《Innamorata》

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Lo pensavo sempre.
La mattina appena mi svegliavo, con gli occhi ancora gonfi di sonno e la luce che filtrava appena dalla finestra.
La notte mi addormentavo con una mano sul cuore, immaginando che fosse il suo tocco ad avvertire i miei battiti che risuonavano nel buio.
Se mentre facevo colazione o ero in macchina partiva alla radio una canzone che me lo ricordava, non potevo fare a meno di riportare alla mente ogni singola immagine del suo viso che avevo fotografato con il cuore e custodivo con gelosia.
Il suo essere così dannatamente perfetto creava dipendenza.
E avevo la netta impressione che non mi sarei disintossicata cosí facilmente.
Stavo facendo i compiti sulla scrivania della mia camera quando lo sentí.
"PASSA QUELLA PALLA, CRISTO!"
Era la sua voce, arrabbiata sí, ma comunque la sua voce.
Mi alzai, facendo cadere il fascicolo di fotocopie inviatomi dal liceo. Ma non lo raccolsi.
Le mie gambe si muovevano a rallentatore verso la finestra della mia camera, leggermente aperta.
Scostai la tenda rosa pallido e guardai fuori.
Era lì, che correva sul campetto di calcio. Maglia rossa e pantaloncini blu. Una fascia bianca che gli teneva indietro i capelli castano chiaro.
Si stava dirigendo verso la porta, la palla sembrava volare davanti a lui. Tiró un calcio e segnó, tra le urla generali dei suoi compagni di squadra.
Nonostante la lontananza mi parve di vedere un sorriso illuminargli il volto.
E immaginai di quale verde pazzesco dovessero essere i suoi occhi sotto quel sole abbagliante.
La mia mano si avvicinò al vetro. Quanto avrei voluto sfiorarlo, anche solo per un attimo.
Il suono squillante del cellulare mi fece trasalire.
Mi avvicinai stordita alla scrivania per poi ritornare con il telefono nella mano davanti alla finestra.
Avevo paura che se mi fossi allontanata sarebbe scomparso. E l'unica cosa che volevo in quel momento era guardarlo, i miei occhi mi imploravano di non staccarmi dal vetro.
Lessi il messaggio di Clarissa : "Ciao, stasera ti andrebbe di uscire per un gelato? Fammi sapere il prima possibile!"
Digitai immediatamente la risposta, alternando il mio sguardo tra la tastiera e Luca.
Dopo aver dato la conferma per quella sera passai l'ora successiva davanti al vetro, prestando attenzione al movimento della sua testa per paura che potesse vedermi.
Una parte di me avrebbe voluto essere scoperta dietro a quella finestra, proprio in quel momento, con i capelli raccolti e gli occhi pieni della sua bellezza.
Ma poi c'era il mio lato timido e razionale che prevaleva e mi faceva nascondere dietro alla tenda ogni volta che il suo viso si voltava nella mia direzione.
Dopo cena passai quasi un'ora in camera a scegliere come vestirmi e a pettinarmi.
Poteva sembrare vanità ma in realtà era semplicemente insicurezza, insicurezza allo stato puro.
Vidi mio padre appoggiarsi allo stipite della porta.
"Cos'hai da guardare?" gli domandai in tono scherzoso.
"Cavolo, la mia bambina sta crescendo!"
Gli feci una linguaccia e aspettai che uscisse dalla camera per poi girarmi verso lo specchio.
Mi ero alzata di tanto e i miei fianchi prima rotondi si erano ormai assottigliati.
I capelli biondo cenere mi coprivano le spalle e i miei occhi verdi chiaro erano accesi da un po' di trucco.
Mi ero cambiata mille volte: prima sembravo troppo elegante, poi troppo sciatta; con la gonna avrei potuto essere mia nonna ma con quel paio di jeans chiari strettissimi mi sembrava di soffocare.
Alla fine indossai una maglietta bianca morbida e leggermente corta con un paio di jeans a vita alta che evidenziavano il mio punto vita.
Non mi sentivo mai soddisfatta ma ero stanca di rovistare nell'armadio in cerca dei vestiti perfetti che non avevo.
Dopo essermi lavata i denti ed essermi quasi macchiata la maglietta mentre ballavo con in bocca il dentifricio, salutai distrattamente i miei e raggiunsi Clarissa fuori dal mio cancello.
"Ma che bella sei stasera?"
Le mie guance si infuocarono e abbassai lo sguardo.
Non ero abituata a ricevere complimenti e essere guardata mi metteva ancora a disagio quindi cercai distogliere subito l'attenzione da me parlando dei compiti.
L'argomento scuola restava ancora la mia zona sicura.
La piazza era a pochi passi quando lo vidi sulla panchina, in mezzo ad altri nostri compagni di classe.
"Clary, ma quello è Luca vero?" domandai alla mia amica, con un'aria da finta tonta.
Ovvio che era lui.
Dio, lo avrei riconosciuto ovunque.
Clarissa andò a salutare tutti con la sua solita disinvoltura mentre io restai leggermente indietro, sussurrando un timido ciao.
E poi ovviamente i miei occhi si spostarono su di lui, come attratti da una qualche potenza magnetica, e rimasi stupita nel vedere che il suo sguardo era già fissato su di me.
Non era un guardare insisitente o invadente,era un guardare sorpreso, incredulo.
Gli sorrisi e lui ricambió subito, come risvegliandosi da un attimo di trance.
Rimanemmo con loro fino alle le dieci e poi dovemmo salutarli; si erano iscritti a un torneo di calcio serale nella palestra della scuola e dovevano iniziare a fare riscaldamento.
Avrei tanto voluto andare a vederlo giocare ma avevo il coprifuoco alle undici e la partita iniziava alle undici meno dieci.
Prima che se ne andasse non ebbi nemmeno il coraggio di salutarlo e lui non diede segno di voler fare il primo passo.
Lo guardai allontanarsi con le lacrime agli occhi. Era comprensibile che non mi avesse degnato di un saluto: non avevo parlato per tutto il tempo trascorso in loro compagnia e non lo avevo guardato nemmeno una volta dopo il momento del mio arrivo.
Ma perché facevo così? Perché ero così stupidamente timida?
Avevo paura che guardandolo troppo avrebbe capito quello che provavo per lui, la profondità del sentimento che mi divorava dentro...e quindi lo avevo ignorato per tutta sera.
Arrivai davanti al mio cancello, salutai Clarissa con un bacio e tirai fuori le chiavi.
Le infliai nella serratura del cancelletto e un attimo prima di chiuderlo l'occhio mi cadde sulla schermata luminosa del mio telefono: 10:45.
Mi fermai, con un piede sul vialetto d'ingresso e l'altro sull'asfalto della strada.
E poi fu un momento, una decisione presa senza razionalità, forse la prima decisione di pancia presa nella mia vita.
Chiusi decisa il cancello e iniziai a correre verso le scuole medie.
Mi ci vollero solo cinque minuti per arrivare e una frazione di secondo per scorgerlo tra tutti gli altri ragazzi.
Feci un respiro profondo e mi incamminai verso di lui.
È scontato dire che fosse di un bello immenso?
Era impegnato ad allacciarsi le scarpette da calcio e si accorse di me solo quando fui praticamente di fronte a lui.
Alzò lo sguardo e la sua espressione stupita mi fece venire un'improvvisa voglia di ridere.
"Ma...ma che cavolo ci fai qui?"
Mi abbassai e gli baciai la guancia, un bacio delicato che gli sfiorò appena la pelle.
"Mi ero dimenticata di salutarti."
La sua espressione incredula si trasformò in un sorriso che mi contagiò immediatamente.
Scoppiammo a ridere nello stesso momento come due bambini.
Dopo che ci fummo ripresi l'arbitro chiamò la squadra in campo.
"Vai campione, ci vediamo in giro."
Il suo sguardo ora si fece serio: "e ricordati che puoi parlare quando ci vediamo visto che stasera mi sembra che te ne sia dimenticata..."
"Me ne ricorderò Luca, promesso."
Feci per andarmene ma mi afferró la mano, trattenendomi e facendomi girare.
"Stasera sei bellissima Giulia, ci tenevo a dirtelo."
Mi sorrise e raggiunse i suoi compagni di squadra, lasciandomi in balia di un uragano di emozioni.
Tornai a casa alternando momenti di corsa a perdifiato e salti ad altri di urla.
Avrei potuto svegliare l'intero vicinato ma non mi importava.
Ero felice, era una felicità talmente grande che il mio corpo sembrava non poterla contenere.
Innamorata, ecco cos'ero.
Innamorata, innamorata e innamorata.

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