
Mi spese per le spalle e iniziò a scuotere la testa. «Non ti potrei mai odiare, qualsiasi cosa tu sia o qualsiasi scelta tu prenda, io ti amerò sempre e questo vale anche per mamma.»
L'aria intorno a noi divenne sempre più fredda e il cielo incominciò a scurirsi.
«Cazzo, mi dispiace volevo avere più tempo per parlarti...» la sua voce era una dolce cantilena.
Lentamente i contorni di Will incominciarono a sbiadire e la mia vista ad annebbiarsi.
«Stai... scomparendo...» dissi incredula.
«Si e tu tra poco ti sveglierai, ricordati cosa ti ho detto e per favore dai un forte abbraccio alla mamma» mi strinse in un'abbraccio. «Qualsiasi cosa accada ricordati che sei e sarai sempre la mia sorellina e questo non cambierà mai.»
Io annuii e lo strinsi più forte mentre una luce accecante prendeva il suo posto.
«Ti voglio bene BethyBeth» mi sussurrò all'orecchio.
«Anch'io te ne voglio» dissi singhiozzando. «Questo è un'addio?»
«Non è mai un'addio, BethyBeth...» disse mentre la luce si affievoliva sempre di più, lasciandomi sospesa nel buio, cullata dall'oscurità, come un petalo di rosa trasportato dal vento.
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Salve popolo 😁
Le cose si fanno più interessanti...
Secondo voi di dosa stavano parlando?
Mmm chi lo sa...
Lo so è brutto lasciarvi così sulle spine ma io mi diverto un sacco😏
Alla prossima ❤️

Kimberly: Il Sangue RealeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora