Il ragazzo dalla pelle color cioccolato

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Mi ritrovai in una stanza bianca, fredda.

Ero distesa su un letto molto piccolo, con le lenzuola di un colore azzurro spento.

Ero pallida in viso, avevo una fascia sulla testa.

Davanti a me c'era un ragazzo con la testa piegata.

 Piangeva.

Era Paul.

"Lexy..finalmente" disse alzando gli occhi verso di me "sono dodici ore che dormivi"

 'E tu sai dirmi solo questo?'

'Dormivo' perché TU mi avevi picchiata. Perché tu eri ubriaco.

Non lo riconoscevo più.

Il Paul di cui mi innamorai non era sicuramente quello seduto vicino a me o quello della sera prima. Era sparito senza preavviso, aveva fatto i bagagli e aveva abbandonato quelli che erano i nostri progetti, la nostra vecchia vita, quel che potevo definire 'il nostro piccolo amore'.

Non riuscivo a guardalo in faccia. Aveva gli occhi rossi, forse per il pianto, ma guardandoli mi ritornarono in mente i suoi pieni di odio mentre scaricava la sua rabbia su di me.

 Mi ritornavano in mente le parole che mi dedicò.

"Bastarda!" riecheggiò nella mia testa.

"Non sono il tuo burattino!"

"Perché non sei come Monica!"

Non riuscivo più a capire nulla, avevo un dolore alla testa lancinante, che non mi permetteva di ragionare. Non riuscivo a capire se quello della sera prima era veramente il mio Paul, o se quel che aveva detto lo pensava veramente.

Così, nella confusione più totale, dissi: "vattene."

Una parola.

Esattamente sette lettere, ma la parola più fredda e acida che possa esistere. E in un quel momento non era un "vattene" inteso come "esci dalla stanza e lasciarmi sola",

ma era un "vattene" inteso come "lasciami stare, esci per sempre dalla mia vita."

"Lexy, io.."

"esci e basta."

Lui obbedì senza lamentarsi, almeno aveva capito che tanto sarebbe stato inutile.


Passai una mezz'oretta a piangere, pensando che prima o poi Paul sarebbe tornato, sarebbe tornato a chiedermi scusa, a dirmi che non era lui ieri sera, a dirmi che mi amava, che voleva stare con me.

Improvvisamente la porta della stanza si aprì.

E lui entrò.

Lo riconobbi dalla felpa grigia, oppure semplicemente dal fatto che avesse il cappuccio alzato.

Era diverso da come lo avevo immaginato: aveva i capelli ricci, neri, gli occhi verdi e le labbra carnose.

Aveva la pelle color cioccolato.

 Era il ragazzo del locale.

"Ehi.." disse, abbozzando un timido sorriso.

"Stai meglio?"

"..si, si grazie" dissi sistemandomi sul lettino.

"Che ci fai qui?" potevo sembrare acida, ma dovevo saperlo.

"Ieri, quando al locale la cosa stava diventando seria, non potevo stare fermo a guardare. Quello stronzo ti stava ammazzando." disse.

La sua voce era calda, affettuosa. Dall'accento si sentiva che era straniero.

"Mi hai portata tu qui?" dissi.

 Il suo profumo stava riempendo la stanza. Era un mix di sudore e menta; ma su di lui era buonissimo.

"Si...spero non ti dia fastidio" rispose, avvicinandosi al mio letto.

"Come ti chiami?" lo guardai negli occhi.  Aveva gli occhi più strani che avessi mai visto: erano verde acceso, ma se ti avvicinavi notavi delle sfumature di blu, i contorni marroni e alcune punte di nero.

"Kyle" rispose sorridendo. Aveva i denti bianchissimi e perfettamente dritti.

"Lexy" gli porsi la mia piccola manina minuta.

 Lui la prese, la strinse e rispose:

"Piacere, piccola Lexy."


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