Purezza.

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Chiusi la porta che dava sul balcone e tornai in camera, posando il telefono sulla scrivania e aprendo i cassetti dell'armadio.
"Amo', tra poco vengono i miei amici e ci andiamo a fare un giro. Per te va bene?"
Per quanto mi avesse fatto piacere l'invito di Ada ad uscire, prima avevo bisogno di una doccia calda che mi sciogliesse i muscoli tesi, gli ultimi giorni erano stati pesantissimi e la mole di lavoro sembrava solo aumentare.
Mi iniziai a spogliare e Lele alzò lo sguardo su di me. Era seduto sul mio letto, con davanti i testi dei pezzi da preparare per la registrazione. "Mi chiedi il permesso?! Basta che dopo vieni a dormire da me."
Le sue parole mi lasciarono interdetta. "È normale che vengo a dormire da te, che è, uno scambio di favori?"
"Eh? Non ti sto capendo." L'espressione confusa di Lele mi fece capire che chiaramente quella conversazione non stava andando da nessuna parte. Una risata stanca mi sfuggì dalle labbra, dovevamo esserci persi alla base, esausti com'eravamo dopo aver passato tutta la giornata a provare.
"Per te va bene se tra una mezz'ora ci andiamo a fa' un giro cogli amici miei?" Ripetei scandendo bene le parole.
"'Ci andiamo'? Pur ij?"
Dal tono non sembrava molto entusiasta della mia proposta e quel suo tentennare mi irritò più di quanto mi piacesse ammettere. "Lascia stare, io non ti ho detto niente, ci vediamo quando torno." Mi voltai velocemente, andando verso il bagno.
Una mano di Lele mi bloccò per il polso. "Aspett, mica ho detto di no?"
Lo guardai con aria scocciata, attendendo che continuasse, non volevo forzarlo a fare nulla, ma la mia non mi era sembrata una proposta così assurda e non capivo perché si stesse facendo problemi ad accettare.
"Certo che voglio venire, non avevo capito che l'invito era anche per me e mi è venuta l'ansia, devo fa' bella figura coi tuoi amici!"
Il suo tono di voce preoccupato e i suoi occhi che continuavano a saettare verso il mio corpo coperto solo dall'intimo erano così in contraddizione da strapparmi un sorriso, che cercai inutilmente di nascondere.
"Ah, ti faccio ridere, nè?" Lele mi prese tra le sue braccia, stringendomi a lui e baciandomi il collo tra le risate, mentre le sue mani mi accarezzavano la schiena nuda. "Secondo te, t facc ij a te sol quando posso venire pure io?"
"No, non sia mai che vada in giro a fare conquiste..." Lo presi in giro, quando i suoi baci si trasformarono in piccoli morsi.
"Che faj tu? Le conquiste?"
Allontanai il suo viso dal mio collo e lo guardai negli occhi, cercando di rimanere seria. "Se tu non vuoi uscire coi miei amici, devo trovare qualcun altro..."
Le sue sopracciglia si inarcarono e Lele rimase a fissarmi il silenzio per qualche secondo. "Vatti a lavare, che è meglio!"
Quando provò ad allontanarsi, mi strinsi nuovamente a lui, lasciandogli una scia di baci veloci sulla mandibola, un mio personale modo di scusarmi, per dirgli che no, non volevo nessun altro, anche se provocarlo era una delle cose che mi divertiva di più. "No, dài, restiamo un altro po' così."
"Prima dici che vuoi un altro e poi mi chiedi i baci? 'n s fa' accussì."
Non diedi retta alle sue parole e continuai a baciargli il collo lentamente, mentre le mie mani gli accarezzavano la schiena sotto la felpa.
"Amo'..." Nella voce di Lele c'era un chiaro ammonimento, che io ignorai, continuando a far vagare le mie mani sulla sua pelle.
Quando sentii che Lele stava iniziando a cedere al mio tocco, portando una mano sul mio collo, mentre l'altra mi era andata a stringere un fianco, spingendomi verso il letto, mi staccai da lui e gli lasciai un bacio veloce sulle labbra, prima di correre, divertita verso il bagno.
"Tu sei satana. Dillo che ti piace torturarmi!" Si lamentò Lele dalla stanza, inveendomi contro e io tra le risate mi buttai sotto la doccia.

"Io a diciott'anni non sapevo manco anda' in bici e tu sai suonare 3-4 strumenti. A chi tanto e a chi niente..."
Risi di come il mio amico Flavio sembrasse seriamente affascinato da Lele -non che la cosa mi sorprendesse, in fondo ero io stessa la prima vittima del suo incredibile fascino.
"Diciannove." Si affrettò a correggerlo Lele, facendomi ridere ancor di più.
"Va be', lo facevi pure a diciotto anni, amo'!" Una mia mano corse ad accarezzargli i capelli sulla nuca, come per rassicurarlo che i miei amici non fossero lì per giudicarlo. Ovviamente Lele era già dieci passi avanti a me, per nulla intimorito da Ada e Flavio, anzi, in quella mezz'ora aveva parlato più lui di me, che invece mi perdevo ad osservarlo più spesso di quanto fosse lecito.
"Sì, ma papà Roberto che dice di 'sta storia?"
Mi voltai di scatto verso Ada, colta alla sprovvista dalla domanda. "Nulla, non lo sa..."
La mia amica mi fissò sorpresa per qualche secondo. "Amo', ma state in televisione, se non l'hai capito, mica è come quando stavi a seicento chilometri di distanza e gli potevi tene' le storie segrete per mesi."
Anche Flavio sembrava essere d'accordo con Ada e annuiva ad ogni sua parola. "Se ce scappa un bacetto e vi pigliano le telecamere che gli dici poi?"
Aprii la bocca e, come mi era successo poche altre volte nella vita, non ne uscì nulla, non sapevo davvero cosa rispondere.
Lele mi prese velocemente una mano tra le sue e me la accarezzò piano. "Va be', mica ci dobbiamo baciare per forza a scuola! Quann c ven genij glielo diciamo, con calma. No, amo'?"
Annuii, ma nella mia testa si era attivato una sorta di ronzio, rimasi ad ascoltare i miei amici che conversavano e improvvisamente tutto iniziò a infastidirmi. Persino il fumo della mia sigaretta mi sembrò far mancare l'aria e la spensi a metà, sotto lo sguardo interdetto di Ada. Ogni parola che rivolgevano a Lele mi urtava, non volevo che gli parlassero, non volevo che Lele fosse lì, non sopportavo di sentire la sua, le loro risate.
Cominciai, in maniera abbastanza infantile, ad interromperli ogni qual volta si rivolgessero a Lele, facendo loro domande che li portassero a dimenticarsi della precendente conversazione con lui. Bloccai ogni tentativo di Lele di comunicare con loro, attirando continuamente l'attenzione su di me.
Quando Ada e Flavio ci riaccompagnarono in hotel, quasi corsi per raggiungere la mia stanza, mi sembrava di aver vissuto le ultime due ore in apnea.
A pochi metri dalla mia meta, Lele mi afferrò per un braccio, fermandomi. "Ma s po sape' che t ven?"
Mi voltai a guardarlo con gli occhi sgranati, il fiato bloccato in gola.
"Hai parlato solo tu pe' n'or e mo' stai zitta?"
Le parole di Lele mi arrivavano ovattate, mi sentivo il petto in fiamme, avrei voluto mandarlo a quel paese, scappare dai suoi occhi lucidi di frustrazione, ma non riuscivo ad allontanarmi. Riuscii solo ad appoggiarmi alla parete alle mie spalle e lentamente mi lasciai scivolare a terra, gli occhi fissi sul pavimento.
"Amore, che succede, stai bene?" Il tono di Lele era passato dalla rabbia alla preoccupazione in un attimo. Mi posò una mano sotto il mento, alzandomi il viso verso di lui, che si era inginocchiato davanti a me.
Quel contatto sembrò darmi la forza di parlare. "Lele, vattene, ti prego, non voglio discutere."
Ovviamente la mia debole richiesta fu ignorata. "Posso capire che è successo?"
Quando il mio sguardo si decise ad incontrare il suo, nel vedere la tristezza che gli stavo causando, mi sentii nuovamente mancare il respiro e i miei occhi si riempirono di lacrime. "Non ce la faccio. Non ce la faccio, Le', è tutto troppo. È tutto veloce e non riesco a stare dietro a nulla." Riuscivo solo a farneticare, mentre il mio viso si bagnava di lacrime che Lele andò prontamente a raccogliere col suo tocco delicato.
"Amore, va tutto bene, capito?"
Il fatto che, nonostante l'avessi trattato così male per tutta la serata, cercasse di calmarmi, mi fece stare ancora peggio. Non meritavo nemmeno un minimo della sua dolcezza.
Scossi il capo, cercando di placare le lacrime e Lele continuò ad accarezzarmi il viso finché non riuscii nuovamente a parlare. "Io ho bisogno di tempo, non ce la faccio. Mi sembra di sentire troppo, non so cosa fare, ho bisogno di tempo." Continuai a ripetere quelle quattro parole, mentre Lele mi guardava con uno sguardo pieno di preoccupazione e dedizione.
"Avrai tutto il tempo del mondo, capito? Avremo tutto il tempo del mondo."
La sua voce era così sicura che per qualche secondo mi concessi di credere alle sue parole.
"Non dobbiamo dirlo a nessuno, non dobbiamo nemmeno dare un nome a quello che siamo. Chiaro?"
Annuii, tenendo i miei occhi fissi nei suoi, e mi lasciai cullare dalle sue parole, perché erano proprio ciò che avevo bisogno di sentire. Mi chiesi ancora una volta come facesse a sapere sempre quale fosse la cosa giusta da dire, la cosa giusta per me.
"Non abbiamo bisogno di nessuna definizione, ci siamo solo noi e, se vorrai, continueremo ad esserci ancora per molto. Andremo piano - pianissimo, se ce ne sarà bisogno." Il tono con cui lo disse, come se stesse raccontando una fiaba ad un bambino, mi fece sorridere. "Nessuno ci corre dietro, prendiamoci il nostro tempo per capirci, per costruire i nostri giorni insieme, okay?"
Annuii ancora, lasciando che Lele mi asciugasse le guance rigate di lacrime con le sue mani calde e mi prendesse tra le sue braccia, portandomi in camera.
Non avevo bisogno di parlare, aveva detto lui tutto ciò che avevo bisogno di sentirmi dire.
Sentii il mio petto gonfiarsi e stavolta non era per l'ansia o l'angoscia. Lele, con la sua dolcezza e la sua razionalità, era tutto ciò che non mi ero mai concessa nella vita, conosceva il modo giusto per parlarmi, per accarezzarmi, per darmi il tempo di cui avevo bisogno.
Mentre con mani leggere e sicure mi spogliava e con l'acqua calda della doccia mi lavava via il trucco sciolto dalle lacrime, Lele non mi stava ammonendo per essermi comportata male quella sera, mi stava insegnando che avevo diritto di stare male, che avevo diritto di piangere, avevo diritto di provare tutto ciò che stessi provando in quel momento, mi stava insegnando a non aver paura di chiedere, a non aver paura di mettere ciò che provavo io davanti a ciò che provavano gli altri.
Lele quella sera, con il suo tocco delicato e i suoi occhi sinceri, mi stava insegnando a volermi bene.

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