Capitolo 2

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I biglietti che comprammo purtroppo erano sia di andata che di ritorno, questo dettaglio lo avevamo accantonato in quei mesi tuttavia rientrammo nella nostra Napoli che a dire la verità ne avevamo sentito la mancanza soprattutto del caffè la mattina,le urla dei venditori al mercato,le strade affollate,i bambini che giocano a pallone,il traffico a qualsiasi ora del giorno,il profumo dei cornetti e delle graffe che il pasticcere sotto casa mia sfornava tutte le mattine e che inondavano la mia cucina di quel odore tanto da farmi venir voglia di assaporarli,Mergellina con le sue lunghe passeggiate,il rumore che produceva l'acqua del mare scontrandosi con le barche.
Ogni partenza è grandiosa ma ogni ritorno ti fa sempre stare bene.
Quando arrivammo all'aeroporto di Napoli ci recammo direttamente a casa dei miei genitori che a causa dei continui spostamenti,i fusi orari,chiamate all'estero che costavano il doppio non riuscì spesso a rintracciarli. Quando aprirono la porta e ci videro ci saltarono addosso.
«Non vi avevo riconosciuto!» disse mamma aggiungendo «Finalmente a casa!»
Papà era di poche parole ma con il suo sguardo trasmetteva tutto quello che voleva dire,i suoi occhi si illuminarono e d'altronde non c'era bisogno che parlasse perché avevo già capito la sua felicità di rivedermi.
A differenza di papà,mamma era l'esatto opposto,non finiva di parlare e di domandare cosa avevamo fatto,dove eravamo andati e cosa avevamo mangiato.
«Vittoria mi hai portato un suvenil?»
«Cosa? Mamma volevi dire souvenir?»
«E si quella cosa lì...allora me l'hai portata?»
Tutti scoppiammo in una risata e infine annui.
Ero la loro unica figlia e tutto quello che facevo era meraviglioso; mamma mi aveva cresciuta e mi aveva insegnato a voler bene,ad amare e a prendermi cura delle persone. Papà ha sempre lavorato molto e per via di questo potevo godere della sua compagnia solo la sera quando cenavamo e la domenica , nonostante ciò lui mi insegnò cosa era giusto fare e cosa non lo era e soprattutto che prima del piacere c'è sempre il dovere anche se a volte si può fare eccezione!
Dopo aver salutato i miei genitori io e Gabriele giungemmo a casa nostra ,lui si gettò sul
letto dopo essersi fatto la doccia,era stanco e non lo biasimavo ,io contrariamente aprii tutte le finestre per rimuovere quell'aria di chiuso ,accesi il televisore ,ricontrollai se nella mini biblioteca c'erano tutti i miei libri(durante la mia assenza mamma veniva a cambiare l'aria nelle stanze e avevo il dubbio se si avesse preso uno dei
miei libri e poi lo avesse dimenticato di rimetterlo a posto),feci in modo che il sole penetrasse in tutte le stanze e che battesse sulle pareti...quei luoghi che durante la mia assenza era rimasti al buio.
La sera fummo invitati a casa dei genitori di Gabriele dove ci aspettava la sua enorme famiglia.
Ci accolsero con gioia, questa era una delle loro specialità: ti facevano sentire come se stessi a casa tua e benché ormai facevo parte della loro famiglia era più che giusto , ma a volte questo mi era eccessivo e facevo fatica a tollerarlo .
Distribuimmo i souvenir e narrammo i posti che visitammo con quella complicità che solo una coppia che ha trascorso molto tempo insieme possiede.
Le sorelle di mio marito ascoltavano attentamente tutto quello che descrivevamo,avevo parlato delle capitali che più mi colpirono: Amsterdam e Praga, di quanto era bella la notte illuminata dalle infinite luci dei negozi e dei locali e di quante volte ci siamo persi ma che alla fine abbiamo sempre ritrovato il punto di ritorno.
Il mio ritorno fu accolto anche da mia nipote ,ad abbracciarmi lo fece anche lei: la vidi correre verso di me con un foglio in mano e dopo che mi riempì di baci disse:«Questo è per te zia!»
Osservai l'immagine che vi era disegnata sopra e subito interpretai i colori chiari da lei utilizzati, erano tutti i colori che caratterizzavano la sua vita tranne il nero e il grigio . C'erano le nuvole in un cielo azzurro,il sole che riempiva i 2/4 del foglio, una piccola casa rossa e un giardino dove eravamo incastonate noi due, io avevo un camice bianco e poi c'era lei accanto a me. In quel disegno aveva raffigurato la sua felicità e non la sua nostalgia di rivedermi . La cosa che mi stupì è il fatto che i bambini capiscono molto di più degli adulti, lei non sapeva quando sarei tornata sapeva solo che sarei ritornata.
Ricordo ancora quando una volta disse «Zia allora tu ti prendi cura delle persone?"
«In un certo senso» risposi.
«In che modo?» replicò.
«le ascolto e cerco di curare i loro mali interiori» dubitai se avesse capito.
Mi guardò a lungo e mostrandosi entusiasta infine aggiunse «Quindi puoi ascoltare anche le mie storie?» Annuii.
Il nostro legame era solido e si basava sull'empatia, riuscivo a comprenderla a volte anche più di sua madre , forse questo era dovuto al fatto che l'avevo vista crescere, e  perché avevamo trascorso molte tempo insieme quando la madre la lasciava a me quando lei doveva lavorare e non aveva nessuno a cui affidarla.
La famiglia di mio marito era numerosa, Gabriele era il terzo dei quattro figli. Le sorelle erano simpatiche e generose , tra queste però  ce n'era una che a causa dei suoi modi a volte bruschi e a volte indifferenti , ostacolò il mio tentativo di approccio, forse non le piacevo , in ogni caso non riuscivamo a negare questa situazione. Spesso parlavamo solo per far capire agli altri che tra noi non c'era odio, ma semplicemente non c'era affinità.
Le altre sorelle erano diverse, la prima era sposata e aveva due bambini bellissimi, per me loro rappresentavano l'idea di famiglia che mi sarebbe piaciuta avere. La più piccola della sua famiglia invece frequentava l'università, il suo obiettivo era quello di diventare un'archeologa poiché aveva un'interesse particolare per i fossili e per i resti del passato. Diceva che se siamo arrivati dove siamo è grazie ai nostri antenati, la tecnologia doveva restare uno strumento da utilizzare per far progredire la società e non solo, invece il suo cattivo uso sa danneggiando tante cose; ammiravo il suo modo di riflettere sulle cose.
I suoi genitori gestivano un 'industria di scarpe da molto tempo , era un patrimonio familiare che passava da padre in figlio e cosi via. Erano rigidi sul lavoro e sulle regole morali e non si facevano nessuno scrupolo a dire ciò che pensavano.
Quella sera travolti da un'atmosfera di caos e di divertimento la mamma di Gabriele disse: "A Napoli si dice che chi parte in due ritorna in tre!».
Fu una battuta semplice tanto che risero tutti me compresa ,ma che mi fece riflettere molto.
Al ritorno in auto non fiatai forse per la stanchezza, forse per un ritorno così accogliente e inaspettato,forse per quella frase.
Pensavo tra me e me : e se fossi...?

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