Capitolo 7

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La sera tornai a casa e come tutte le sere mentre aspettavo che venisse Gabriele, iniziavo a cucinare , improvvisamente sentii le chiavi girare nella mascatura della porta e vidi lui entrare.
"Già sei tornato." dissi
Annuì senza guardarmi negli occhi. Avanzò verso la cucina e Appoggiò le chiavi sulla tavola.
"È successo qualcosa?" Esitai.
"Perchè hai il telefono spento da stamattina? Ti sto chiamando da ore e non rispondi."
"Sono stata impegnata tutto il pomeriggio, scusami." Mi giustificai.
Silenzio.
"Venerdì dobbiamo postanticipare la partenza...un paziente mi ha chiesto un appuntamenti urgente e non ho potuto rimandare."
Adesso che ci penso, preferirei che non l'avessi mai detto.
Putiferio.
"A quanto pare sei impegnata solo quando sono io a cercarti." fuoriuscirono dalla bocca codeste parole come pallottole di una pistola che mi sfiorarono.
"Ti sbagli...lo sai che se avessi potuto, avrei rimediato."
"pensi solo a te stessa..." Rispose furioso.
"Non cucinare per me che non ho fame, sono stanco...vado a letto." Prima di andare aggiunse:"Ah, mi ha chiamato Amalia ha detto che i dipinti sono pronti , puoi andarli a vedere." Con un'aria scontrosa detto ciò si diresse verso la stanza da letto chiudendo la porta davanti ai miei occhi.
Non gli davo torto, forse aveva ragione. In quel periodo cercavo in tutti i modi di stare il più lontana possibile da casa. Lui e le stanze di casa mi sottolineavano ancora di più il fatto che non avevo figli e solo l'idea mi feriva tremendamente.
In quei mesi non stavo bene neanche con me stessa, oggi mi domando come io abbia fatto a convivere per tutti questi anni con mio marito quando nella mia mente avevo solo un pensiero.
Smisi di fare ciò che stavo facendo: spensi i fornelli. Mi sdraiai sul divano, girai i tasti del telecomando per cercar un programma di intrattenimento in tv, ma senza successo.
La tv era accesa, gli attori recitavano la proprio parte nel film, le scene si susseguivano una dopo l'altra collegate fra loro...gli occhi fissavano ogni cosa, ma la mia mente era in un altro luogo.
Mi sentivo male, mi sentivo imperfetta. Mi sentivo sbagliata.
Era inutile negare anche questo, fingevamo che non ci fosse ma era evidente da un bel po'.
Tra noi si era innalzato un muro: ci sentivamo così vicini quanto lontani.
Dormivamo nello stesso letto lui da un lato ed io dall'altro.
Mai esseri così vicini si sentirono tanto lontani quanto noi.
Mi afferrava il fianco facendo scendere la mano morbida sulla mia gamba e sussurrandomi all'orecchio 'ce la faremo' . Ero sicura che lui ce l'avrebbe fatta , di me avevo qualche dubbio  perché ora quella debole ero io ed era invano nasconderlo.
Da piccola ho sempre avuto un'indole ribelle, volevo fare tutto cio che mi passava per la mente, da ragazzina ero impulsiva, la prima a decidere in quale luogo andare con le mie amiche. Esprimevo i miei pensieri senza rifletterci molto, solo crescendo la mia impulsività si è trasformata in razionalità. Non è accaduto di punto in bianco, ricordo solo che alla fine del liceo già avevo organizzato il mio futuro. Cominciai a decidere della mia vita: Andare all'università, laurearmi, sposare l'uomo della mia vita, lavorare, viaggiare, avere figli e ancora viaggiare.
La mia vita era diventata un progetto da seguire, ogni cosa era programmata. Tratte te, non sto dicendo che tu non eri nei programmi, voglio dire solo che da quando non vedo arrivarti tutta la mia vita gelosamente perfetta si è catapultata in un disastro. Sei l'evento che hai sconvolto i miei piani. Sei l'attesa più infinita che io abbia mai aspettato.
Sei il dolce che si fa attendere alla fine della cena. Sei l'angelo che io non ho mai visto, ma con il quale parlo ogni giorno. Sei il fiore che deve sbocciare. Sei l'estate che tarda sempre ad arrivare.
Sei la vita che io non ho ancora vissuto.
Mi ripetevo che non ero sterile per compiacermi, per spingermi verso la parte di me in cui regnava ancora la speranza nonostante sentivo quasi come se non l'avessi.
Quando mio marito mi guardava volevo solo piangere e scappare lontano affinché non mi trovasse, solo allora poteva amare un'altra donna che gli avrebbe dato un figlio. Invece lui stringeva la mia mano così forte che non potevo fuggire da nessun'altra parte se no nel suo cuore.
