DUE.4

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Tra una grattata del cambio e una slittata di frizione, Marco riuscì a guidare fino a casa.
- Qui, qui, zio! c'è un posto!
- Ma dove? io vedo solo le strisce pedonali!
- Eh, sì, quello è un bel posto libero! Io ci parcheggio sempre!
- Meno male che sei fresco di scuola guida!
- Quanto sei fiscale!
- Sì, poi vallo a dire ai vigili.
- Allora lì, c'è un signore che ci sta indicando dove parcheggiare...
- Alessandro, ma quello è un parcheggiatore abusivo e ci chie­derà dei soldi se parcheggiamo dove dice lui!
Ero anch'io così sprovveduto quando sono arrivato a Roma?!

Massimo era rincasato da lavoro prima del solito. Appena den­tro casa, si diresse verso il bagno, cominciò a togliersi i vestiti e, appallottolandoli, li buttò nel cesto dei panni sporchi immede­simandosi in una star dell'NBA. Aveva bisogno di una doccia fredda per togliere dalla pelle la calda giornata di lavoro. Fece con la mano per sentire la temperatura dell'acqua ma poi pensò di approfittare del fatto d'essere solo in casa. Andò in salotto, ac­cese la dock station, cliccò play sul suo iPhone, alzò il volume e corse verso il bagno lasciando la porta aperta dietro di sé per sentire la musica. Appena infilatosi sotto la doccia, la sua raccolta preferita di vecchi successi di Raffaella Carrà, tutta da cantare a gran voce, partì.

Dopo venti minuti di giri, alternando un "No, quel parcheggio è poco illuminato e i ladri prendono di mira la macchina!" e "No, lì no, che siamo in curva e poi ci vanno a sbattere!", Marco riuscì a parcheggiare. Anche se da anni a Roma, il parcheggio selvaggio non era mai entrato nelle sue vene.

Massimo uscì dalla doccia e si asciugò mentre girava per casa sistemando i suoi adorati ninnoli e cantando quelle vecchie can­zoni. Tale era la sua stazza che l'asciugamani che usava sembrava minuscolo.

- Zio, in che zona stiamo?
- Torpignattara.
- Ah, per un attimo credevo che fossimo nel far west!
- In che senso?
- Guarda gli indiani che ci sono in giro!
- Alessandro, questi sono indiani dell'India!
- Sì, infatti!
Spero che tu stia scherzando!

Il ritmo in casa incalzava e Massimo cominciò ad accennare qualche passo di danza.

- Che piano, zio?
- Terzo
- Questo palazzo già mi piace! Il bottone dell'ascensore del terzo piano ha i colori della bandiera della pace e i condòmini ascoltano la musica a gran volume!
- Aspetta di conoscere la nostra vicina rompiscatole che le dà fa­stidio anche il minimo rumore. Mi stupisce che non abbia già fatto interrompere questa musica! E comunque, quel tasto l'ha colorato un teppista!
Che di nome fa Massimo!
L'ascensore saliva e il volume della musica si faceva più forte, Marco cominciò a sudare freddo.
Ti prego, fa che non sia lui!

Massimo, frizionandosi i capelli, si lasciò andare sul "e se ti la­scia, lo sai che si fa..." e con l'asciugamano in testa, gli venne spontaneo misurarsi in quei colpi di testa all'indietro a prova di torcicollo della sua cantante preferita.

- Zio, non apri la porta?
Davanti all'uscio di casa, Marco concretizzò che la musica veniva proprio dal suo appartamento. Il ritmo era riconoscibilissimo e sperava che Massimo avesse messo un po' di musica per compa­gnia mentre cucinava. Infilò la chiave nella toppa e spinse la porta.
- Ecco Alessandro questa è casa...
- Trovi un altro più bello, che problemi non ha! – colpo di testa all'indietro, giravolta e finale con gambe divaricate e braccia aperte a mo' di stella: questo fu il benvenuto di Massimo!
Marco restò immobile con le chiavi in mano come fosse diventato una statua di sale.
E invece era proprio lui! Di' qualcosa di sensato per giustifi­care tutto questo!
- Oh, ben arrivati!
Alessandro fece un passo in avanti per scavalcare Marco ed en­trare. Rispose al saluto di Massimo con un sicuro "Piacere, sono Alessandro!", allungò la mano e mentre Massimo gliela stringeva si guardava intorno studiando l'ambiente.
- Piacere, Massimo. Ma in realtà noi già...
Alessandro, talmente preso dalla novità di quell'appartamento, interruppe Massimo.
- Zio, dov'è la mia stanza?
Zio fu la parola magica che risvegliò Marco dall'incantesimo del sale.
- Scusami, stavi dicendo qualcosa, Massimo? – Alessandro domandò.
- Io vado a vestirmi e vi lascio accomodare.
Massimo si girò e si diresse in camera continuando ad asciugarsi la testa senza preoccuparsi minimamente di coprire il resto del corpo. La sera prima, Marco lo aveva costretto a stare seduto sul divano e ascoltare tutte le sue direttive su cosa fosse o non fosse permesso fare durante il soggiorno di Alessandro. Andando su e giù per la stanza con passo marziale, aveva fatto un lungo elenco e si ricordava bene di aver pronunciato "doccia con la porta chiusa". Marco avrebbe dovuto avere almeno qualche sospetto che Massimo non lo stesse ascoltando per niente, perché passò tutto il tempo a studiare le proprie pellicine alle dita e a toglierle con la bocca.
Fiato sprecato!

La metafisica delle bananeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora