Capitolo 3

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Fu la prima volta che pensai fossi incinta   anche se non ero certa  perchè non avevo nessuna prova che me lo confermasse. Immaginai che nel mio grembo era stato piantato un seme minuscolo dal quale si sarebbe formato un feto, lo immaginavo perchè in quei mesi eravamo stati davvero bene , e c'eravamo sentiti liberi , difatti l'unica cosa che ci influenzò fu proprio che eravamo lontani da ogni cosa, dai  turbamenti e dagli impegni. Non eravamo partiti con l'intenzione di concepire un figlio e durante il viaggio non lo avevamo aggiunto in programma, noi volevamo che fossi una sorpresa come quando la vita ti dona qualcosa senza averlo nemmeno chiesto, capita raramente questo perché  il piu delle volte la vita ti offre solo quello che lei vuole.
Comprai il test di gravidanza in farmacia il giorno seguente e quando  mio marito era fuori città per svolgere una commissione, lo feci.
Quando tornò mi trovò seduta sulla sedia con il test tra le mani.
"Ho fatto il test." dissi.
"Credevo fossi incinta,ma non lo sono." continuai.
Gabriele si accostò a me e mi diede un bacio poi esclamò:" Ci riproveremo."
Aveva ragione, il nostro matrimonio era appena iniziato, l'esito negativo del test non mi rattristò, non ero in attesa, ma  il mio cuore s'aspettava che lo fossi.
Tornare alla quotidianità non fu faticoso  , anzi fui entusiasta di rivedere i pazienti che aspettavano  il mio ritorno.
La mattina prima di recarmi in ufficio andavo a correre lungo via Caracciolo, l'aria nuova, l'odore del mare e la tranquillità prima del caos mi davano la grinta per affrontare una giornata impegnativa.
Dopo molto tempo ripresi dal cassetto della scrivania  la mia agenda e mi trovai di fronte ad un'ondata di appuntamenti rimandati a causa della mia assenza, ma questo non fece altro che aumentare la voglia di riprendere e di rimettermi al lavoro.
Ritornai ad essere la dottoressa che ascolta , che dà soluzioni e che cerca di capire i problemi dentro ciascun paziente.
I miei pazienti  erano ragazzi e  bambini, amavo il mio lavoro anche se  la mia carriera era iniziata da poco più di un anno e non avevo molte esperienze.
Gabriele a malincuore riprese a lavorare nell'industria del padre, trascorreva molto tempo lì e la sera si addormentava  a causa della stanchezza , nonostante ciò,  non dimenticava mai prima di addormentarsi di suonare la chitarra facendomi sentire i suoi brani composti quando era ragazzo.
Dopo aver cenato , ascoltavo il suono  che produceva muovendo le dita  tra quelle corde e mi lasciavo cullare da esse.
Adoravo il suo modo di suonare la chitarra,  il suo sorriso e i suoi occhi quando restava a guardarmi a lungo.
Una volta che le nostre vite si stabilizzarono tra lavoro, impegni, faccende familiari io e Gabriele ci sottoponemmo ad una serie di controlli ed esami per assicurarci che stessimo bene per avere un bambino.
Il mio ciclo era puntuale e questo divenne col tempo la mia debolezza . Facemmo controlli  per tranquillizzarci e i risultati che ottenemmo erano nella norma. Da questi decidemmo  di avere un figlio, di provarci ora volontariamente.
Era un ottimo periodo  perché andava tutto alla grande intorno a noi.
Nei giorni successivi quando  terminavo il mio lavoro , andavo casa dei miei genitori , aiutavo mi mamma a cucinare oppure l'accompagnavo a fare la spesa e discutevamo molto. Il rapporto tra me e lei è sempre stato aperto, aveva fiducia in me e io in lei e grazie a questo potevo confidarle qualsiasi cosa  anche quando  ero triste , nonostante se ne accorgesse prima lei .
«Lo sai mamma, tra un po' diventerai nonna." Risi.
Non rispose subito perché sembrava non avesse sentito, in realtà  doveva razionalizzare  ancora ciò che le avevo appena  riferito.
Poi di colpo disse:" Oddio sei incinta? È una notizia straordinaria!"
«Non ancora ,  ma io e Gabriele lo desideriamo tanto."
"Sareste dei bravi genitori, ne sono sicura."

Da quel momento ho iniziato ad aspettarti, a desiderarti, a immaginarmi come fosse la vita con un bambino di cui prendersi cura.
Ho iniziato ad attendere che arrivassi.

Durante quest arco di tempo, impegnata con il lavoro e con il progetto di averti accadde un evento che mi colpì profondamente.
Un giorno , come era mia abitudine dopo che l'ultimo paziente andava via, mi recai  dai miei genitori , fu un pomeriggio avvolto da  enormi nuvole che provocarono una lunga pioggia accompagnata da temporali che incutevano paura.
Giunsi a casa dei miei genitori, mamma non c'era, era andata a trovare una vicina  che da pochi giorni era stata dimessa dall'ospedale, mio padre era seduto  sul divano e ascoltava la radio , mi avvicinai a lui  e iniziammo a parlare. Parlammo di lavoro quando ad un tratto disse:"A volte la vita  è ingiusta perché ci dà quello che vogliamo,  ma non quello di cui abbiamo veramente bisogno. Ci fa prima aspettare, ci mette alla dura prova e se noi riusciamo ad affrontarla nei migliori dei modi allora ci dà quello di cui abbiamo bisogno. Finché vivrai abbi speranza e portala sempre con te."
Ascoltai le sue parole attentamente come quando una bambina ascolta le parole di suo padre quando le spiega qualcosa che lei non conosce e di cui ha paura.
Quelle furono forse le uniche parole che risuonarono così forte  dentro me che lui non mi abbia mai detto, ma furono anche le ultime parole che sentii perché durante la notte dello stesso giorno ricevetti una telefonata cui mi comunicarono che mio padre era stato colpito da un infarto e che purtroppo ci aveva lasciati.
Questa notizia mi atterrì , ricordo che quella notte mi alzai dal letto e mi recai all'ospedale in modo precipitoso , vidi mia madre piangere nel corridoio del reparto e tutto ciò che riuscii a fare fu di restare ferma e abbandonarmi alle parole di mio padre  che rimbombavano come tuoni prendendosi già il loro posto tra cornici dei ricordi  e ai suoi silenzi che esprimevano tutto quello che non diceva. Quando  cercai di entrare nella stanza per rivedere mio padre i medici si opposero, mi dissero che ormai non c'era più niente da fare, che avevano provato a rianimarlo però senza successo.
I momenti brutti vorresti non viverli o dimenticarli purtroppo non si può, una volta vissuti ti rimangono addosso e dentro e ti segnano per sempre.
Siamo essere umani così sensibili tanto che le delusioni, le disgrazie, le mancanze ci devastano e non possono essere colmati, l'unica cosa che siamo costretti a fare è andare avanti, ma siamo esseri anche così forti in grado di trovare la forza laddove crediamo che non ci sia più.

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