Con lui la maschera che indossavo tutto il giorno si scioglieva come le ali di cera di Icaro e cadevo nella tristezza più totale, la notte.
La gente che ne sapeva di questo.
Ma che ne sanno loro di quanto tu soffri. Il dolore non si può vedere, lo si sente.
"Quando pensi di fare un figlio?"
Vai a spiegare alla gente che non capisce , la verità .
Gli altri conoscono solo la Vittoria che sogna, la donna che le piace viaggiare, godersi la libertà e lavorare, divertirsi, andare al cinema, al teatro, la Vittoria così forte che non cede mai. Non sapevano che quella donna era sparita da molto tempo, io indossavo la maschera migliore per far credere agli altri che stavo bene , che mi divertivo quando invece una volta tornata a casa, il mio cuscino si bagnava di lacrime.
Ogni mese pregavo a Dio che quelle dannate mestruazioni tardassero.
"Lei non è sterile, non si preoccupi"
Questa è stata l' affermazione  che ho avuto un miliardo di volte in questi anni tanto da perderne il conto.
"Papà disse , prima di andarsene, che non dovevi perderà la speranza, ricordi?" diceva mamma.
Ma quanto ancora posso sperare prima di vedermi senza una briciola di forza?
Avevo dimenticato cosa significasse essere felici. La felicità per me era una sfumatura, la polvere nei corridoi delle stanze. Le fotografie appese al muro.
Quando sorridevo alle dimenticanze di mamma a causa della vecchiaia , alle battute di Gabriele quando mi prendeva in giro, ai miei pazienti che mi facevano sentire un'amica, una loro confidente...quelli erano sorrisi reali.
La mattina del compleanno di Gabriele, se non altro prima della partenza , mi recai nello studio e attesi affinché arrivasse il signor Toscano , una volta arrivato si presentò , la camicia bianca che indossava gli sottolineava i muscoli del petto e dell'addome.
Accanto a lui c'era un ragazzino, dedussi che era suo figlio, possedeva la medesima postura del padre, era magro, con le fossette agli occhi e un viso che mostrava di non essere contento di dove si trovasse.
"Buongiorno." Fece il padre.
"Sono Salvatore, il padre di Nicola, non so se si ricorda, ma siamo venuti da lei mesi fa. "
Difatti Non li ricordavo in modo particolare;
Lo salutai stringendogli la mano, poi il mio sguardo restò fermo sul ragazzino , è più tardi  i miei occhi ritornarono verso il padre.
La mia espressione dovette essere vaga perché il signore disse:" Mi scusi, solo adesso sono riuscito a convincere mio figlio a venire da lei, credo che può aiutarlo."
Annuì ed esclamai:"Farò il possibile."
Invitai nella mia stanza il ragazzino che fino a quel momento non aveva detto una parola e pregai al padre di aspettare fuori .
"Ciao Nicola" lo salutai.
Lui si guardava intorno osservando ogni dettaglio come se la stesse guardando per la prima volta: la finestra sulla parete dietro alla mia scrivania, il sofà a destra sulla quale era appoggiata la mia borsa, i disegni dei miei pazienti più piccoli sulla scrivania e con essi anche una fotografia incorniciata che avevo messo quando inaugurai lo studio.
Nella foto c'eravamo io e Gabriele, era stata scattata durante il viaggio intrapreso dopo il matrimonio e lì eravamo felici più che mai.
I nostri sorrisi nella foto però contraddicevano l'espressione di Nicola, il quale volto era impassibile.
"Tuo padre ha detto che è riuscito a convincerti a venire, perchè non volevi?"
Silenzio.
Quel silenzio diede prova di quello che avevo immaginato fin dall'inizio quando mi ero voltata verso di lui per riconoscerlo.
I silenzi avevano affermato i dubbi che tormentavano la mia memoria.
Nicola era venuto 4mesi prima con gli stessi silenzi di cui era ritornato adesso.
"Cosa hai fatto in questi 4 mesi Nicola?"
Scrollò le spalle, piegò le labbra in giù, inclinò leggermente il capo suggerendomi che in quei 4 mesi non aveva fatto un bel niente.
Le seguenti domande, più o meno si svolsero in questo modo. Ogni risposta veniva data attraverso espressioni facciali o movimenti del corpo.
Dopo un breve dialogo, io e Nicola uscimmo fuori.
"Ho riconosciuto Nicola." Sospirai.
"Per ora è finito il colloquio. La prossima volta parlerò con lei."
Salvatore annui, mi strinse la mano e si diresse verso l'uscita dello studio. Si portò via, sulle spalle e nel petto, un sorriso forzato e il silenzio di suo figlio simile ad una borsa pesante all'interno della quale conviveva una tristezza malinconica e assordante.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 28, 2020 ⏰

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