Libertà d'illusione

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Dritta. Immobile. Non emettere un fiato.
-Matricola 53, avanti!- grida il commissario seduto al banco.
Un ragazzo di non più di vent'anni rompe le righe e comincia a muoversi con passo meccanico.
Rigida. Impassibile. Non farti prendere dal panico.
-Matricola 54, avanti!-
Questa volta è una donna a spostarsi.
Ho paura. Non posso farcela.
Tranquilla. Rimani in fila. Mantieni lo sguardo fisso. Comportati come tutti gli altri. Andrà bene.
Mi scopriranno. E poi diventerò come loro.
-Matricola 55, avanti!-
Bocca chiusa e mente vigile. Non è il momento di perdersi nella follia ignobile in cui si sprofonda a causa del terrore.
Vorrei urlare.
Fai silenzio.
Vorrei gridare.
Fai silenzio.
Non parlare.
Non pensare.
Non è il momento adatto.
Tra poco è il tuo turno
-Matricola 56, avanti!-
Smetto di respirare. Poi, avanzo. Lo sguardo alto ed atarassico, le membra rigide. Mi avvicino, sempre di più, finché non raggiungo anche io il banco del commissario. L'uomo seduto alla scrivania non mi guarda: i suoi occhi sono chinati sul foglio che tiene in mano.
-Nome d'origine?- domanda ad un operatore che si trova in piedi di fianco a lui.
-Cassandra Borgogni.- risponde l'ufficiale.
-Età?-
-Venticinque anni.-
-Provenienza?-
-Italia.-
Il commissario ripone il foglio e mi scruta da sopra gli occhiali.
Respira, respira, respira.
-Come è andato il... resettaggio?- chiede afferrando la montatura e sfilandosela con una mano, continuando a fissarmi.
Non oso abbassare nemmeno le palpebre.
-Diciamo bene, anche se è risultato molto più difficile rispetto agli altri campioni. La sua individualità continuava a riaffiorare, nonostante i nostri sforzi. Sono serviti diversi trattamenti.-
-Capisco-
Il commissario si rimette gli occhiali e si alza in piedi.
Si avvicina a me.
Mi gira intorno.
Digrigno i denti.
Fa un altro giro.
Sento perle di sudore coronarmi la fronte.
-Capisco- ripete.
Ha la testa reclinata da un lato con fare inquisitorio.
Non ti muovere. Non ti muovere.
-Siete quindi sicuri al cento percento? Non voglio avere altri problemi.-
L'ufficiale raddrizza la schiena e solleva il mento.
-Certo, signore.-
Dopo avermi lanciato un'ultima occhiata veloce, il commissario si dirige nuovamente verso la sua postazione.
-Molto bene, portatela via.-
Due uomini mi afferrano per gli avambracci e mi conducono verso una porta che si trova alla mia sinistra.
-Matricola 57, avanti!- sento gridare alle mie spalle.
Continuo ad essere spinta in avanti e non posso ribellarmi.
Giungiamo in una stanza. Bianca.
Su un tavolo davanti a me si trovano delle divise grigie. I due uomini mi lasciano andare e tornano indietro. Intuendo cosa devo fare, mi avvicino per prendere gli abiti. Guardo sempre dritto davanti a me. Ogni mio movimento è calcolato.
Non puoi permetterti nessun errore.
Lo so.
Aggiro il tavolo e mi unisco al gruppo di persone che trovo poco più in là.
Le vedo che si spogliano, abbandonano i loro vestiti sul pavimento candido ed indossano la divisa. Così, imitando ogni loro gesto, faccio lo stesso: mi sfilo gli sporchi e logori abiti, con noncuranza li lascio cadere, mi copro del grigio tessuto. Ritorno in posizione eretta e , mentre aspetto, cerco di scrutare il più possibile il luogo in cui mi trovo. Non vi sono finestre, ma solo due porte. Telecamere monitorano ogni nostro movimento. Uomini, donne e bambini sono sparsi in tutta la stanza.
Com'è possibile che tutte questa gente, il mondo intero, sia caduto nell'oblio?
Com'è possibile che solo io tra tutti sia rimasta lucida?
O forse, sono io l'unica ad essere matta?
Smettila di perderti nei meandri della tua mente. Sei qui per un motivo preciso.
È vero.
Comincio a guardarmi intorno con movimenti piccolissimi.
Non la vedo.
E se non fosse qui? Se fosse troppo tardi?
Non arrenderti così prematuramente! Cerca ancora!
Esamino una seconda volta lo spazio.
Mi soffermo su ogni singolo volto. Ancora una volta però non riesco a trovare il suo.
