14. Passeggiata

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Quel pomeriggio pienamente invernale ero comodamente stesa sulla sdraio a rilassarmi sotto i tocchi leggeri della brezza fredda.

In quel momento il giardino mi sembrava più grande di come in verità lo ricordavo. L'avevo osservato per i primi dieci minuti e mi accorsi di quanto noi esseri umani, alcune volte, prendiamo le cose sotto gamba.

Il tempo era soleggiato e faceva risplendere le piante e perfino le piastrelle del giardino. Il cielo sembrava dipinto su una vasta tela,  molto più grande di quella dipinta da Antonio Vassilacchi, con delle soffici sfumature di bianco quali le nuvole.

Quel pomeriggio doveva essere durato un battito di ciglia o quanto un cameo di un film, perché, quando aprii gli occhi dopo quello che mi sembrava un breve sonnellino, era già sera inoltrata.

Quando entrai a casa e andai in cucina trovai la tavola già apparecchiata per la cena e la mamma che martellava le dita sul portatile come una pianista virtuosa che pesta furiosamente sulla tastiera per ottenere la melodia desiderata.

Celermente la mamma chiuse il portatile con un movimento scaltro e si sedette al centro tavola.

Mentre cenavamo con l'aggiunta di qualche discorso noioso e prolisso il telefono di casa prese a squillare. Mi sembrò uno squillo sordo e schietto. Quasi preoccupante.

Mamma andò a rispondere e dopo un po' tornò in cucina con la faccia seria.

Niall era ritornato in reparto. E per un po' di tempo non fece altro che entrare e uscire dall'ospedale quasi ogni giorno.

Quella notte dormii poche ore perché pensai maggiormente a giocare a Alien Swarm e Meganoid con gli occhi brucianti puntati sul telefono. Verso la mattina tardi, quando oscillavo e tentavo dal cascare per terra e addormentarmi sul pavimento, avevo finalmente convinto la mamma a farmi fare un salto in ospedale.

Non andavo a trovare Niall costantemente perché la mamma, oltre al lavoro e il tempo, non condivideva la mia idea di vederlo ancora.

«Mi hanno preso per la mascotte del reparto» commentò quel giorno in cui la mamma era stranamente sincronizzata su una giornata sì e mi aveva permesso di prendere un taxi per arrivare fino all'ospedale, raccomandandomi però che al ritorno fosse stata lei a prendermi.

«Lo sei. Ti va di andare a fare un giro?» gli chiesi, con gli occhi quasi luccicanti dall'eccitazione. Era da tanto che non passavo del vero tempo con Niall e non parlo di quei quindici minuti, sforzati alcune volte ai trenta.

«Ci penso io a Jackie» mi raccomandai.

Lui annuì con persuasione e scendemmo al piano terra a cercarla. Fu davvero un'impresa dato che lei spesso saltava da una stanza all'altra dell'ospedale.

Ma quando la trovammo e ci chiese gentilmente come stavamo, io arrivai al dunque.

«Possiamo uscire fuori oggi? Solo una passeggiata, ti prometto che saremo veloci» le chiesi.

«Assolutamente no. Se lo venisse a scoprire il caposala del reparto mi ucciderebbe.»

«Jackie, sei tu la caposala» aggiunse Niall, dietro di me.

«In entrambi i casi non posso permetterlo, ragazzi.»

«Ti comprerò un biglietto per lo spettacolo di Houdini, ti prego!» la implorai quasi ridendo, conoscendo quanto fosse importante per lei quel dettaglio.

short life୭̥ Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora