IL GIUDICE

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IL GIUDICE

La luna si offuscò dietro le nubi per un attimo, nascose il profilo tra le nuvole grigie e tornò a mostrarsi al mondo indifferente. Una figura incappucciata si nascose tra le sue ombre, un passo in ogni parte scura, indipendentemente da quanto queste fossero vicine o lontane.
I passi di quell'oscurità sgusciante si sollevavano e si abbassavano silenziosi sull'acciottolato, senza alcun rumore marciavano senza sosta, invisibili uno dietro l'altro.
Il baluginio d'una lama affilata s'incuneò tra i raggi lunari e sfavillò al buio; il padrone dell'arma impropria la guardò dalle orbite vuote ed infinite e avrebbe sorriso, se gli fosse stato concesso. Adorava i suoi paramenti, unico vanto che aveva tollerato a se stesso.

L'essere attraversò la superficie tra la luce e l'ombra che si stagliava sulla soglia della porta da lui scelta senza un motivo apparente, ed entrò nello spazio che divideva dall'esterno.
Si presentò un ambiente spoglio e malandato, sudicio e penoso; mentre l'essere analizzava il posto, un piccolo insetto nero corse a nascondersi nell'interstizio tra il muro e la porta al suo fianco, il suo sguardo lo seguì finché l'animale non si rovesciò su di un fianco, morto, mentre le pupille inesistenti lo guardavano non senza indifferenza.
Il mobilio era scarno, quasi inesistente: un lavello bisunto e scheggiato in più punti, un tavolo con una gamba rotta, sedie sfasciate come legna da ardere ammassate in fondo, un camino spento, un materasso per letto vicino a questo, un vaso stracolmo come latrina in un angolo.
Non sembrava esserci nessuno in quella stanza-camera. Dita ossute e senza carni si strinsero attorno al manico nero, quando condotti auricolari vuoti percepirono un rantolo.
Sull'ammasso di stracci che era il materasso-letto, una figura informe si mosse senza soluzione logica, come in uno spasmo involontario, uno spasimo di sofferenza, una fitta di dolore che non lasciava spazio nemmeno al respiro, o al suono lento d'un battito rimbombante.

Lo sguardo sì fissò verso il movimento senza distoglierne l'attenzione, finché il tempo non si fermò e dal giaciglio si alzò lo spettro dell'uomo che vi era sdraiato, lasciandosi dietro il corpo morto, poi questi si guardò il petto e provò a toccarlo, ma la mano lo attraversò come se non vi fosse materia.
L'uomo cominciò ad aver paura, mentre il sollievo della fine del dolore lasciava il posto all'angoscia: i suoi occhi vacui caddero sulla figura incappucciata, la paura lasciò il passo al terrore assieme alla consapevolezza, immobilizzandolo nella sua posizione.

La voce distante e riecheggiante dell'Incappucciato attraversò lo spazio tra i due, ma non come un vero suono, era come se rimbombasse direttamente nella testa del suo interlocutore.
"Le tue domande non contano ora, tutto a tempo debito. Hai alcune scelte da fare, altre migliori altre peggiori. A te la decisione."
"Ma quali, cosa...", cominciò lo spettro.
"Come desideri. La scelta è stata fatta."
"Ma...", il fantasma non finì la frase, fu invece risucchiato verso la figura incappucciata, mentre la sua falce brillava. A pochissimi centimetri da questa si compresse su se stesso, come implodendo, e poi scomparve continuando idealmente la sua corsa.
Il tempo ricominciò a scorrere.

L'Incappucciato uscì così come era venuto, a poterlo vedere sarebbe apparso come un dissolversi e un riapparire all'esterno, come il movimento di un'apparizione, quantisticamente però il suo incedere non toglieva dubbi all'esistenza dell'effetto tunnel.
Sì ritrovò allora di nuovo a viaggiare in quel suo modo particolare, cadendo e sgusciando da un'ombra all'altra, precedendo la luce di pochi istanti. Il suo percorso era segnato nella sua mente, non lo conosceva se non intuitivamente. E in un attimo fu così in un viottolo. Questa volta un uomo rantolava in un angolo, mentre un altro in piedi lo sovrastava e l'additava; la scena gli era familiare ed indifferente.
L'uomo in piedi inveiva contro l'altro, le parole venivano vomitate e sputate con rabbia assieme ai proiettili che esplodevano dalla canna lucente ed incandescente, un ultimo respiro e tutto era già finito; il fantasma lo guardava con l'aria trasognata e sbigottita: questi non gli diede il tempo di parlare o spiegare, ma semplicemente si voltò, tentando di fuggire; pochi passi, e la figura già svaniva e si comprimeva, finendo anch'essa la sua corsa verso l'Incappucciato.
"Scelta Sbagliata!", mormorò tra le labbra inesistenti l'essere con la falce, poi si voltò e in un passo lungo metri si ritrovò davanti all'uomo che aveva sparato e che si stava allontanando spedito. Questi correva per la strada lasciandosi dietro quasi nessun rumore nella notte, solo il tap-tap continuo dei passi che scendevano i gradini d'una scalinata due per volta, allontanandosi veloce. Mentre voltava la testa dietro le spalle per controllare che nessuno lo seguisse un piede finì di sbieco: la caviglia si storse, la gamba cedette, il corpo la seguì nella caduta, la testa si abbatté sul granito, il collo si ruppe con uno schiocco sinistro e maligno, mentre il cadavere ruzzolò ancora per alcuni metri lungo gli scalini; le membra scomposte e immobili lasciavano come un'impronta sulle scale, poi da queste sì alzò il fantasma dell'assassino guardandosi intorno senza rendersi conto dell'accaduto: la banalità della sua morte lo lasciava come indifferente mentre attendeva chissà cosa, muto e immobile, fermo davanti al suo capo girato in una posizione innaturale e che lasciava un piccolo rivolo di sangue da una ferita superficiale. Lo spettro guardò le sue mani, la destra stringeva ancora qualcosa che sarebbe potuta essere una pistola, entrambe erano macchiate di rosso, sangue vivo che scivolava a terra e da cui poi scompariva come se non fosse mai esistito, il sangue morto e dimenticato delle sue vittime.
La figura incappucciata attirò senza muoversi l'attenzione dell'assassino, che la guardò impaurito alzando l'arma e facendo fuoco più d'una volta, sicuro di colpire quell'ombra tremolante che non vacillava, che non emetteva alcun suono, poi la Morte lo indicò con la falce e, con la voce atona ma profonda emise il verdetto infinito per l'anima nera: "A te non è permesso partecipare!", e con quelle parole che ancora riecheggiavano nell'aria della notte, una voragine nera si aprì ai piedi dello spettro: tentacoli neri ne uscirono a catturarlo e ad imprigionarlo, finché fu risucchiato senza un suono nel baratro, poi il buco nero si richiuse, così com'era nato, nel nulla, portandosi via anche i suoi delitti.
La notte era ancora lunga, e la luna brillava ormai alta, ma in un mondo come quello la Morte non aveva pause, doveva svolgere il suo compito senza tregua o riposo, di cui non aveva bisogno.

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