Primo.

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Stropiccio le palpebre con le dita e mi stiracchio protendendo le braccia verso il soffitto ad occhi chiusi. Prendo un respiro profondo a pieni polmoni, godendomi la pace dei primi secondi dal risveglio.
Una volta riaperti gli occhi il mio sguardo ricade sulla finestra.
Le tende sono ancora una accanto all'altra e non lasciano che qualcuno possa vedere la camera dall'esterno.
Ne scosto una rivelando una figura che si muove al di là del vetro della casa affianco. Il guardone.

Con uno scatto chiudo di nuovo le tende per non farmi cogliere sul fatto e mi vesto frettolosamente davanti alla specchiera con un maglione color bianco candido infilato in una gonna scozzese bordeaux che mi arriva a qualche centimentro sopra il ginocchio.

Sospiro nel momento in cui liscio gli indumenti con le mani e mi copro un po' di più, tirando in giù la gonna e le maniche del maglione.

Rialzo la montatura nera degli occhiali sul naso e mi assicuro per l'ultima volta di essere apposto girandomi di spalle senza smettere di guardarmi, per poi strisciare con le ciabatte sul pavimento liscio verso il bagno privato della mia stanza.
Sono fortunata ad averne uno tutto mio ora, era così irritante dover aspettare che anche gli altri finissero i loro comodi, e la maggior parte delle mattine erano lentissimi. Non c'era da meravigliarsi se poi, per colpa loro, arrivavo in ritardo a scuola.

Apro il getto d'acqua fresca e mi bagno il viso con essa, quindi lo rialzo e osservo le goccioline scendere dalle mie mani, lentamente, e mi asciugo con un panno. I miei capelli sono un disastro, perciò con la spazzola li sistemo come meglio posso e dopo aver finito scendo al piano inferiore, dove mia mamma mi dà il buongiorno con un soffice bacio sulla fronte.

"Dormito bene?"

"Sì, anche se non mi è piaciuto passare la notte al buio" rispondo mentre mi siedo tranquillamente davanti a lei a tavola.
Ho sempre temuto il buio, fin da quando ero piccola e guardavo i film dell'orrore con papà: ne ero così terrorizzata che impazzivo quando dovevo andare a dormire.

La donna aggrotta le sopracciglia.
"Potevi aprire le tende, no?"

Non posso di certo dirle "sai, un tizio ieri mi fissava in modo poco casto e ho deciso di non aprirle" o cose del genere, altrimenti andrebbe dai vicini armata di bombe a mano.

"Non ci avevo pensato" mento mentre infilo in bocca un pezzo di muffin ai lamponi.

"Ah" annuisce.

Cala il silenzio e si sente solo il ticchettio della sua forchetta sul piatto ogni qualvolta prende della torta dal piatto.

"Oddio devo andare a scuola!" Esclamo.

Mi ero dimenticata che oggi fosse il mio primo giorno, e non ero l'unica visto che anche mamma strabuzza gli occhi ed in fretta e furia si pulisce i lati della labbra col tovagliolo.

Cerco l'orologio e mi accorgo che manca solo un quarto d'ora all'inizio della prima lezione.

Mi getto sulla cartella e corro alla porta, davanti cui mia madre mi attende con le chiavi dell'auto in mano.

"Pronta?"

"Pronta, andiamo!" La incito salendo di corsa nella macchina.

Mette in moto e sfrecciamo verso la scuola, e grazie a Dio arriviamo giusto prima che la campanella suoni. Sfortunatamente sono comunque in ritardo dato che devo compilare alcuni documenti dalla bidella, sempre se riuscirò a trovarla.

"Buona fortuna pulcino" sorride quando ci fermiamo.

"Mamma..." la rimprovero per quel nomignolo "... è imbarazzante".

"Ma se non ci sente nessuno!" ride battendo una mano sulla mia spalla.

Mi saluta con affetto e scendo dalla vettura con l'agitazione di chi sta per mettersi in un casino.
Provo a tranquillizzarmi con un sospiro e stringo i pugni mentre entro in quella che sarà parte del mio nuovo inizio ad Oxford.

Il Figlio Dei Miei Vicini Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora