Rientri.

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"Lele, sono qui!" Urlai entrando nella stanza senza bussare.
Lo trovai seduto sul letto col telefono in mano, a malapena alzò lo sguardo, prima di dire un semplice: "Lo vedo."
"Madonna, che allegria!"
Mi fiondai sul suo letto ridendo, con l'intenzione di salutarlo per bene, in fondo non ci vedevamo da due settimane. "Dài, Lele, lascia 'sto telefono!" Provai a portare la sua attenzione su di me, ma lui mi ignorò completamente, continuando a giocare col cellulare. Sembrava un bambino arrabbiato.
"Stasera 'n è serat, Elodie."
Bastarono queste poche parole a farmi desistere dall'idea di avvicinarmi. "Cazzo, iniziamo bene l'anno, eh! È arrivato mr. Simpatia."
"Mr. Simpatia stava in camera a farsi i fatti suoi, sei tu che sei venuta qua."
Non so se furono le parole o il fatto che non si degnasse nemmeno di staccare gli occhi dal telefono mentre mi allontanava, ma sentii la rabbia montare in me. "Ma che hai? Sono fredda e ti lamenti, vengo da te senza nemmeno cambiarmi dopo sei ore di viaggio e pare che t'ho fatto un torto. Ma fai un po' pace col cervello, ché non posso stare ai comodi tuoi!"
"Il problema è che tu stai solo ai tuoi comodi!" Finalmente posò il telefono e così facendo si privò dello scudo che aveva usato fino a quel momento. "Non ti sei fatta sentire per due settimane, gli auguri di capodanno me li hai fatti per scambio, giusto perché stavo con Gabriele quando l'hai chiamato, poi torniamo in hotel e vuoi passare a baci e abbracci, ma pe' chi m'e pigliat? Se avevi bisogno di affetto te ne potevi stare col tuo ragazzo questi altri tre giorni, 'e fatt trenta, faciv trentun."
Sentii un peso all'altezza dello stomaco, se non l'avessi preso a pugni quella sera, non l'avrei fatto mai più. Per una volta, una singola volta in cui mi ero esposta, in cui mi ero sentita pronta a dare e chiedere un minimo d'affetto, mi vedevo rifiutare così. E la cosa peggiore era che Lele aveva le sue ragioni per comportarsi in quel modo, ma non volevo dargliela vinta e mi aggrappai alle sue ultime parole per poter ribattere.
"È questo il problema? Che sono stata con Andrea in queste due settimane? Che te devo di', Lele, se preferisco passa' il tempo col ragazzo mio invece che co' te?"
"Niente, non mi devi dire niente, però non devi nemmeno venire a fare la carina quando ci sono solo io a farti compagnia..."
Non potevo e non volevo sentire una parola di più. "La carina quando ci sei solo tu...? 'A bello, ma te sei rincoglionito in queste vacanze? Ma vedi te se devo sopportare 'sti scleri..."
Senza lasciargli alcun tempo di replica mi alzai e uscii sbattendo la porta alle mie spalle.
Mi chiusi nella mia stanza e iniziai in fretta a svuotare la valigia, se volevo evitare di rovinarmi la serata -più di quanto già non fosse distrutta-, dovevo tenermi occupata.
Piegai e ripiegai i vestiti, ordinandoli per colore e per tessuto, cercando di ignorare il malessere che mi pesava sul petto. Mi sentivo arrabbiata, delusa, rifiutata e, più di tutto, percepivo il bisogno di non sentire più nulla. Ero arrivata al residence pronta a passare una serata di rimpatrio con Lele, dato che i rispettivi compagni di stanza non sarebbero arrivati prima di un paio di giorni, ero pronta a sentire i racconti del suo capodanno, dei suoi imbarazzanti pranzi in famiglia e invece mi trovavo chiusa in camera, da sola e con la voglia di prendere a pugni il muro. O Lele. O me stessa.
Quando sentii bussare alla porta mi balenò in mente, tentatrice, l'idea di non aprire, ma la speranza di trovare dietro quel pezzo di legno un minimo di tranquillità -o forse l'ennesima lite che mi avrebbe permesso di sfogare la mia rabbia- mi spinse ad alzarmi.
Dietro la porta trovai Lele, il solito quadernino nero, con matita annessa, in una mano e l'ipod bianco nell'altra. Me ne tornai sul letto senza dire una parola, lo sentii chiudersi la porta alle spalle e sedersi sul letto di Gessica.
Qualunque fossero le sue intenzioni -chiarire, discutere o far finta di nulla-, volevo che fosse lui a fare il primo passo.
Chiaramente non avevo tenuto in considerazione la mia scarsa pazienza e il mio terribile istinto, che, dopo una prima mezz'ora di silenzio, passarono all'attacco.
Osservai Lele chino sul quadernino, una cuffia nell'orecchio e l'altra che gli penzolava sul petto. Aveva l'espressione concentrata che caratterizzava il suo viso ogni volta che scriveva, le sopracciglia aggrottate, la bocca leggermente aperta e la lingua tra i denti.
"Se mi stai scrivendo una canzone in cui mi insulti in inglese per poi lasciarmela sul comodino quando hai finito, evita."
Seguirono altri minuti di silenzio, non che mi aspettassi una risposta.
"Mi spieghi che è successo prima? Oppure vuoi far finta di non sentirmi?"
Continuò imperterrito a scrivere.
"Credi di poter ottenere qualcosa così? Vuoi davvero che parli da sola?"
Provai ad attendere una risposta, a tenere la bocca chiusa, ma mi risultava davvero impossibile.
"Ma vedi te se devo star appresso a un ragazzetto bisognoso di attenzioni... è questo, no? Sei arrabbiato perché non mi so' fatta senti'."
La sua espressione non cambio minimamente, ma il movimento della matita sul figlio stava rallentando. Avevo la sua attenzione.
"Non lo so manco io perché non mi so' fatta senti', ma nemmeno tu mi hai scritto! Hai preso la mia battuta di quando ci siamo salutati e l'hai trasformata in una sfida e io non posso stare appresso alle tue paranoie, già le mie so' di troppo!"
Vidi un piccolo sorriso formarsi sul suo viso. Ormai ero un fiume in piena: era riuscito nel suo intento.
"Ché poi io t'ho pure chiamato a Capodanno, ma avevi il telefono spento, chissà quanto stavi ubriaco!"
Chiaramente questa non se l'aspettava, chiuse la bocca e spostò leggermente la testa di lato.
"E, visto che adesso mi sto a loda' da sola, sono tornata prima perché Gabri mi ha avvisato che saresti rimasto da solo qui fino a sabato e visto che tanto co' Andrea ce stavo a litiga' da una settimana..."
Troppo presa dai miei deliri, che stavano sconfinando più nel personale di quanto avessi programmato, spostai lo sguardo imbarazzato verso la finestra.
Prima che potessi accorgermene, sentii il peso di Lele poggiarsi sul mio letto e le sua braccia mi circondarono. "È bello rivederti."
"'Sti cazzi, è bello rivedermi, se non ti stacchi ti piglio a schiaffi."
Ma tutta la credibilità delle mie parole si perse quando scoppiai a ridere e ricambiai il suo abbraccio, lasciandogli qualche piccolo schiaffo sulla schiena.
Restammo così, finalmente tranquilli, l'uno tra le braccia dell'altra, dei sorrisi sereni che in qualche modo riuscivano a non stonare con le ultime due ore di liti e silenzi.
Quando Lele cominciò ad accarezzarmi la schiena, facendomi sospirare, sentii però il bisogno di mettere un po' di distanza tra di noi. "Mo' non t'allarga'!" provai a scherzare, staccandomi dal suo corpo e appoggiandomi con la schiena alla testiera del letto, ripresi a guardare fuori dalla finestra col petto decisamente più leggero di un'ora prima.
Lele mi osservò per un po' in silenzio, non un minimo di imbarazzo gli solcò il viso quando lo sorpresi a fissarmi, la solita sicurezza nello sguardo troppo maturo per la sua età.
Tra i due sembrava lui il più grande, i suoi occhi su di me mi misero subito in agitazione, erano... troppo, ma allo stesso tempo non riuscivo a trovare qualcosa da dire per allontanare la sua attenzione da me.
"Mi sarebbe piaciuto se fossi venuta a Napoli.", per fortuna ci pensò a lui a rompere il silenzio, senza però staccare gli occhi dal mio viso.
"Mi sarebbe piaciuto venire a conoscere tuo fratello." Ancora un tentativo di spostare l'attenzione su qualcos'altro.
"Mi sarebbe piaciuto se fossi venuta a passare del tempo con me."
Mi si bloccò il respiro, chissà perché una frase che avrebbe potuto avere un significato tanto innocuo, in quel momento mi facesse quell'effetto. "Lele..."
Il suo sguardo saettò veloce verso i miei occhi, mentre si passava velocemente la lingua sulle labbra secche a causa del freddo. "Che c'è?"
"Mi stai mettendo a disagio."
E bastò quello.
Per rompere l'atmosfera Lele scoppiò a ridere e cominciò a raccontarmi dei regali che aveva avuto per il compleanno e di una ragazza che l'aveva fermato a Napoli e gli era scoppiata a piangere davanti, lasciandolo tremendamente interdetto.
Le nostre risate in pochissimo tempo riempirono la stanza e la serata che avevo programmato nella mia testa si presentò ancor più divertente del previsto.
Tra le storie assurde e i contenitori delle pizze che ordinammo un paio d'ore più tardi, mi trovai a maledire affettuosamente quel ragazzo -molto più uomo di quanto mi piacesse ammettere- per la sua capacità di farmi perdere la pazienza e trovare una bolla di tranquillità, il tutto nella stessa serata.

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