Sospiri.

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Avvicinai la sigaretta alle labbra, cercando di placare la rabbia che mi aveva fatto venire Benedetta in soli due minuti di conversazione. C'erano momenti in cui sembrava simpatica, ma poi se ne usciva con frasi che mi faceva dubitare avesse un cervello, proprio come era successo quella sera.
Mi sedetti su uno dei gradoni davanti al ristorante in cui stavamo passando la serata.
Mentre cenavamo e parlavamo di quanto ci mancasse Gessica, Benedetta aveva fatto un commento sul fatto che in fondo dovevamo essere felici dell'uscita di Gessica, che un ballerino in meno significava più possibilità di esibirsi.
Da quando Gessica aveva lasciato la scuola, due giorni prima, mi sentivo costantemente sul punto di scoppiare, ero irritata e, me ne rendevo conto, insopportabile, Benedetta mi aveva solo fornito lo spunto giusto per farmi arrabbiare. Se non fosse stato per la mano di Lele che si era posata sulla mia gamba, accarezzandola lentamente, avrei potuto urlarle in faccia quanto piccolo fosse il suo cervello. Ma quel gesto, così semplice e così attento, mi aveva fatto sgonfiare come un palloncino, lasciandomi solo il bisogno di allontanarmi da Benedetta. E così avevo fatto, uscendo fuori a fumare.
Sentii qualcuno sedersi dietro di me, appoggiando il petto alla mia schiena e prima ancora di sentire le braccia che si stringevano intorno al mio corpo, seppi di essere stata raggiunta da Lele.
"Quanto me fa sbrocca' Benedetta..." sputai fuori col fumo, in un sussurro nervoso.
"Ti manca Gessica, eh?"
Il suo cambio d'argomento mi disturbò, io volevo soltanto sfogarmi con qualcuno sull'idiozia di Benedetta e Lele era subito partito in modalità psicologo. In quei due mesi non aveva minimamente perso il suo desiderio di guardare nelle cose, sempre alla ricerca di qualcosa di più profondo.
"No, è solo quell'idiota che mi innervosisce."
"Sicura sia solo questo?"
Annuii convinta e lo sentii muoversi dietro di me.
"Allora torniamo dentro, dài."
Lo afferrai velocemente per i polsi e riportai le sue braccia intorno a me, impedendogli di allontanarsi. "Restiamo qui un altro po'.", lo sentii sorridere alle mie spalle, stringendomi per mettersi in una posizione più comoda. "È brutto non averla tra i piedi in qualsiasi momento della giornata, anche se ci vedremo tra un paio di giorni e ha promesso di venirci a trovare ogni volta che può, è comunque... triste."
"La conosci meglio di me, sarà più tempo da noi al residence che a casa sua! E adesso che Chiara viene a dormire da te, ti sentirai meno sola..."
Annuii spegnendo il mozzicone con la scarpa e guardando le macchine veloci che passavano a pochi metri da noi, sperai fortemente avesse ragione.
Dopo qualche minuto sentii le labbra calde di Lele poggiarsi sul mio collo. Non era un bacio, erano solo lì, ferme.
Sospirai, chiudendo gli occhi a quel contatto che sembrava infinitamente intimo.
Nell'ultima settimana si erano presentate tantissime occasioni del genere, sentivo il bisogno di stare a contatto con lui, ogni suo piccolo tocco mi calmava, mi ricordava di respirare.
Le sue labbra si spostarono piano sulla mia spalla lasciata scoperta dalla maglia, lasciando una scia di baci, senza staccarsi mai dalla mia pelle.
Questi momenti erano sempre troppo brevi, dopo qualche secondo la mia mente ripartiva e mi rendevo conto di come ci fosse qualcosa che non andava nel nostro rapporto, sentivo il bisogno di mettere spazio tra i nostri corpi per evitare che i miei pensieri fossero contaminati dal suo odore, dalla sua pelle.
Mi voltai verso di lui e lo trovai così vicino che pensai davvero che quella volta non sarei riuscita ad allontanarmi. I suoi occhi caldi, che solo in quei momenti mi sembravano insicuri, rendevano il tutto tremendamente difficile.
"Lele..." sussurrai piano, incerta su come continuare.
Lo vidi a pochi centimetri dal mio viso e l'unico modo per riazionare il mio cervello mi sembrò quello di chiudere gli occhi, solo così riuscii ad allontanarmi di qualche altro centimetro prima di voltarmi verso la strada.
Sentii il suo sospiro caldo accarezzarmi la spalla sulla quale posò la fronte, scuotendo piano il capo. "M faje asci' pazz."
"Quante volte devo dirti no per farti desistere?", usai un tono canzonatorio per mascherare le sensazioni che quei momenti scatenavano in me.
"È questo il punto: mi dici tante cose, ma non mi dici mai di no."
Si alzò e, senza dire un'altra parola, mi prese per mano, riportandomi dentro dagli altri.

I passi di Chiara che si allontanavano sulle scale mi diedero il via libera per far sparire il sorriso che avevo finto per tutta la serata. Era stata una giornata emotivamente impegnativa e mi sentivo stanca, con un bisogno impellente di andare a letto, ma nessuna voglia di salire in camera e rischiare di incontrare qualcuno.
Una raffica di vento mi colpì e mi strinsi nel mio cappotto grigio, ripensando alle parole che erano volate nel pomeriggio e, come fruste, erano andate a colpire nervi scoperti che avevo provato ad ignorare in tutti i modi.
Vidi Lele camminare a passo svelto verso l'hotel, probabilmente cercando di non congelare prima di raggiungere l'ingresso, aveva passato la domenica fuori con degli amici venuti da Napoli. Quando mi vide, senza un attimo di esitazione, deviò e mi raggiunse sulla panchina, prendendo posto accanto a me.
"Vattene, Lele."
In questo momento era l'ultima persona con cui volevo stare, non riuscivo nemmeno a guardarlo e la sua vicinanza mi faceva bruciare ancor di più gli occhi stanchi.
"Mi dispiace che vi siate lasciati." Ovviamente ignorò le mie parole.
Mi uscì una risata che, più che amara, suonava divertita. "Non dire cazzate, dài."
Si irrigidì al mio fianco, potevo chiaramente sentire il suo cervello lavorare e persino quel silenzio troppo pieno di parole non dette iniziò ad infastidirmi.
"Vattene, Lele." Ripetei piano, cercando di suonare più convincente.
"Mi dispiace vederti così."
Incurvai verso l'altro gli angoli della bocca in un piccolo sorriso stanco. "Sei già più sincero."
Non mi lasciò nemmeno finire di parlare. "Mi fa piacere che ti sia decisa a lasciarlo, che tu possa finalmente pensare a cosa vuoi senza la sua ombra fissa, mi fa piacere che tu possa far spazio a..."
Gli posai una mano sulle labbra, voltandomi verso di lui. "Troppa onestà."
Mi stava dicendo cosa che sapevo, ma alle quali cercavo di non pensare da ore, giustificando il mio malumore con la rottura.
Lasciai cadere la mano dal suo viso quando mi resi conto di essere rimasta lì, a premere sul suo sorriso.
Lele si prese un po' di tempo per osservarmi, gli occhi stanchi, la fronte corrugata, le labbra strette, il corpo chiuso nel cappotto, le gambe accavallate, come uno scudo.
"Si gela, vieni con me in camera?" Si mise in piedi, tendendomi la mano. Notò le mie sopracciglia inarcate e si affrettò ad aggiungere "C'è anche Gabri.", aspettando una mia risposta.
Mi alzai e, evitando accuratamente la sua mano, mi diressi verso l'hotel.
Gabriele avrebbe sicuramente saputo come farmi distrarre e, forse, la presenza di Lele non sarebbe stata così pensante, mitigata dalle risate del compagno di stanza.

Quando mi misi a letto e con gli occhi che si chiudevano guardai le foto che mi aveva mandato Lele, mi sentii tremendamente felice di aver passato la serata in loro compagnia. Quasi tutte le foto riprendevano me e Gabriele con espressioni assurde mentre lui mi faceva fare mille prese e giravolte sull'intero cd di Beyoncé che avevamo ascoltato. Avevamo anche videochiamato i gemelli, fratelli di Gabriele, che mi avevano pregato di andare a Napoli a trovarli presto. Lele si era subito illuminato e aveva promesso al posto mio che sarei andata, facendo urlare di gioia i piccoli e Giorgia si era subito raccomandata "Portacela tu, Lele!". Nel vedere i miei occhi strizzati e le guance rosse per le tante risate nelle foto, mi sentii per la prima volta in tanto tempo grata. Grata per tutto il tempo che Lele e Gabriele spontaneamente mi concedevano, grata perché mi facevano sentire una persona per la quale valeva la pena restare chiusi in camera mentre tutti uscivano per andare a divertirsi.

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