Allungo in modo impercettibile il collo, riuscendo così con lo sguardo a scavalcare le cinque persone che si trovavano davanti a me. Finalmente scorgo l'esile e minuta figura di mia sorella. Anche lei, come tutti gli altri, rimane dritta ed impassibile.
Le avranno resettato la mente oppure starà fingendo come me? Non riesco proprio a capirlo.
Continuo a fissarla nella speranza che si accorga della mia presenza, ma invano.
Vorrei chiamarla.
Il flebile sussurro del suo nome mi muore tra le labbra.
Non posso.
Metterei in pericolo sia lei che me stessa.
All'improvviso, tutti incominciano a camminare e si mettono in fila. Mi sposto come gli altri, cercando di avvicinarmi il più possibile a mia sorella. Un po' calcolando le mie mosse, un po' grazie al caso, riesco a posizionarmi esattamente dietro di lei.
Di nuovo fermi.
C'è silenzio.
Poi cominciamo a camminare, ordinatamente verso la seconda porta che conduce ad una nuova stanza.
Il suono marcato e regolare dei passi mi dà l'opportunità di tentare un approccio diretto.
-Rebecca-
Non si volta. Sembra non sentirmi.
-Rebecca- provo più forte, ma è inutile.
Uno per uno, tutti cominciano ad attraversare la porta.
Devo sbrigarmi finché non ci sono guardie e sorvegliare l'area.
-Rebecca!-
Allungo il braccio per sfiorarle la mano con la speranza che quel contatto possa risvegliarla da quello stato di trance.
Ma commetto l'errore più grande.
In men che non si dica, una guardia si avventa su di me. Mi afferra per le spalle e cerca di immobilizzarmi. Io rispondo con un calcio sulle gambe grazie al quale riesco ad atterrarla. Sento altri passi avvicinarsi.
È il momento di scappare.
Guidata dall'istinto, afferro mia sorella ed inizio a correre.
Attraverso nuovamente la porta e ritorno al banco del commissario.
Ci fissiamo per qualche secondo, poi il suo sguardo si fa corrucciato. Mi ha riconosciuta.
-Prendetela!-
Ricomincio a correre e mi infilo nel labirinto di corridoi dell'edificio.
Quel luogo è una vera trappola, una prigione in cui una volta entrati è impossibile uscire.
Cerco disperatamente l'ingresso e purtroppo la mappa mentale che traccio da quando sono arrivata inizia a confondersi nella mia testa come i fili intrecciati di una matassa.
Arrivata ad una specie di incrocio mi fermo.
La sequenza era: dritto, destra, dritto, sinistra, sinistra, destra.
O forse era: dritto, destra, dritto, sinistra, destra, sinistra?
Non riesco a ricordare.
Lascio scegliere al caso la direzione: mi butto in avanti e riprendo la mia fuga.
Stranamente non sento nessuno degli uomini seguirmi e ciò, invece di rassicurarmi, fa crescere in me l'ansia .
Capisco di essermi persa quando dopo dieci minuti, sembro essere tornata nuovamente alla crocevia. Mi fermo per riprendere fiato: i polmoni bruciano, il cuore batte nel petto talmente forte che sembra volerlo sfondare, le gambe fanno male. Mi metto in ginocchio per controllare che Rebecca stia a bene e per fissare i miei occhi nei suoi. Ciò che vedo mi fa rizzare la pelle: sono privi di ogni espressività, come fossero di vetro, vuoti, morti.
Io la guardo ma lei non mi vede.
Le parlo ma non mi sente.
L'accarezzo ma non mi percepisce.
Ci sono riusciti, maledizione: l'hanno resecata e adesso trasformeranno in una delle loro tante marionette.
Cosa faccio adesso?
Devi continuare a fuggire.
E Rebecca? Non posso lasciarla qui!
Ormai non c'è niente da fare.
No!
Cerca di salvarti almeno tu. Se prenderanno anche te, tutto ciò sarà stato inutile.
Gocce salate mi scivolano dagli occhi e graffiano le mie guance lasciando dietro di sé scie di dolore e consapevolezza.
Guardo per un'ultima volta mia sorella: i capelli spighe di grano intrecciate e gli occhi raggi di sole imprigionati in due perle in cui però ormai non posso più vedere la speranza nel futuro che tanto ammiravo.
Premo dolcemente le mie labbra sulla sua fronte e poi la lascio andare.
Proprio mentre mi alzo in piedi, qualcosa da dietro mi colpisce la testa.
Un attacco alle spalle.
Com'è disonesto da parte loro.
So bene che devo rimanere cosciente, ma il mio sguardo comincia ad offuscarsi ed inevitabilmente precipito nell'oblio.

Loro non hanno paura del buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora