10. Non è certo un addio

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Solo dopo due mesi pieni e interminabile si iniziarono a vedere dei grandi miglioramenti. Tant'è che il medico disse a mia madre che potevo continuare la terapia anche a casa. Mi dovevo sottoporre frequentemente alle analisi del sangue, al controllo costante dei valori ematici permettendo di determinare il decorso della malattia, la mia eventuale regressione, la reazione ai farmaci.

Quando ero stata finalmente sciolta dalla flebo e deflussori ho saltato dalla gioia come una bambina per tutta la stanza. Non avendo più quell'appoggio a cui mi ero fatta ormai l'abitudine persi l'equilibrio e mi stesi completamente per terra. Niall scoppiò a ridere e continuo a cacciarmi il vago incidente per tutto il resto del pomeriggio. Però mi sentivo comunque libera di camminare senza quel palo che mi accompagnava in ogni mio movimento impacciato.

Così quello fu uno dei miei ultimi giorni più belli in ospedale. Parlammo nella sala relax dei libri che avevamo entrambi letto per poi scambiarci dei pareri come stabilito. Niall ne rimase davvero soddisfatto e si innamorò perdutamente del mio libro. La tematica infatti era davvero allettante, soprattutto per un ragazzo. Promisi a Niall che un giorno avrei portato il computer in ospedale e insieme avremmo guardato il film scaricandolo da uno di quei siti illegali presenti su internet. Non l'avessi mai detto.

Poi improvvisamente ci guardammo a fondo e senza preavviso lui si avvicinò e mi baciò. Quello fu il mio primo bacio. Il ticchettio dei nostri denti mi rimbombava nella mente. Avrei preferito allestire una piccola fattoria didattica o uno spettacolo pirotecnico nel bel mezzo della mia lingua per mantenere attivo l'interesse del visitatore. Sentivo la mia bocca vuota e scarseggiante. Poi iniziai a temere di essermi scheggiata un dente. Quando il bacio finì nella sala regnava il silenzio, anche se i discorsi da affrontare erano tanti.

«Quindi...» tentai di cominciare.

«Chiudi il becco» disse, poggiò l'indice sulla mia bocca e sorrise. Quello fu il suo sì.

Quando tornammo in stanza perse sbadatamente un anello che gli calzava troppo largo sull'anulare. Io lo vidi ma non dissi nulla. Quando si voltò mi chinai e lo raccolsi tenendolo per me seppure era orribile e rovinato. Quello sarebbe stato il mio segreto. Volevo qualcosa che mi ricordasse lui. Volevo qualcosa che ci collegasse. Volevo guardare quell'anello e leggerci dentro la nostra storia come le pagine di un diario segreto. Sarebbe stato il nostro per sempre. O più che altro la mia versione del nostro per sempre nella sua oscurità dell'oggetto che da quel momento possedevo in modo estremamente protettivo.

Dopo una manciata di minuti si accorse di averlo perso.

«Oh, tanto ne ho tanti» disse, solo. E quella frase mi rallegrò ancora di più di quanto già non fossi.

Il giorno in cui lasciai il reparto, invece, Kathy mi aiutò a preparare un biglietto di pronta guarigione per Niall. Lo stampammo su un cartoncino che aveva come sfondo una foto delle costellazioni. Sul retro avevo scritto una poesia di William Shakespeare:

«Quando non sarai più parte di me,
ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelline,
allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.»

«È una cosa seria?» chiese Niall e, voltando il biglietto, guardò la poesia con aria confusa. C'era solo da presumere che, sotto l'effetto dei farmaci, la finezza gli fosse sfuggita.

«Sì. Te ne ho parlato, ricordi? Può diventare la nostra poesia. È una cosa seria, eccome.»

«Va bene. Mi piace.»

«Il font lo abbiamo inventato noi», affermai orgogliosa non specificando che con quel noi intendevo me e Kathy.

«L'abbiamo chiamato con il tuo nome. Kathy voleva scrivere Stupid Gothic, ma io non voluto» continuai.

«È bellissimo» affermò, finalmente.

Poi gli chiesi cosa avrebbe fatto senza di me. Lui se la rise per quasi un minuto buono. Tenni il conto, non so bene perché. Sapevo che i miei giorni senza di lui ormai sarebbero sprecati.

«Credo che me la caverò.... con l'aiuto dei miei cari e del personale ospedaliero» ebbe una faccia così seria che mi parve per un istante uno scherzo.

«Con chi parlerai, però?»

«Oh, io non ho bisogno di amici. Mi sono lasciato andare stando sempre con te. Adesso mi impegno e ritorno il ganzo di sempre.»

«Ah!»

E rise.

«Ti amo» confessò tremolante, come se stesse improvvisamente sotto esame.

«Anche io ti amo.»

Poi lo salutai con un rapido bacio mentre nessuno ci guardava e mi congedai lasciandolo solo prima di scoppiare a piangere. Lasciandolo alle spalle senza voltarmi di nuovo. Lui sicuramente lo avrebbe fatto. Ma io, in quel caso, no. Ma lo avrei rivisto, ne ero certa. Sarei andata a trovarlo finché non sarebbe uscito. Se sarebbe uscito.

short life୭̥ Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora